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Franquistisches Denkmal in Castelló ist Geschichte.

Im Beisein einiger erzürnter Franco-Anhängerinnen wurde gestern Abend im zentralen Parc de Ribalta in der valencianischen Provinzhauptstadt Castelló de la Plana ein franquistisches Denkmal abgetragen, dessen Hauptbestandteil ein großes Kreuz war:

Tweet des öffentlich-rechtlichen À Punt

Kurz zuvor war ein letzter Einspruch der rechtsradikalen Vox abgewiesen worden. Fünf Jahre hatte das Vorhaben aufgrund bürokratischer und rechtlicher Hürden bereits auf seine Umsetzung gewartet.

Die Entfernung des Denkmals erfolgte auf Initiative der Gemeindeverwaltung auf der Grundlage des Gesetzes über die demokratische Erinnerung. Unter Polizeischutz rückten am Nachmittag mehrere Kranwägen an und hoben das Kreuz auf einen Lastwagen, nachdem es zuvor am Fuß abgeschnitten worden war. Den Plänen der zuständigen Politikerinnen zufolge soll nun der ursprüngliche Zustand des Parks nach Plänen von 1926 wiederhergestellt werden.

Die Großstadt an der Mittelmeerküste nördlich von València wird von einer Koalition aus Partit Socialista del País Valencià (PSPV-PSOE), Coalició Compromís (Bündnis von Grünen und Regionalbewegungen) und Podem verwaltet.

Neben protestierenden Franquistinnen waren auch zahlreiche Bürgerinnen zugegen, die die Arbeiten mit Applaus begleiteten.

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In Spagna Bonus culturale plurilingue.
Buone pratiche

Negli ultimi mesi e anni a più riprese abbiamo criticato che le web statali (Cashback di stato, Lotteria degli scontrini e quant’altro) non tengono conto delle lingue minoritarie e quando lo fanno, avviene in misura insufficiente.

Faccio qui l’esempio della Spagna, dove il Governo ha recentemente istituito un Bonus culturale per i giovani, il cui sito specifico si presenta in questo modo:

Sito internet del Bonus culturale per i giovani (nella versione basca)

In alto a sinistra ben cinque icone per quattro lingue parlate sul territorio statale (castigliano, catalano nelle varianti catalana e valenciana, galiziano e basco). Anche scorrendo le sottopagine risultano tutte completamente tradotte nelle lingue minoritarie.

Quando di riflesso si definiscono il Sudtirolo e i diritti linguistici delle minoranze qui residenti come «esemplari» o perfino i «migliori al mondo» (se non si arriva all’aberrazione di definire minoritaria la lingua dominante), spesso vale la pena volgere lo sguardo altrove per rendersi conto che così non è e che c’è ancora molto da fare.

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Die spanische Post ist mehrsprachig.

Spanien ist ein mehrsprachiges Land, in dem neben Kastilisch (aka Spanisch) auf regionaler Ebene auch Baskisch, Galicisch und Katalanisch (einschließlich der Variante Valencianisch) amtlich sind. Auch die spanische Post nutzt diese Sprachen, was zum Beispiel an ihrem mehrsprachigen Internetauftritt ablesbar ist.

Bildschirmausschnitt: Webseite der spanischen Post auf Baskisch

Die Webseite ist in sämtlichen Regionalsprachen, zudem auf Kastilisch und Englisch abrufbar.

In Italien, wo Minderheitensprachen (wie Sardisch, Friaulisch, Deutsch oder Ladinisch) ebenfalls in mehreren Regionen offiziellen Status genießen, ist der Internetauftritt der Post: einsprachig.

Bildschirmausschnitt: Webseite der italienischen Post

Wiewohl ich mich daran zu erinnern glaubte, dass neben der italienischen wenigstens auch eine englische Sprachversion existiert, scheint auch das nicht mehr der Fall zu sein. Wer in Italien diesen Dienst von außerordentlichem öffentlichen Interesse online in Anspruch nehmen will, muss zwangsläufig die italienische Sprache verstehen.

Die von Artikel 6 der italienischen Verfassung und mehreren Autonomiestatuten angeblich geschützten Minderheitensprachen genießen diesbezüglich keinerlei Rechte.

Das Land Südtirol muss sogar dafür bezahlen, dass demnächst — falls die italienische Post Lust hat, sich an diese Vereinbarung zu halten — eine zweisprachige Beschwerdeseite im Netz eingerichtet wird. Von einem einigermaßen mehrsprachigen Webauftritt mit postalischen Dienstleistungen ist gar nicht die Rede.

Mir wäre hingegen nicht bekannt, dass das Baskenland, Galicien oder Katalonien dafür aufkommen müssen, dass ihre jeweiligen Landessprachen irgendwo berücksichtigt werden, wo es gesetzlich vorgeschrieben ist. Das wäre ja auch völlig skurril.

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València: multe salate a chi esalta il franchismo.

La Generalitat Valenciana ha recentemente inflitto le prime due multe (di € 4.000,– ciascuna) a due manifestanti che lo scorso 12 ottobre, festa nazionale spagnola, hanno partecipato a una marcia pubblica con torce e simbologia franchista. E vi sarebbero già ulteriori atti al vaglio delle autorità regionali competenti.

Si tratta di sanzioni amministrative introdotte dalla legge valenciana di memoria democratica, che possono raggiungere un massimo di € 12.000,- per infrazione.

Tale legge regionale stabilisce, tra le altre cose, che le amministrazioni pubbliche debbano prevenire ed evitare gli eventi pubblici che disprezzino o umilino le vittime del franchismo o i loro famigliari.

Purtroppo il Sudtirolo non solo non ha una simile legge, ma con ogni probabilità non avrebbe nemmeno le competenze necessarie a introdurre sanzioni a danno di chi esalta il fascismo. L’Italia ha sì una legislazione che sanzionerebbe atti di questo tipo, ma è applicata in modo estremamente blando.

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Europarat empfiehlt València Immersion.
Mehrsprachige Schule wird kritisiert

Am 31. März hat der Europarat einen Bericht seines einschlägigen Expertinnenenkomitees über die Umsetzung der Charta der Regional- oder Minderheitensprachen in Spanien veröffentlicht. Konkret wurde überprüft, inwieweit die vom Komitee im Rahmen der fünften periodischen Evaluation empfohlenen Maßnahmen bereits in die Tat umgesetzt wurden.

Der Region València (País Valencià) wurde dabei — nicht zum ersten Mal — der Immersionsunterricht in valencianischer Sprache, einer Variante des Katalanischen, empfohlen. Gemeint ist (wie hier beschrieben) nicht etwa eine mehrsprachige Schule, sondern ein Schulmodell in der Minderheitensprache.

Ein mehrsprachiges Modell, das die valencianische Regierung vorantreiben will, wird in dem Bericht sogar ausdrücklich kritisiert, weil es die valencianische Sprache schwächen würde: es sieht jeweils mindestens 25% Unterrichtszeit auf Valencianisch (Katalanisch), 15% auf Englisch und 25% auf Kastilisch (Spanisch) vor. Dieses Verhältnis, bei dem die Minderheitensprache auf maximal 60% begrenzt wird, verhindere den Immersionsunterricht in der Minderheitensprache, so das Expertinnenkomitee.

Schon vor Jahren hatte der Europarat das Modell von Katalonien — eine weitgehend katalanische Schule für alle — zur Best Practice erklärt. Doch selbst dieses Modell scheint den Fortbestand der Minderheitensprache im spanischen Nationalstaat nicht langfristig sicherzustellen.

Siehe auch 1›

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Modello linguistico e scolastico in crisi.
Catalogna

Da anni su questa piattaforma scriviamo che la scuola plurilingue, specie se il modello è «paritetico» rischia, suo malgrado, di diventare uno strumento di assimilazione. Dopo l’era franchista, sin dall’inizio, in Catalogna si è invece deciso di puntare tutto sull’inclusione, su una scuola plurilingue asimmetrica con forte prevalenza della lingua catalana. In teoria, il peso della lingua minoritaria nelle scuole sarebbe dovuto essere maggiore proprio nelle zone in cui il suo uso sociale era più flebile.

Già da anni giravano voci secondo cui molte scuole, e molti maestri, non sarebbero in grado (o non avrebbero la volontà) di garantire l’assimetria prevista e che anzi in realtà il rapporto tra castigliano e catalano sarebbe capovolto. In un numero di cortili scolastici crescente, inoltre, la lingua franca tra gli alunni sarebbe ormai il castigliano. Non proprio quello che la politica catalana aveva immaginato quando con la rinuncia alla cosiddetta «segregazione» degli alunni per lingua aveva anche dichiarato di voler fare del catalano la lingua di coesione comune.

Fin qui le chiacchiere. A far molto discutere però è la recente elaborazione del quotidiano El Punt Avui (del 13 dicembre) sulla base di dati ufficiali e certificati: tra il 2005 e il 2020 la quota di chi dichiara che il catalano è la sua «lingua abituale» sarebbe sceso dal 46,0% al 36,1%. Un calo oltre ogni aspettativa, quando anzi la speranza era che le cifre fossero in aumento.

Certo, la situazione non cambia osservando le altre realtà di lingua catalana, dove i modelli linguistici e scolastici sono molto differenti: nel País Valencià il catalano era «lingua abituale» del 32,8% della popolazione nel 2005, del 28,1% oggi. Stessa storia per Isole Baleari (45,0% → 36,8%), Alguer/Alghero (13,9% → 9,1%) o Catalogna del Nord (3,5% → 1,3%).

Se è vero che le ragioni di questa débâcle non vanno ricercate solamente nella scuola, sembra anche certo che il sistema istruzione non sia comunque riuscito a fermare un declino che ormai ha assunto dimensioni allarmanti. E ne è conferma il fatto che tutte le statistiche dimostrano come l’uso sociale della lingua minoritaria è maggiormente in calo nei giovani.

Per decenni la scuola unica plurilingue ed assimetrica catalana sembrava un modello vincente, in grado di promuovere la coesione sociale, di formare persone plurilingui e di salvaguardare la lingua catalana, facendola diventare una sorta di bene comune.

E invece. Invece, se per ora non ci sono voci ufficiali che mettono in forse il modello scolastico, è anche vero che per la prima volta — da quando seguo media e politica catalani — la rivendicazione di scuole separate per lingua sta assumendo connotazioni più che aneddotiche. Altrimenti, dicono alcuni, la lingua potrebbe sparire definitivamente.

Non è detto (e anzi sembra improbabile) che queste voci possano prendere il sopravvento. Il modello attuale sta però attraversando una forte crisi.

E se la scuola è certamente un tassello fondamentale della politica linguistica, urge interrogarsi se non sia prima di tutto il modello di stato, quello nazionale, a mal conciliarsi con la pluralità linguistica. A lungo andare infatti, a prescindere dal tipo di tutela linguistica, sembra che tutte le minoranze tendano verso zero.

Quel che cambia è solo la velocità con cui avanza l’assimilazione.

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Spanien: Neuwahl erhöht Zersplitterung.
Rekordergebnis für katalanische Unabhängigkeitsbefürworterinnen

Weil der geschäftsführende Premierminister Pedro Sánchez (PSOE) nach der Kongresswahl vom April keine Koalition mit anderen Parteien eingehen wollte, hat Spanien gestern zum vierten Mal in vier Jahren gewählt. Die Rechnung der Sozialistinnen, die eine eigene Mehrheit wollten, ist dabei nicht aufgegangen — im Gegenteil: Mit rund 28% der Wählerstimmen verlor die PSOE im Vergleich zur Kongresswahl im April sogar einige Abgeordnete (120 Sitze, -3). Auch die Gesamtsituation ist noch einmal unübersichtlicher geworden, da Sánchez jetzt auch mit Podemos und anderen Linken keine Mehrheit mehr hätte.

Podemos sackte dabei von 42 auf 35 Sitze (-7) zusammen, die rechte Volkspartei (PP) konnte von 66 auf 88 zulegen (+22). Gleichzeitig verlor Ciudadanos (Cs) in einer für sie desaströsen Wahl 47 von 57 Abgeordneten, die sie noch im Frühling erringen konnte (nunmehr 10 Sitze).

Aufsehenerregend ist das Ergebnis der rechtsextremistischen und offen Franco verherrlichenden Vox, die ihre Sitze von 24 auf 52 Sitze (+28) mehr als verdoppeln konnte. Fraktionen mit 50 Mitgliedern und mehr erhalten im spanischen Kongress besondere Rechte, wie zum Beispiel jenes, Gesetze vor dem Verfassungsgericht anzufechten. Mit dem drittgrößten Klub im Kongress (hinter PSOE und PP) kann Vox fortan also massiv in die politische Agenda eingreifen.

In Katalonien konnten die separatistischen Kräfte ihr Rekordergebnis vom April noch einmal von 22 auf 23 Abgeordnete (+1) steigern. Erste Partei blieb ERC mit 13 Sitzen (-2) — mehr, als die Unabhängigkeitsgegnerinnen von Cs in ganz Spanien erringen konnten. Die PSC wird zwölf Abgeordnete (±0) in die PSOE-Fraktion entsenden, JxC konnte ihr Ergebnis von sieben auf acht Mandatarinnen (+1) steigern und überholt Podem, die bei sieben (±0) verharrt. Es folgen PP und Vox mit je zwei Abgeordneten (beide +1). Die radikal linke CUP, die zum ersten Mal bei staatsweiten Wahlen angetreten war konnte aus dem Stand ebenfalls zwei Sitze (+2) gewinnen. Nur noch 5,6% der Stimmen in Katalonien erhielt Cs, womit sie ebenfalls noch zwei Abgeordnete nach Madrid entsendet (-3).

Ebenfalls im Kongress vertreten sind die zentristische baskische Autonomiepartei EAJ (7 Sitze, +1) und die baskisch-separatistische Linkspartei bildu (5 Sitze, +1).

Es folgen die Podemos-Abspaltung Más País (3 Sitze, +3), Coalición Canaria (2 Sitze, ±0), Navarra Suma (2 Sitze, +2), Partido Regionalista de Cantabria (1 Sitz, +1) und ¡Teruel Existe! (1 Sitz, +1). Ebenfalls den Wiedereinzug ins Parlament schaffte die linke galicische Unabhängigkeitspartei BNG (1 Sitz, +1) sowie Més Compromís aus València (1 Sitz, ±0).

Nachtrag vom 13. November 2019: Aufgrund von Nachzählungen verschiebt sich ein Mandat von EAJ (6 Sitze) zu PP (89 Sitze).

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5

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100 Jahre für ein Referendum.
Tribunal Supremo beschließt hohe Haftstrafen

Heute früh gab das spanische Höchstgericht sein Urteil gegen die politischen Häftlinge aus Katalonien bekannt.

  • Insgesamt rund 100 (um genau zu sein: 99,5) Jahre betragen die verhängten Haftstrafen, dazu kommen Amtsverbote und Geldstrafen. Der siebenköpfige Senat entschied einstimmig.
  • Schon im Vorfeld waren Details des Urteils durchgesickert, mehrere Verteidigerinnen kündigten Beschwerden an.
  • Zwischen 9 und 13 Jahren Freiheitsentzug wurden im Einzelnen verhängt:
    • Oriol Junqueras (ERC): 13 Jahre (Aufruhr und Veruntreuung)
    • Dolors Bassa, Raül Romeva (ERC), Jordi Turull: je 12 Jahre (Aufruhr und Veruntreuung)
    • Carme Forcadell (JxC): 11,5 Jahre (Aufruhr)
    • Joaquim Forn, Josep Rull: je 10,5 Jahre (Aufruhr)
    • Jordi Cuixart (Òmnium Cultural), Jordi Sànchez (ANC): je 9 Jahre (Aufruhr)
  • Die katalanischen Ex-Ministerinnen Carles Mundó, Meritxell Borràs und Santi Vila wurden wegen Ungehorsams zu Geldstrafen verurteilt.
  • Den Vorwurf der Rebellion (Hochverrat) machte sich der Senat nicht zueigen, für den anerkannten Tatbestand des Aufruhrs ist das Strafmaß jedoch außergewöhnlich hoch.
  • Für Urteile des Höchstgerichts gibt es keine weitere innerstaatliche Instanz. Aller Voraussicht nach werden sich die Verurteilten an den Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte (EGMR) wenden.
  • Im Fall des ERC-Vorsitzenden und ehemaligen stv. Regierungschefs Oriol Junqueras hatte sich das Höchstgericht an den EuGH gewandt, um dessen Immunitätsstatus als EU-Abgeordneter klären zu lassen. Beobachterinnen zufolge stellt es eine Anomalie dar, dass die Antwort des EU-Gerichts nicht abgewartet wurde.
  • In Katalonien kam es nach Bekanntwerden des Urteils zu massiven spontanen Kundgebungen, die zur Stunde andauern. Hochgeschwindigkeitsstrecken wurden lahmgelegt.
  • Auch in València, auf den Balearen und im zu Frankreich gehörenden Nordteil Kataloniens gingen die Menschen auf die Straße.
  • Die Bewegung Tsunami Democràtic rief (wohl nach Hongkonger Vorbild) zur Besetzung des Flughafens von Barcelona auf. Mehr als 100 Flüge mussten gestrichen werden.
  • Der katalanische Gemeindenverband (AMC) und die Vereinigung der Gemeinden für die Unabhängigkeit (AMI) riefen die Kommunen auf, die institutionelle Tätigkeit für 72 Stunden einzustellen.
  • Premierminister Pedro Sánchez (PSOE) schloss sich dem Urteil in einer ersten Stellungnahme entschieden an. Die Verurteilten hätten gegen die Interessen der nicht separatistischen »Mehrheit« gehandelt. (Es ging jedoch gerade um die Ermittlung eines mehrheitlichen Willens). Begnadigungsforderungen erteilte er eine erste Absage, wofür er von Podemos-Chef Pablo Iglesias postwendend kritisiert wurde.
  • Die schottische Regierungschefin Nicola Sturgeon (SNP) twitterte: »These politicians have been jailed for seeking to allow the people of Catalonia to peacefully choose their own future. Any political system that leads to such a dreadful outcome needs urgent change. My thoughts and solidarity are with all of them and their families.«
  • Die Europäischen Grünen veröffentlichten eine Stellungnahme. Eine politische Lösung der Katalonienfrage könne es nicht geben, solange politische Anführerinnen im Gefängnis sitzen.
  • Der ehemalige griechische Finanzminister Yanis Varoufakis schrieb auf Twitter: »I have no right to comment on Catalan independence. It is for the Catalans to decide. BUT, the rest of us must rise up against politicians being sentenced to long prison stretches in the heart of Europe for pursuing political agendas mandated by voters«
  • Den einst von Spanien empört aufgenommenen Entscheiden ausländischer Gerichte, dass (etwa im Fall des ehemaligen Präsidenten Puigdemont) kein Hochverrat vorliege, stimmte das Gericht mit dem Urteil indirekt zu.
  • Richter Pablo Llarena erließ bereits einen neuen Europäischen Haftbefehl gegen Puigdemont (diesmal wegen Aufruhr und Veruntreuung, nicht aber wegen Rebellion).
  • Die Zentrale Wahlkommission (JEC) veranlasste umgehend die Streichung der Verurteilten von den Wahllisten der Kongresswahl vom 10. November.
  • Die Sprecherin der EU-Kommission Mina Andreeva bezeichnete das Urteil in der täglichen Pressekonferenz einmal mehr als interne Angelegenheit Spaniens.
  • Die Bürgermeisterin von Barcelona, Ada Colau (BenC) rief die vom Urteil »verletzten« Unabhängigkeitsbefürworter- und -gegnerinnen auf, gemeinsam die Stimme zu erheben.
  • Der katalanische Präsident Quim Torra (JxC) verlangte ein unverzügliches Treffen mit Premier Sánchez und dem König.

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