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Politik als Verwaltung.
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[Hannah Arendts] Sorge ist, dass man nicht Politik mit Philosophie vermengen soll. Ich glaube, es ist ein bisschen ein Klischee. […] Warum ist das ein Klischee? Weil — was für ein Bild hat man von der Politik und von der Philosophie? Die Philosophie sei starr, sei tyrannisch, und die Politik sei konkret und…

…aber gibt es da nicht noch eine andere Befürchtung, die man so formulieren könnte: Der Philosoph strebt nach Kohärenz, nach Reinheit, nach Widerspruchsfreiheit und das ist genau das, was er in der Politik niemals finden kann.

Ja, aber ich würde dann fragen: Ist es nicht so, sind die Folgen heutzutage nicht, dass wir auf diese Weise heute eine Politik haben, die ohne Vision ist, eine Politik, die — ich würde sagen — auf eine Verwaltung reduziert ist?

Dass es keinen Horizont, auch keinen utopischen Horizont mehr gibt…

Ja, utopischen Horizont sowieso, aber eine Politik, die wirklich keine Tiefe mehr hat, keine Denktiefe, es ist eine Politik die nur Verwaltung ist und Lösung von Problemen — und nichts anderes.

Wir haben heute diese Neigung, diese Tendenz, die Demokratie eigentlich nur als einen prozeduralen Vorgang zu sehen, als eine ganze Menge Regeln und nichts anderes. Und wir sehen auch die Teilnahme der Bürger, also man wählt nicht mehr. Die Zahlen sagen, dass die Menschen immer skeptischer werden und ich glaube, das ist wirklich eine große, ganz große Gefahr.

Auszüge, Transkription von mir

Die Philosophin Donatella Di Cesare in der Sternstunde Philosophie des SRF vom 7. November 2021

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Il virus sovrano.
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[L]e procedure democratiche vengono sospese da disposizioni prese nel segno dell’emergenza. Un decreto di qua e un decreto di là: così cittadine e cittadini finiscono per accettare «misure» che dovrebbero garantirne la sicurezza, ma che in effetti ne limitano fortemente la libertà. I provvedimenti presi negli ultimi giorni da governo e regioni – in ordine sparso – sono emblematici. Si giunge fino a chiudere i luoghi della cultura, a vietare manifestazioni e riunioni. Sono «misure» che hanno – inutile dirlo – un sapore autoritario e un carattere inquietante.

È indubbio che si usi biecamente la paura per governare. Proprio per questo il sovranismo, soprattutto quello anti-immigrati, non è una riedizione del vecchio nazionalismo. È un fenomeno nuovo: fa leva sul timore dell’altro, l’allarme per ciò che viene da fuori, l’ansia della precarietà, la voglia di esserne immuni.

La democrazia immunitaria è perciò un’inedita forma di governance dove la politica, ridotta ad amministrazione, per un verso si rimette al dettato dell’economia planetaria, per l’altro si autosospende abdicando alla scienza – «facciamo parlare gli esperti!» – che s’immagina oggettiva, vera, risolutiva. Come se la scienza fosse neutra e neutrale, come se non fosse già da tempo strettamente connessa con la tecnica, altamente tecnicizzata.

Il coronavirus, questo virus sovrano già nel nome, si fa beffe del sovranismo d’eccezione, che vorrebbe grottescamente profittarne. Sfugge, glissa, passa oltre, varca i confini. E diventa metafora di una crisi ingovernabile, di un crollo apocalittico. Ma il capitalismo, lo sappiamo, non è un disastro naturale.

da un commento della filosofa Donatella Di Cesare apparso sul Manifesto (1 marzo 2020)

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Una svolta inquietante nella Spagna postfranchista.

Per gentile concessione dell’autrice riproponiamo qui un articolo apparso sul Manifesto del 15 ottobre.

di Donatella Di Cesare*

La parola chiave della sentenza emessa dalla Corte Suprema spagnola è sedición, sedizione, cioè la rivolta pubblica contro l’autorità. Ma le pene sono talmente pesanti che, malgrado ogni smentita, dietro sembra risuonare il reato di ribellione, vale a dire uso della violenza anticostituzionale. Il che è in linea con tutto il processo contro gli esponenti dell’indipendentismo catalano, un processo durato due anni, durante i quali gli imputati, costretti al carcere preventivo, non hanno potuto far valere i loro diritti.

Particolarmente significative sono la condanna a 12 anni inflitta a Carme Forcadell, filologa e attivista politica, ex presidente del Parlament catalano e quella a 13 anni, la più alta di tutte, con cui è stato punito Oriol Junqueras, ex vicepresidente del governo catalano, leader del partito di Sinistra repubblicana (Esquerra Republicana). Alla sedizione si aggiunge il reato di malversazione, cioè l’utilizzo di fondi pubblici impiegati per il referendum del 2017. Occorre ricordare che ad essere colpiti sono anche i rappresentanti della società civile accusati di «disobbedienza». Il bersaglio è tutto l’indipendentismo catalano. Ada Colau, sindaca di Barcellona, ha parlato giustamente di «sentenza crudele». Le manifestazioni di protesta riempiono le strade della Catalogna, da Girona a Lleida, mentre sono previste anche azioni di sabotaggio.

Come il carcere preventivo non ha aiutato ad affrontare il problema, così questo giudizio finirà per aggravare ed esasperare il conflitto trasferendolo alla Corte europea e ai tribunali internazionali.
Il verdetto segna una svolta inquietante nella storia della Spagna postfranchista. Comunque si voglia valutare la complessa questione catalana, è indubbio infatti che si è trattato di un processo politico, dove sono state giudicate anzitutto le idee. E questo è inaccettabile in una democrazia.

Pesa in tutta la vicenda il ruolo ambivalente giocato dal Partito socialista di Pédro Sanchez che alla fin fine non si è impegnato a trovare una via d’uscita, come dimostrano le richieste di condanna presentate dalla Procura e dall’Avvocatura di Stato, cariche nominate dal governo. Tutto ciò avrà importanti conseguenze sulle prossime elezioni spagnole del 10 novembre. Non si può escludere che ne approfitti non tanto il Partito popolare, quanto l’ultradestra di Vox, il partito erede di Francisco Franco, guidato ora da Santiago Abascal, che al motto di «Prima gli spagnoli!», oltre ad abolire l’aborto e mettere fuori legge le organizzazioni femministe, vuole chiudere i porti ai «clandestini», autorizzare solo lo spostamento di popoli di lingua e cultura ispanica e soprattutto eliminare le autonomie. Il che deve far riflettere sulla collocazione politica dell’indipendentismo catalano attaccato da un inquietante fronte reazionario come non si era mai visto negli ultimi decenni.

Emerge oggi, attraverso questo verdetto, quanto gli Stati-nazione europei siano un ostacolo alla vita dei popoli, producendo conflitti interni, fomentando il sovranismo, richiedendo neppure troppo tacitamente la pulizia etnica alle frontiere.

Emblematico è proprio lo Stato-nazione spagnolo con le sue differenze linguistiche e culturali, che dovrebbero arricchirlo, e la sua aspirazione a una fantomatica identità. Proprio questo è il tema che la sinistra antisovranista dovrebbe ripensare.

L’Europa avrebbe dovuto diventare una nuova e flessibile forma politica sovranazionale, capace proprio per ciò di ospitare al suo interno le autonomie, garantendo i diritti attraverso una nuova cittadinanza, aperta anche ai migranti. È rimasta invece un coacervo di Stati-nazione in continua competizione, sempre più ripiegati su se stessi e gelosi della propria sovranità.
Nell’Europa attuale, che ha chiuso un occhio, anzi due, sull’annessione della Crimea, la questione catalana, pur non essendo l’unica, ha un valore simbolico. Anzitutto per quella grande tradizione democratica che la Catalogna rappresenta. Ma anche perché il conflitto non ha tanto connotati protonazionali (anche se non mancano frange identitarie), quanto postnazionali. Questo spiega perché mette in discussione il tema dello Stato, tocca l’Europa, investe la democrazia, richiede una risposta internazionalista.

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*) Donatella Di Cesare, allieva di Hans-Georg Gadamer, è ordinaria di Filosofia alla Sapienza di Roma, saggista ed editorialista per il Manifesto e per l’Espresso.

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Vecchio armamentario nazionalistico.
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Oggi ha sfilato l’Italietta patriottica. Coccarde, bandiere, gagliardetti, frecce tricolori, corsa dei bersaglieri. “Il Piave mormorava”, cantato con orgoglio nazionalistico, con particolare enfasi sul ritornello “non passa lo straniero!”. Intorno a questo vecchio armamentario una folla che per qualche istante scopre di essere così italiana.

Donatella Di Cesare, filosofa, scrittrice, professoressa alla Sapienza di Roma (su Facebook)

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Scardinare la finzione.
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[N]on si sperava forse, dopo tutti i disastri del secolo scorso, che si potesse essere «cittadini europei» senza appartenere necessariamente a uno Stato-nazione? I catalani sarebbero allora cittadini europei anche se non dovessero più essere cittadini spagnoli. Altrimenti dovremmo pensare che il passaporto europeo non sia che un duplicato di quello nazionale. Al contrario di quel che credono i sovranisti, il limite dell’Europa non è quello di aver messo in questione la sovranità dei singoli Stati-nazione, bensì di non essere riuscita a scardinare dal fondo questa vecchia finzione, da tempo in crisi, più esangue che mai e perciò tanto più avvinghiata al potere. L’Europa è rimasta ostaggio delle nazioni.

da un commento della filosofa Donatella Di Cesare apparso sul Corriere della Sera

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