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La democrazia diretta nel dilemma etnico.

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Il sistema di democrazia diretta, come progettato nella “legge migliore” dell’Iniziativa per più democrazia, per un soffio non approvato nel referendum provinciale del 25 ottobre scorso, è teso a dare più voce e potere ai cittadini in quanto tali e nel loro insieme rispetto le competenze politiche provinciali, né di più né di meno. I cittadini avrebbero potuto votare su quasi ogni materia di cui discutono i nostri rappresentanti nel Consiglio ed anche sui megaprogetti decisi dalla Giunta provinciale, non invece sulla modifica dello statuto di autonomia. Un tale sistema può funzionare in una società plurietnica, in cui i gruppi non solo sono diversi per lingua, ma presentano anche caratteristiche sociali ed interessi politici divergenti, sono due mondi intersecanti, ma paralleli? Tali strumenti possono funzionare in una provincia che risente ancora di tensioni etniche? In cui si minaccia ancora “Oggi referendum, domani autodeterminazione?” Si può propagare un’idea liberatrice quale la democrazia diretta, che rafforza i cittadini in quanto tali nei confronti del sistema partitico, se non regna un’atmosfera di fiducia reciproca fra i gruppi che permette di articolare gli interessi politici in forma trasversale?

Naturalmente no, risponderebbe quel giornalista dell’Alto Adige che all’indomani del referendum in un commento allucinante ha spazzato via le proposte dei cittadini come “5 quesiti che puzzano”. “Gli italiani, soprattutto gli italiani”, scrisse Campostrini, “non c’entrano nulla con questi due quesiti sulla democrazia diretta dell’Union für Südtirol: questi quesiti provengono da un mondo culturale pre-urbano, rurale e valligiano. È la piazza dei borghi elvetici che decide sì­ o no per alzata di mano, senza andare troppo per il sottile. Rappresentano un mondo cantonale, dove decidono le famiglie che vivono in valle da venti generazioni, come in Svizzera o come in certe contee della provincia americana profonda, dove lo sceriffo guarda con sospetto non solo lo ‘straniero’, ma anche gli agenti federali arrivati da Washington.” Senza dilungarmi nella delirante idea che si è fatto questo ‘giornalista’, che non solo con incredibile accuratezza attribuisce entrambe le proposte di riforma delle regole referendarie all’Union, ma offende un’avanzata cultura politica quale quella svizzera ed ignora che la democrazia diretta moderna è proprio nata nelle grandi città svizzere e californiane e funziona benissimo in realtà sociali più complesse, si potrebbe dire: se fosse questo l’atteggiamento prevalente nel gruppo italiano della nostra provincia nei confronti di una politica più partecipata, buona notte democrazia diretta.

Effettivamente nell’elettorato di lingua italiana ha dilagato l’astensione. Mentre in 89 su 116 comuni della nostra provincia il quorum è stato raggiunto, in alcuni quartieri di Bolzano si sono recati alle urne neanche il 10% degli aventi diritto. I 6.000 voti mancanti a livello provinciale per raggiungere il quorum sono in primo luogo mancati nelle città, cioè a Bolzano (25% di partecipazione), Merano (28%) e Laives, ma non a causa di un presunto dualismo fra città e valli, ma senza dubbi a causa dell’astensione italiana. Un astensionismo non solo dovuto ai preconcetti ottusi di certi giornalisti e all’ostilità di certi giornali nei confronti della democrazia diretta. Ci sono altri tre fattori essenziali: la carenza di informazione, il ruolo dei partiti italiani e della destra tedesca, la strumentalizzazione delle paure italiane da parte dell’SVP. Buona parte del gruppo italiano inclusi tanti politici sembra essere stato effettivamente informato male. La responsabilità ricade sia sulla Provincia autonoma, che non ha assolto ai suoi doveri previsti dalla legge, sia sui partiti che non hanno seriamente affrontato né l’esigenza né la natura del progetto di riforma, un po’ anche sui promotori dei quesiti stessi che hanno incontrato limiti nella comunicazione interetnica.

Poi, i partiti. La destra italiana ha respinto le proposte sulla Democrazia diretta, mentre i partiti della sinistra (PD, Rifondazione e Italia dei Valori) si sono espressi a favore della proposta dell’Iniziativa senza però minimamente impegnarsi per mobilitare i loro elettori. Anzi, il PD ha abusato dei pannelli ufficiali per pubblicizzare le sue primarie, ed i suoi assessori non hanno levato neanche una timida parola di dissenso quando la Giunta provinciale il 22 ottobre ha cercato di affossare tutte le proposte. L’opposizione tedesca nell’elettorato italiano nella realtà politica sudtirolese ha l’impatto di scardinare un rigetto generico. Il puro fatto che un quesito provenga da un partito come l’Union für Südtirol, discreditata nell’opinione pubblica italiana, basta per gettare il bambino con l’acqua sporca. Lo testimonia meglio di tutti l’atteggiamento di Rifondazione, che ha dedicato due righe al referendum: ha chiamato a votare SI sui quesiti dell’Iniziativa per più democrazia e del Dachverband, ma ha cestinato le tre proposte dell’UNION come razziste e anticostituzionali, travisando che la sua proposta sulla democrazia diretta era quasi identica a quella dell’Iniziativa.

Infine la SVP, che ha astutamente strumentalizzata il clima di sfiducia fra gli italiani. Durnwalder, Messner ed altri nemici dichiarati di più diritti referendari hanno soffiato nel fuoco ipotizzando che in assenza di un basso quorum di partecipazione gli italiani rischierebbero di essere messi continuamente in minoranza da parte “dei tedeschi”. Il segretario SVP Achammer è arrivato a dire a che presto il monumento degli alpini di Brunico sarebbe stato oggetto di un referendum popolare. Volutamente il vertice SVP ha taciuto il fatto che sia la legge vigente sia le proposte di legge referendarie escludono l’ammissibilità al voto di quesiti che possano violare i diritti dei gruppi linguistici, come affermato anche dallo Statuto di Autonomia. In pratica l’SVP si è alleata con la parte più nazionalista dell’elettorato italiano per difendere il suo modello di decisionismo, il suo sistema di potere. Durnwalder a votazione vinta è perfino arrivato a dire che si era riusciti ad evitare che “le valli” abbiano potuto dettare legge: l’illuminato uomo di Falzes che in tema di diritti civili difende la colta cittadinanza urbana dall’urto della plebe rurale…..

Politicamente cosa significa questo voto? Evidentemente la maggioranza dell’elettorato tedesco desidera strumenti più efficaci di partecipazione politica. Dall’altra parte la stragrande maggioranza degli elettori italiani non apprezza regole migliori di partecipazione temendo che possa essere non a vantaggio dei cittadini, ma a svantaggio degli italiani come gruppo. Perciò, il voto può essere interpretato come atto di sfiducia del gruppo italiano nell’elettorato tedesco, invece di fiducia nel vertice SVP che si presenta come forza moderata, capace di mediare gli interessi di tutti, gestendoli a livello di vertici dei partiti e associazioni di categoria.

Cosa significa tutto questo per il futuro di una democrazia diretta migliore per la nostra provincia?In presenza di un quorum del 40%, significa la possibilità di un veto permanente di questa nuova alleanza: basta che il vertice SVP, sostenuto dal giornale dominante, e la maggioranza italiana (che si richiama in primo luogo agli appelli della destra e del giornale italiano dominante) si alleano, per far fallire ogni referendum. Significa che nessun iniziativa popolare potrà passare contro questa alleanza strumentale fra italiani mal informati, disinteressati, impauriti da una parte e sistema di potere della SVP dall’altra, con le varie associazioni di categoria che difendono i loro interessi particolari. Significa che nessuna istanza referendaria di carattere sociale o ambientale, sostenuta con un’ampia raccolta di firme, non ha modo di passare perché non avvallata dalla popolazione di Bolzano-Merano-Laives. Di tal maniera politicamente si apre una nuova spaccatura etnica. La maggioranza della popolazione tedesca chiede di portare a votazione popolare quesiti urgenti che toccano tantissimi sudtirolesi. Ma è bloccata dal quorum, operato dal partito “di raccolta” in connivenza con la maggioranza del gruppo di lingua italiana: così­ si ammazza un diritto civico.

Naturalmente vanno presi sul serio le paure dei cittadini di lingua italiana, certamente va discusso più a fondo una tale riforma dei diritti referendari. La democrazia diretta in Sudtirolo non può funzionare, se non è coinvolta tutta la società; non potrebbe dispiegare i suoi effetti integranti, se il gruppo italiano non fosse coinvolto nella determinazione delle regole, e continuasse a percepire ogni referendum come minaccia, e la democrazia diretta come una “roba dei tedeschi”. Ma dall’altra parte non si può espropriare il 70% della popolazione dall’esercizio di un diritto, solo perché non interessa la maggioranza dei concittadini italiani che abitano a Bolzano-Merano-Laives o perché questa teme che il gruppo di lingua tedesca possa esprimere in forma compatta orientamenti diversi. Affermare che “gli interessi” dei tre gruppi etnici sono troppo diversi oppure che gli interessi degli abitanti delle città e delle valli divergono non è legittimo, perché la politica di interesse provinciale fatta nel Consiglio e soprattutto in Giunta provinciale è unica. È valida per tutti, viene finanziata da tutti i contribuenti, è decisa da politici eletti da cittadini di tutte le parti. Il Sudtirolo non è diviso in cantoni. Questioni attinenti aspetti che rientrano nell’autonomia culturale dei tre gruppi in termini quantitativi sono pochi; le questioni “trasversali” sono assolutamente prevalenti. Quindi a parte clausole più severe per la non-referendabilità di argomenti sensibili per i gruppi etnici, va ribadito il principio che porta a chiedere l’abolizione del quorum: chi va alle urne, deve poter decidere; chi non ci va, lascia decidere gli altri. Nel Wallis bilingue o nei Grigioni trilingui non esiste un diritto di veto di uno dei gruppi nel momento di decidere insieme sulla politica cantonale.

Che fare? La grande sfida sarà quella di coniugare bene il rafforzo dei diritti di tutti i cittadini in quanto tali e la tutela dei diritti dei tre gruppi. Una nuova proposta di legge sulla democrazia diretta può precisare ancora meglio l’esclusione delle materie che possano violare i diritti fondamentali e culturali dei gruppi linguistici. La convivenza va costruita anche dal basso: ci sono centinaia di sforzi ed iniziative del mondo associazionista locale accomunati dagli stessi problemi. Più democrazia diretta promuove l’impegno civico dei cittadini ed il senso di responsabilità fra tutti i gruppi. L’impegno per la soluzione di problemi comune richiede una collaborazione trasversale e crea legami sia fra i gruppi sia fra le persone. È questo il dilemma: lasciare la democrazia diretta cosà­ come la vuole il vertice SVP, significa di fatto bloccare la voglia di contare e l’iniziativa dei cittadini. Lasciare l’iniziativa a qualche partito della destra tedesca ci porta ad una situazione simile a quella scaturita da decenni battaglie referendarie dei Radicali: lo strumento in mano a un piccolo partito di opposizione, non ai cittadini in primo luogo. Dall’altro canto, una vera riforma della democrazia diretta non può far a meno dell’abbattimento del quorum. Possiamo avere fiducia: più partecipazione diretta alla politica provinciale fa crescere una cittadinanza più condivisa di questa terra, al di là delle differenze culturali.


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Comentârs

11 responses to “La democrazia diretta nel dilemma etnico.”

  1. bberger avatar
    bberger

    Ich frage mich warum ein deutschsprachiger Südtiroler wie Thomas Benedikter seine Beiträge immer in italienischer Sprache schreibt.

  2. Dolomiticus avatar
    Dolomiticus

    er schreibt sie doch nicht immer in italienischer Sprache, das ist jetzt einfach gelogen!

    und selbst wenn, wäre es doch kein Hochverrat. Sprachen sind ein Kommunikationsinstrument und kein Gefängnis.

  3. pérvasion avatar

    Ist doch völlig irrelevant in welcher Sprache Herr Benedikter hier schreibt, wie es bei bbd allgemein keine diesbezügliche Vorschrift gibt. In diesem Fall kann man aber sagen, dass schon rein inhaltlich die italienische Sprache geboten war.

  4. niwo avatar
    niwo

    Sehr gute Analyse von Thomas Benedikter.

  5. DSW avatar
    DSW

    Mittelgute Analyse von Thomas Benedikter.

  6. Sandro avatar
    Sandro

    Passata la fase successiva ai primi referendum, è ora opportuno valutare con più pacatezza tale materia. Nel contesto delle regioni confinanti con simili affinità  storiche, quali il Tirolo e il Trentino, la materia della così detta ”democrazia diretta”, è sentita con più distacco e con meno partecipazione. Lì la democrazia rappresentativa offre l’opportunità  di scegliersi il raggruppamento politico cui uno si sente più vicino e di confermarlo o meno alla guida del proprio territorio. I referendum provinciali del 30 settembre 2007 in Trentino hanno avuto un’affluenza del 19% ed un costo di circa 2, 5 milioni di euro. Gli ultimi referendum comunali a Rovereto hanno avuto un’affluenza del 15%. Nel Tirolo, ci sono stati alcuni referendum a base comunale, come quelli svolti da noi in val d’Ultimo, a Caldaro o in altri nostri comuni, ma a livello di Land, non sono mai state svolte consultazioni referendarie. Perciò la limitata partecipazione agli ultimi referendum provinciali è stata relativamente buona se raffrontata con quella dei paesi limitrofi. L’esempio elvetico è da prendere in considerazione con le dovute precauzioni. Li vige la democrazia consociativa, partecipativa o della concordanza.
    Tutti i principali partiti sono coinvolti in questo processo e partecipano, proporzionalmente alla loro forza elettorale, alla distribuzione delle cariche politiche e degli incarichi ai vertici dell’amministrazione, dell’esercito e della giustizia. I referendum non sono visti solo come strumento dell’opposizione contro chi governa. Oltretutto li vige il voto per corrispondenza e votano solo gli oriundi, chiedete a quel milione e mezzo di cittadini residenti in Svizzera che sono esclusi dal voto cosa ne pensano?
    I motivi della bocciatura dei cinque quesiti referendari che hanno trovato un consenso affermativo di circa il 29,46% degli elettori, sono molteplici. Se i mancanti 6.000 elettori si fossero recati ai seggi, tutti i quesiti referendari sarebbero stati approvati con quali conseguenze. Un groviglio di testi discordanti cui il Consiglio provinciale doveva metterci mano e con quali risultati e limiti?. Molti degli articoli presenti nelle proposte, erano troppo vaghi. Come quello dei referendum da svolgersi solamente in una parte della provincia. Il testo dell’Ufs era a questo proposito meglio formulato, ma andava a contrastare con quello troppo vago dell’iniziativa che si limitava al 3% degli elettori in almeno in 10 comuni o in comuni nei quali è residente almeno il 10% della popolazione provinciale. La possibilità  che elettori della Pusteria potessero contrastare un progetto della val Venosta a loro sfavorevole era ammissibile. La possibilità  di svolgere referendum consultivi o deliberativi su provvedimenti amministrativi che comportano uscite per oltre 1/1000 del bilancio provinciale erano in evidente contrasto con le spese che comportava una consultazione referendaria. Per essere più chiari, si votava su un provvedimento amministrativo del valore di un milione e se ne spendono tra i tre e i cinque per svolgerlo.
    L’impasse amministrativa dovuta al deposito di istanze referendarie depositate da venti persone dava addito a inutili perdite di tempo, anche fino a 180 giorni.
    Il numero troppo basso di sottoscrizioni per i vari referendum: il 0,6% da raccogliere in 180 giorni per le iniziative popolari, il 1,2% per i referendum consultivi, il 2% per i referendum propositivi o abrogativi da raccogliere in 180 giorni, l’ 1,9% per i referendum confermativi lascia spazio ad iniziative di minoranze inconsistenti, la procedura è troppo semplice oltretutto se il periodo di raccolta viene allungato. Ogni consultazione ha i suoi costi e conseguenze, come la chiusura di molte scuole l’impegno continuo di scrutatori, presidenti, segretari e forze dell’ordine, sono conseguenze da non sottovalutare. La data di svolgimento delle elezioni fissate l’anno precedente, andava a cozzare contro eventuali consultazioni elettorali non cumulabili a livello nazionale di cui non si poteva conoscere la data. I nuovi requisiti di ammissibilità  erano peggiorativi rispetto alla legge vigente. Per quel che riguarda la maggior fiducia riposta dal gruppo linguistico italiano nei confronti dei componenti dell’attuale giunta provinciale è evidente che alla buona amministrazione non si rinuncia a vantaggio di un’opposizione che verrebbe rafforzata dallo strumento referendario. L’opposizione di lingua tedesca, rappresentata per la maggior parte dai Freiheitlichen, Südtiroler Freiheit, UfS e in minor parte dai Verdi si sarebbe rafforzata, con quali ripercussioni? E qui che sta il nocciolo della questione, i partiti della destra di lingua tedesca, come si pongono non solo nei confronti del gruppo linguistico italiano, ma anche come partito di governo? Chi critica il relativo alto standard della nostra sanità  pubblica, specialmente se raffrontato con quello delle altre realtà  nazionali, merita il rispetto o desta maggiori preoccupazioni?
    Alcuni elettori hanno preferito il voto alle primarie del partito democratico, a cui hanno potuto partecipare anche i nuovi cittadini stranieri, al voto referendario locale. Che c’è di male, lì si evidenziavano con tutti i limiti le due visioni, quella del ”mir sein mir” con quella banalmente partitica ma nei fatti divenuta più cosmopolita.

  7. Thomas Benedikter avatar
    Thomas Benedikter

    Sullo sviluppo della democrazia diretta nei territori del Tirolo storico Sandro parte da un ragionamento errato: dal fatto che in Tirolo non c’erano referendum e in Sudtirolo a livello comunale ce n’erano pochissimi deduce che i tirolesi non abbiano interesse a decidere in prima persona su quesiti politici importanti, ma preferiscano affidarsi completamente ai politici. Attenzione però: fino al 25 ottobre scorso quando e quante volte ci è stato chiesto di decidere in via referendaria su questioni provinciali? Di quale regolamento praticabile potevamo avvallarci se avessimo voluto farlo? In Sudtirolo mai nella storia, né in 61 anni di autonomia tanto meno prima questo fu possibile, a meno che non sposi la saggia tesi del signor Messner che anche l’opzione del 1939 sia stata un referendum.
    Nei Grigioni e di più ancora in altri cantoni i cittadini svizzeri dal 1866 in poi si sono potuti esprimere 300 volte su quesiti cantonali. Smettiamolo di considerare gli svizzeri antropologicamente superiori a noi rispetto le capacità  democratiche, e noi sudtirolesi geneticamente incapaci di esercitare simili diritti, come se fossimo sudditi appena usciti dalla monarchia asburgica. È vero che gli svizzeri si attengono a governi di concordanza e quindi sia più importante la funzione di controllo dei cittadini. La democrazia diretta dappertutto integra la politica rappresentativa, a prescindere da ogni “formula magica di governo”. Il voto per corrispondenza – come accenna….- anzi il voto elettronico è il futuro dell’espressione del diritto al voto, fattibile e auspicabile anche da noi, ma la democrazia diretta con una o due votazioni per anno non dipende da questo.
    Non è vero, caro Sandro, che tutti i cittadini stranieri in Svizzera siano esclusi dal voto: dal voto federale sà­, ma in vari cantoni ed in tanti comuni possono votare. Di nuovo: l’Iniziativa per più democrazia non difende la politica che si fa in Svizzera e i risultati che escono dalle urne, ma è ispirata dal modello di partecipazione dei cittadini. Che non ci sia ancora il diritto al voto generale per gli straniere non è un argomento contro la democrazia diretta, ma uno spunto per perfezionarlo ulteriormente.
    Ciò che comunque mi premeva dire nel precedente articolo sono principalmente due punti: primo, la democrazia diretta può funzionare bene solo se le regole sono buone, cioè favorevoli alla partecipazione. Secondo, la legge presente con tutte le sue manchevolezze ed il quorum del 40% nel particolare sistema di potere venutosi a creare, non potrà  funzionare. Perciò occorre assolutamente abbassare il quorum e migliorare più regole possibile per promuovere la partecipazione dei cittadini anziché scoraggiarla. La legge migliore, votata da quasi 130.000 elettori, risana sistematicamente tutti i punti dolenti della legge attuale:
    Il numero di firme richieste si trova in linea con le percentuali richieste in Svizzera ed in Italia a livello nazionale.
    Un groviglio di testi discordanti? Sbagliato. C’erano due testi analoghi, riconducibili ad un testo unico con un po’ di buona volontà  ed in un dialogo a tre (con il Consiglio provinciale).
    Troppo vaga la legge migliore? Per carità , 44 articoli discussi per anni. Perfino i politici ammettevano di aver faticato a leggerla tutta.
    Possibilità  che elettori in Val Pusteria potevano contrastare un progetto in Val Venosta? Che interesse dovrebbero avere. L’ipotesi ignora che per chiedere un referendum ci vogliono almeno 10.000 firme ed insinua che fra gli elettori non ci sia buon senso e responsabilità .
    Il periodo deve essere più lungo perché ci sia più tempo per dibattito e informazione. Un rimprovero diffuso questo ottobre fu proprio: “Ma noi non sapevamo, non siamo stati informati, non c’era dibattito”.
    I costi di referendum troppo alti? Anzi, sono esigui se i referendum vengono svolti in forma più efficace. In Svizzera in media i referendum federali costano un Euro a testa di ogni elettore. Ci siamo mai chiesti quanto ci costa la politica rappresentativa?
    I requisiti di ammissibilità  nella nuova legge per nulla sono peggiorativi, ma si allarga l’elenco di materie referendabili, per es. includendo gli stipendi dei politici.
    E via dicendo. Nel ragionamento di Sandro si sono mescolati timori comprensibili con critiche alla democrazia diretta di stampo partitico e con la diffidenza nei confronti degli intenti politici della destra tedesca. Ma attenzione: non fu la scelta dell’Iniziativa per più democrazia di abbinare questi 5 quesiti referendari ma quella della Provincia e non può vietare a nessuno di riprendere le sue idee e proposte. Chi taccia la proposta di legge sulla democrazia diretta di un atteggiamento di “mir sein mir” forse ha proprio capito male. Ci sarà  stata la strumentalizzazione da parte di qualche partito ci saranno stati limiti nella comunicazione interetnica e anche un terribile disinteresse da parte di tanti italiani, ma il progetto stesso è di carattere assolutamente interetnico-trasversale teso a rafforzare i cittadini in quanto tali nei loro poteri ci controllo e di iniziativa. Se i cittadini di lingua italiana non si fidano dei concittadini di lingua tedesca, ma cascano sull’allarme lanciato dal vertice SVP che con tali regole ci sarà  il caos a scapito degli italiani il miglioramento della nostra democrazia potrà  essere bloccato.

    Thomas Benedikter

  8. Sandro avatar
    Sandro

    Caro Thomas
    Il risultato del referendum sul divieto di erigere nuovi minareti ha nuovamente portato alla ribalta il tema della democrazia diretta. Senza entrare nel merito di tale evento, vorrei aggiungere alcune considerazioni riguardo ai due post precedenti.
    Rispetto alla Confederazione elvetica, da noi i cittadini comunitari possono esprimere il voto sia per le elezioni comunali, per quelle del Parlamento Europeo e se previsto negli statuti comunali anche per i referendum a livello comunale. Perciò su questo tema le differenze non sono sostanziali.
    Mi chiedo però quale sarebbe stato il risultato, se sul referendum a livello confederale sui minareti, si fossero espressi anche i diretti interessati.
    Sul costo di una consultazione referendaria a livello provinciale, che varia tra i tre e cinque milioni di euro, non vedo nessuna proposta seria da applicare alla nostra legislazione.
    Sull’abbassamento del quorum, secondo il mio punto di vista bisogna cedere su altri punti per essere credibili. Togliere o abbassare il quorum e nello stesso tempo diminuire il numero delle sottoscrizioni ed allungare i tempi di raccolta per facilitare la raccolta delle firme, è un controsenso. Effettivamente ridurre le sottoscrizioni per un iniziativa popolare da 8.000 (da raccogliere in 120 giorni) a 2.500 in 180 giorni, oppure limitare a 5.000 firme la soglia per un referendum consultivo, o ridurre da 13.000 firme (in 120 giorni) a 10.000 in 180 giorni, o 7.500 firme per un referendum confermativo, così come era previsto dal testo dell’iniziativa, è un incentivo per gruppi minoritari senza alcun seguito e la collettività  deve risponderne delle spese.
    La mancata fiducia degli elettori di lingua italiana è nei confronti dell’opposizione di lingua tedesca e nella fattispecie di quella di destra, non tanto dei concittadini di lingua tedesca. Non puoi negare che in questa situazione politica tali vantaggi andrebbero ad accrescere i consensi di tale opposizione.

  9. Thomas Benedikter avatar
    Thomas Benedikter

    In merito al referendum svizzero, caro Sandro, mercoledà­ 2-12, esce un mio commento sul Corriere, ma possiamo dare per scontato che anche una partecipazione di buona parte dei musulmani non cittadini che vivono in Svizzera (circa 400.000) non avrebbe cambiato il risultato finale, perché troppo netto a favore del divieto.
    Ritengo però molto interessanti le tue proposte in merito al legame fra abbassamento del quorum ed il numero di firme da raccogliere per iniziativa e referendum. Nelle trattative con la SVP queste proposte vanno seriamente discusse. Per chi non avesse ancora partecipato alla raccolta di 10.000 firme autenticate (per un’iniziativa popolare) ricordo comunque: non è roba da poco!

  10. Sandro avatar
    Sandro

    Immagino che non sia semplice raccogliere le firme, ma se un tema è sentito dalla popolazione si possono fare miracoli come in Baviera; dal 19 novembre al 2 dicembre i promotori del referendum per un divieto del fumo senza deroghe nei pubblici locali, sono stati in grado di raccogliere negli uffici comunali più delle 940.000 firme necessarie, che corrispondono al 10% degli elettori.

    Die Christsozialen kassieren die nächste Schlappe, die kleinen Parteien jubilieren: Wie der ÖDP das erfolgreichste Volksbegehren in Bayerns Geschichte gelingt – und wie die CSU bespöttelt wird.
    Hat Grund zur Freude: Der Organistator des Volksbegehrens, Sebastian Frankenberger.
    Nichts hält Sebastian Frankenberger jetzt mehr zurück: Mit einem Satz springt der Organisator des Nichtraucherschutz-Volksbegehrens auf seinen Stuhl, reißt die Arme in die Höhe – dabei soll das offizielle Endergebnis erst in eineinhalb Stunden vorliegen.
    “Wir haben soeben die Millionengrenze geknackt”, brüllt der 28-Jährige mit heiserer Stimme in den Raum, “wir haben eine Million Stimmen.” Kurz scheinen die 70 Gäste in der Münchner Gaststätte Kreuzberger zu erstarren, dann bricht ohrenbetäubender Jubel aus, viele springen von den Sitzen auf, klatschen begeistert.
    Wenige Minuten darauf sitzt Frankenberger bereits wieder konzentriert am Computer, ruft die neuesten Ergebnisse auf und wirft sie mit einem Beamer auf eine Leinwand, die auf der Bühne aufgestellt worden ist. Die Initiatoren des Volksbegehrens haben zum Public Viewing mit Weißwurstfrühstück geladen – “zum Mitfiebern”, wie sie sagen.

    “Nur noch genießen”
    Denn gerade stellt das Innenministerium die vorläufigen amtlichen Rückmeldungen der Landratsämter ins Internet. Die Anspannung der vergangenen Tage weicht aus Frankenbergers Gesicht. Er lacht erleichtert. “Das Bangen ist vorbei”, sagt der junge stellvertretende ÖDP-Landesgeschäftsführer, “ab jetzt heißt es nur noch genießen.”
    Aus ganz Bayern sind an diesem Donnerstagmorgen Aktivisten und Unterstützer des Volksbegehrens zusammengekommen: Wirte, die es leid waren, täglich nach kaltem Rauch zu stinken. Ärzte, die in ihren Praxen Plakate aufgehängt hatten. Sponsoren wie der Sauerländer Unternehmer Dieter Mennekes, die dafür sorgten, dass das notwendige Geld in Höhe von mehr als 200.000 Euro zusammenkam.
    Und schließlich die vielen Helfer, die sich als Rathaus-Lotsen draußen vor den Einschreibestellen von aufgebrachten Rauchern beschimpfen ließen oder die bei Wind und Wetter Plakate aufgehängt hatten. Einer von ihnen ist Martin Berberich, der stellvertretende ÖDP-Bezirksvorsitzende in Mittelfranken: “Ich freue mich unendlich. Nicht nur in Mittelfranken haben wir ein Superergebnis, sondern in ganz Bayern”, sagt er.
    Berberich kann nicht zu Ende reden, denn erneut springt Frankenberger auf seinen Stuhl. “Wir haben die 1,2-Millionen-Grenze erreicht, wir schreiben in diesem Augenblick Geschichte: Unser Volksbegehren ist das erfolgreichste, das je in Bayern gestartet wurde.” Noch nie haben so viele Menschen bei einem Volksbegehren unterschrieben.
    Fast drei Minuten lang muss der 28-Jährige nun gegen den Beifall ankämpfen. Die ausgelassenen Zwischenrufer skandieren “Wir sind das Volk, wir sind das Volk” – so lange, bis schließlich alle mit einstimmen. Kurz vor zwölf Uhr gleicht die Stimmung einem Volksfest – und das obwohl nicht geraucht wird.
    Siegfried Ermer, der Vorstandvorsitzende der Initiative Pro Rauchfrei und einer der Mitinitiatoren des Volksbegehrens, verkündet lautstark, seine Heimatstadt Erlangen habe soeben Schwabach den Spitzenplatz bei den abgegebenen Stimmen entrissen.
    Selbst der zurückhaltende Ernst-Günther Krause von der Nichtraucher-Initiative München schmunzelt, bevor er eine Prognose abgibt: “Wenn Horst Seehofer und sein sogenannter Gesundheitsminister Markus Söder nun auch noch Steuergelder verschwenden und einen Volksentscheid durchsetzen, dann drücken sie die CSU bei der nächsten Wahl auf 30 Prozent minus x.”

    Die neue ÖDP
    Unterdessen ist Bernhard Suttner, der ÖDP-Landesvorsitzende, eingetroffen. Er eilt vor zur Tribüne, wo sich gerade die Kamerateams positionieren und Sebastian Frankenberger im Schnelldurchlauf Interviews gibt: Nein, mit einem solchen Ergebnis habe er nie gerechnet. Ja, jetzt gebe es gar keinen Zweifel mehr, dass die Initiative “für echten Nichtraucherschutz” auch bei einer Volksabstimmung erfolgreich sein werde.
    “Wer so ein Volksbegehren hingelegt hat, gewinnt auch den Volksentscheid”, bekräftigt Suttner. Dabei blickt er anerkennend zu Frankenberger hinüber. “Ich habe ja bereits angekündigt, dass ich im kommenden Jahr aufhöre. Doch da”, sagt der 60-Jährige und zeigt auf Frankenberger, “steht die neue ÖDP.”
    Dann, kurz vor zwölf Uhr, ist der Moment gekommen, auf den der 28-jährige Organisator des Volksbegehrens und seine 3000Helfer seit Anfang August hingearbeitet haben: Das vorläufige Endergebnis liegt vor. Fast 1,3 Millionen Wahlberechtigte haben sich in die Listen eingetragen, 13,9 Prozent. Ein drittes Mal springt Frankenberger auf einen Stuhl. “Das ist ein Sieg für die Demokratie”, ruft er – flankiert von den Landtagsabgeordneten Theresa Schopper (Grüne) und Natascha Kohnen (SPD). Nun müsse auch der CSU klar werden: “Das Volk will einen echten Nichtraucherschutz.”
    Als die Fernsehteams die Kameras eingepackt haben, sagt Frankenberger leise: “Ehrlich, ich freue mich jetzt nur noch auf eins: mein Bett!” Doch zum Einschlafen ist sein Adrenalinspiegel zu hoch. Dafür sorgten unter anderem die Augsburger, die lange auf ihr Ergebnis warten ließen. “Die Schwaben sind halt gründlich”, sagt Frankenberger – und lacht.
    Süddeutsche 04.12.2009

  11. FILIPPO MATTEUCCI avatar
    FILIPPO MATTEUCCI

    LA DEMOCRAZIA TURNARIA E’ IMPOSSIBILE. CREDICI, E VAI A BALLARE IN DISCOTECA.

    http://democraziaturnaria.splinder.com/post/22347025/LA+DEMOCRAZIA+TURNARIA+E%27+IMPO

    FILIPPO MATTEUCCI

    Austrian Privatist Economist and Anarcho-Capitalist Libertarian Theorist

    Teorico ideologo della democrazia turnaria e dell’economia privatista.

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