Pochi giorni fa (il 30 giugno) sulla TV pubblica catalana (TV3) — nell’ambito del formato 30 minuts — è andato in onda un documentario sullo stato di salute della lingua catalana, dal titolo Llenguaferits. L’ho trascritto e tradotto quasi tutto, per via dei parallelismi che se ne possono trarre per la situazione linguistica (del tedesco, dell’italiano e del ladino) in Sudtirolo. E, ovviamente, anche per le differenze (piccole e grandi) che ci sono.
Ad ogni modo sono convinto che il contenuto possa essere di grandissimo interesse per la nostra realtà. Alcuni passaggi, quelli che, nel bene e nel male, ritengo più significativi, li ho voluti evidenziare, sottolineandoli.
Presentatore: Buona sera. La salute del catalano è sempre stata, e continua a esserlo, un tema controverso. Filologi e patiti della lingua da anni discutono se la lingua sia [già] condannata, e alcuni, perfino, fanno un pronostico e ne prevedono la disapparizione entro pochi decenni. Però, più in là di queste previsioni negative, la situazione in cui oggi si trova il catalano merita una nuova riflessione. Perché il suo futuro ormai non è più legato solamente all’ostilità dello stato spagnolo o al grado di ufficialità, bensì [anche] a nuovi elementi. Innanzittutto una nuova demografia. Ci sono un milione e mezzo di persone nuove arrivate che parlano oltre 200 lingue materne. Però anche, e questo è un segnale di allerta molto chiaro, le nuove abitudini di svago dei bambini e dei giovani. Le nuove generazioni hanno smesso di consumare la televisione convenzionale e cercano in internet i loro punti di riferimento. E nella rete, su YouTube o su Instagram, il catalano è marginale. Gli ostacoli sono evidenti, e senza cambiamenti profondi la fragilità del catalano diventerà irreversibile. Però alcuni filologi dicono che i parlanti [del catalano] hanno ancora a portata mano il recupero degli spazi persi. L’alternativa, la sparizione dallo spazio pubblico, la vedremo nel reportage [realizzato] nei territori catalalofoni in cui la lingua è già stata sostituita.
Albert Sánchez Piñol (scrittore): «Il catalano è sempre stato in pericolo da quando lo conosco. Ho la sensazione che sia una lingua che ha una cattiva salute di ferro.»
Carme Junyent (linguista): «Uno dei tratti che catatterizzano i popoli che hanno perso la lingua è che nessuno se n’è reso conto, fin quando non c’è stato più nulla da fare.»
Víctor Amela Bonilla (giornalista e scrittore): «Non sparirà. Cioè, ci sono stati 40 anni di una dittatura feroce che, coscientemente, ha voluto eliminare il catalano dall’uso culturale, dall’uso istituzionale, dall’uso pubblico… e ha fallito.»
Pau Vidal (divulgatore linguistico): «Ripetono il mantra che recita „Se la lingua è sopravvissuta al franchismo non morirà mai“, che è un’assurdità sociolinguistica, perché Netflix è molto più potente del franchismo.»
Neus Nogué (filologa dell’Universitat de Barcelona): «Quel che è importante è che la gente parli, che parli la lingua; in questo caso, che parli catalano, meglio o peggio, ma che lo parli.»
Àlex Hinojo (attivista culturale): «O lo usi tutti i giorni o sparisce. Perché l’alternativa è molto semplice, è qui [pronta] ed è molto comoda. Quindi tutti gli aspetti del nostro quotidiano richiedono attivismo. Sì.»
David Carabén (cantante del gruppo Mishima): «È meglio continuare a difendere il catalano perché è una lingua molto… molto utile, che non perché è una lingua che sta per morire. Io ho sviluppato un grande amore per questa lingua, però se un giorno si perdesse, succederà perché non c’è abbastanza gente che l’ama.»
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