Categories
BBD

Ramelli: Befriedung mit Faschogruß.
Giuseppe Sala und Ignazio La Russa

Zum wiederholten Mal hat gestern der grüne Bürgermeister von Mailand, Giuseppe Sala, an der Gedenkfeier für den 1975 von Linksextremisten umgebrachten Neofaschisten Sergio Ramelli teilgenommen, der inzwischen zu einer Märtyrerikone des italienischen Rechtsextremismus avanciert ist. Jahr für Jahr treffen sich in der lombardischen Hauptstadt hunderte Faschistinnen, um am Schauplatz des Mordes eine schauderhafte Zeremonie mit römischen Grüßen abzuhalten. Heuer sollen sich rund tausend Teilnehmerinnen eingefunden haben.

Immer wieder waren in den vergangenen Jahren auch wichtige Vertreterinnen von FdI wie der EU-Abgeordnete Carlo Fidanza bei diesem grässlichen »inoffiziellen« Teil der Gedenkfeier zugegen.

Tweet von Repubblica

Die Beteiligung des Mailänder Bürgermeisters am offiziellen Teil geht indes auf Giuliano Pisapia (PD) zurück — seine Vorgängerin Letizia Moratti (FI) war nie dabei gewesen.

Besondere Brisanz hatte die diesjährige Veranstaltung allerdings, weil Giuseppe Sala daran Seite an Seite mit dem Senatspräsidenten Ignazio Benito La Russa (FdI) teilnahm. Der war wenige Tage zuvor, am Tag der Befreiung vom Faschismus, nach Tschechien geflüchtet, wo er demonstrativ an den Ehrungen für den antisowjetischen Studenten Jan Palach teilnahm.

Im Vorfeld des 25. Aprils hatte er keck behauptet, in der italienischen Verfassung sei gar nicht von Antifaschismus die Rede.

Fragen der Journalistinnen, die gestern wissen wollten, was er vom inoffiziellen Teil der Gedenkfeiern halte — den zu erwartenden römischen Grüßen — wich La Russa auf arrogante und aggressive Weise aus (vgl. ‹1 ‹2). Stattdessen sprach er von »nationaler Befriedung«, einem rechten Code für die Gleichstellung von Faschismus und Antifaschismus, die er allerdings mit seiner Abwesenheit am 25. April selbst verraten hat.

Dieser »Befriedung« unter revisionistischen Vorzeichen leistete der grüne Bürgermeister mit seiner Anwesenheit — bei gleichzeitiger Duldung der extremistischen Zeremonien — jedoch erneut Vorschub. Bei der letztjährigen Feier stand übrigens Giorgia Meloni (FdI) direkt neben ihm, damals noch als Oppositionspolitikerin.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 ‹7 ‹8 ‹9

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
Autorinnen und Gastbeiträge

Ma chi erano quelli del «Bozen»?

Lorenzo Vianini

Nel marzo 1944 Roma è sotto il controllo tedesco da diversi mesi e nonostante la mancata organizzazione della difesa della città, come il resto del paese lasciata in balia di sé stessa dopo la fuga del Re e Badoglio, la città dimostrò da subito come non intendesse collaborare con l’occupante. La battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre sarà solo l’inizio della resistenza cittadina, che nei mesi precedenti al 23 marzo vedrà oltre sessanta azioni contro l’occupante e il suo alleato fascista.

L’azione dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) si inserisce quindi in un contesto più ampio, in cui gli stessi comandi tedeschi cercavano di tenere basso il livello dello scontro, per mantenere calma la popolazione e poter usare la città come retrovia del vicino fronte. Fino a quel momento la risposta dell’occupante a bombe gappiste, sabotaggi e sparatorie si era limitata a fucilazioni di persone già condannate a morte, rastrellamenti o ordinanze repressive. Ma l’azione di via Rasella rappresenta un salto di qualità, il più eclatante attacco alle forze naziste in una capitale europea: un ordigno dei GAP e l’esplosione di diverse granate dell’unità militare bersaglio dell’azione, uccidono 33 soldati e ne feriscono gravemente almeno altri 45 (presenti sulla Verlustliste dell’unità, quindi perdite). Nonostante gli sforzi dei gappisti, che anche a rischio di far fallire l’operazione evacuano molti civili presenti, le esplosioni uccidono anche due civili, mentre altri cinque verranno uccisi dalle forze di occupazione nei momenti concitati successivi all’azione.

Le autorità naziste decidono di eseguire una rappresaglia esemplare, un’enorme vendetta per atterrire la popolazione locale e far così mancare il suo sostegno a chi resisteva con le armi. Nel giro di ventiquattrore viene così ordinata ed eseguita, anche con l’aiuto delle autorità fasciste e della questura di Roma, l’uccisione di 335 persone. Per anni è stata discussa la possibilità che i gappisti potessero evitare la rappresaglia consegnandosi, oppure evitare proprio di agire perché sapevano quali sarebbero state le conseguenze: in entrambi i casi si tratta di falsi storici, perché non esisteva al tempo alcuna «Repressalquote» di 10 a 1 né un automatismo nella realizzazione delle rappresaglie, mentre i famosi comunicati via radio o tramite cartelloni sono ancora oggi testi invisibili, mai scovati da nessuno in alcun archivio o fondo privato, addirittura esclusi dall’Oberbefehlshaber Südwest Albert Kesselring (anche se la sua testimonianza meno affidabile tra quelle rese ai processi alle Fosse Ardeatine, avendo lo stesso mentito sul suo coinvolgimento per evitare la pena di morte – v. Raiber 2002, von Lingen 2004).

Soldati sudtirolesi a Roma – Un’immagine dalla serie di articoli di Umberto Gandini per l’Alto Adige, 1977

Il luogo della strage, le Fosse Ardeatine, sono diventate nel dopoguerra uno dei principali luoghi della memoria italiani. In Sudtirolo sarà invece Via Rasella ad essere al centro dell’attenzione, per via della provenienza del reparto attaccato: il Polizeiregiment «Bozen», giunto in città a febbraio dopo quattro mesi di addestramento.

Chi erano allora, quelli del Bozen?

Con l’armistizio dell’8 settembre, le truppe della Wehrmacht attraversano il Brennero per unirsi a quelle già presenti sul territorio, che sarà così diviso in tre settori: in avanzamento da sud, i territori sotto il controllo del governo Badoglio e degli alleati; più a nord, la Repubblica Sociale Italiana; sui territori del confine nord-orientali, le due Zone di Operazioni sotto il diretto controllo del Terzo Reich. Il Sudtirolo faceva parte dell’Operationszone Alpenvorland (OZAV), posta sotto il comando del Gauleiter del Tirolo Franz Hofer, che immediatamente si attiverà per l’utilizzo della popolazione locale per le esigenze belliche. Il Sudtirolo era infatti considerato una importante «riserva», una sacca di risorse umane per la guerra da reclutare tra la popolazione di lingua tedesca.

Le linee guida elaborate da Hofer saranno però elaborate solo a partire dal novembre 1943, mentre il reclutamento per il Polizeiregiment «Bozen» era iniziato già il 1° ottobre. Per questo motivo esisteranno molte differenze tra questo reggimento ed i successivi – Schlanders, Alpenvorland e Brixen: per esempio, l’ordinanza che introduce la Sippenhaft e la pena di morte per i disertori, obbligando all’arruolamento tutti gli optanti e Dableiber delle classi nate tra il 1894 e 1926, è del 6 gennaio 1944, quando il «Bozen» ha già concluso l’addestramento.

Inizialmente denominato Polizeiregiment «Südtirol» e formato da circa 2.000 uomini delle coorti tra il 1900 e il 1912, il primo reggimento venne poi denominato «Bozen» e integrato con successivi innesti, come dimostra la composizione della compagnia attaccata in Via Rasella – dove il più anziano era Jakob Erlacher (43 anni), mentre il più giovane era il ventitreenne Arthur Atz. Spesso si trattava di reduci dell’esercito italiano, in particolare delle campagne d’Africa, e in larga parte erano optanti per la Germania, perché considerati politicamente più affidabili, spesso reclutati su base volontaria – anche se i reduci testimonieranno come in molti casi si fosse trattato di «volontarietà coatta» o di reclutamenti attraverso l’inganno. Si trattava di persone troppo vecchie o troppo giovani per essere aggregate alla Wehrmacht o alle Waffen-SS, ma era un’unità a scopo militare, con addestramento ed equipaggiamento non solo per compiti di sorveglianza e difesa di luoghi strategici, ma adatti alla guerra antipartigiana nelle zone dove opereranno. Le date di nascita rivelano anche come quasi tutti fossero nati sotto l’Impero asburgico, appartenessero quindi non solo al gruppo etnico tedesco ma lo fossero di nazionalità, cui bisogna aggiungere che molti di questi avevano o avrebbero presto perso la cittadinanza italiana «ricevuta» dopo l’annessione del 1919, per via della loro Opzione per il Reich.

Commemorazione – Nel cimitero militare di San Giacomo la targa in ricordo dei soldati del Bozen, inaugurata nel 1981

Il reggimento presta giuramento il 28 gennaio e sarà diviso in quattro battaglioni, ognuno formato da quattro compagnie. Le tre compagnie del terzo battaglione del Polizeiregiment «Bozen» verranno impiegate in modi diversi: a rotazione sarebbero state impiegate due compagnie, mentre la terza doveva servire come riserva. Da febbraio a marzo, la nona e la decima verranno impiegate per la sorveglianza di luoghi strategici, mentre l’undicesima avrà un compito di facciata: ufficialmente destinata ad un supplemento di addestramento, in realtà avrà un ruolo repressivo indiretto tramite la propria stessa presenza in città. Un reparto in assetto da guerra, che marcia nell’uniforme grigioverde della Wehrmacht, cantando per farsi notare più possibile. Per questo, semplificando e banalizzando a partire da un particolare vero, il Presidente del Senato La Russa ha parlato di musicisti: non erano solo visibili, con le loro divise ed armi, ma venivano sentiti cantare durante le proprie marce, un modo per rendere più evidente possibile la propria presenza, la presenza dell’occupante.

Venivano su cantando, nella loro lingua che non era più quella di Goethe, le canzoni di Hitler. Centosessanta uomini della polizia nazista, con le insegne dell’esercito nazista… Venivano su cantando, macabri e ridicoli…

– Rosario Bentivegna in “Achtung Banditen” (2004)

L’arruolamento antipartigiano – Immagini tratte da «Südtiroler in der Waffen-SS» di Thomas Casagrande

Polizeiregimente – Né poliziotti né SS, ma soldati

I corpi di polizia germanici avevano subíto una profonda mutazione con la presa del potere nazionalsocialista, con una progressiva militarizzazione in «Vorbereitung auf neue und größere Aufgaben in der Zukunft». Anche i Polizeiregimente saranno così formati a partire dalla struttura della Ordnungspolizei, sottoposti al «Höchsten SS- und Polizeiführer» in Italia Karl Wolff, simili a soldati della Wehrmacht negli armamenti, nei gradi militari e nelle uniformi grigioverdi.

Il doppio ruolo di Wolff ricalcava quello di Himmler, Reichsführer SS und Chef der deutschen Polizei: il fatto che quest’ultimo fosse contemporaneamente capo delle SS e capo della polizia, unito a motivazioni di prestigio (e propaganda interna) e un riordinamento generale delle forze tedesche, sono stati probabilmente il motivo per cui con decisione del 24 febbraio 1943 tutti i Polizeiregimente – non solo quelli sudtirolesi – verranno ridenominati SS-Polizeiregimente: per il «Bozen», già formato da mesi e in quel momento attivo in diversi scenari di guerra, il provvedimento verrà reso effettivo con un’ordinanza del 16 aprile. Si tratta però di un atto solamente formale, poco più dell’aggiunta di una sigla, perché il comando era già lo stesso, non verranno modificate le divise e se il Soldbuch diventerà a sua volta SS-, i soldati dei reggimenti non otterranno il numero di appartenenza alle SS.

Per lungo tempo, soprattutto a partire dall’ambiente diplomatico dove De Gasperi aveva tutto l’interesse a presentare i sudtirolesi come ferventi nazisti, si è parlato di feroce reparto di SS. La realtà è che la specifica compagnia attaccata in Via Rasella non era stata protagonista di crimini di guerra, ma se non le si possono attribuire particolari responsabilità, non si può neppure dare per scontata la loro innocenza. Se l’undicesima compagnia del «Bozen» viene sostanzialmente spazzata via dai GAP, le restanti unità del terzo battaglione continueranno ad essere impiegate a Roma e poi nel nord Italia in funzione antipartigiana; ancora, i due altri battaglioni saranno da subito attivi nella repressione della Resistenza italiana e slovena in OZAV e OZAK, partecipando anche all’incendio di villaggi, rastrellamenti e stragi come i più famosi episodi della Valle del Biois nell’agosto 1944 o l’eccidio di Bassano del Grappa del 26 settembre 1944. Il «Bozen» era un’unità armata e addestrata per compiti in cui altre unità si macchieranno di crimini, per cui risulta difficile che proprio quel reparto potesse sottrarsi dal meccanismo di morte del nazionalsocialismo.

La confusione sulle vittime

Il reparto attaccato in Via Rasella era quindi un’unità da combattimento, un legittimo obiettivo di guerra attaccato nelle modalità tipiche della resistenza urbana, che non poteva affrontare frontalmente l’occupante nazista ed il suo alleato fascista ma non aveva rinunciato ad agire. Il «Bozen» avrebbe potuto essere attaccato prima o successivamente, con modalità simili o senza alcuno spargimento di sangue: forse avrebbe avuto più o meno vittime, oppure sarebbero stati i suoi soldati ad uccidere. Se queste rimangono supposizioni è proprio grazie all’azione dei GAP romani, perché la partecipazione di quei 156 uomini alla Seconda guerra mondiale o alle politiche del regime sarebbe stata solo questione di tempo.

Rappresaglia – Soldati nazisti alla ricerca di «esseri umani» per quello che diverrà noto come Eccidio delle Fosse ardeatine (Foto: Wikipedia)

Per molto tempo si è anche parlato del «Bozen» come autore della strage, parte del plotone d’esecuzione secondo una ricostruzione circolante in ambiente diplomatico. Una versione poi letteralmente ribaltata da Umberto Gandini, che sulle pagine de «Il Giorno» intervista per primo i superstiti del «Bozen». Uno di questi, Jacob Tock, racconta che i sottufficiali volevano che fossero loro a eseguire la fucilazione, ma che non era stato possibile perché «noi sudtirolesi non siamo fatti per queste cose, non potevamo uccidere così kaltbluetig, a sangue freddo». Una versione poi riassunta da Gandini come disobbedienza esplicita del «Bozen», di cui si parlerà ancora negli anni successivi: ma fino al 1968, la mancata partecipazione del «Bozen» era stata legata alla più probabile decisione dei loro superiori, dopo che il comandante della compagnia Dobek li aveva presentati come inadatti e troppo cattolici. Un reparto almeno dimezzato, tra morti e feriti, non poteva realizzare una rappresaglia veloce ed efficiente. Una spiegazione molto più credibile di un aperto rifiuto da parte di soldati semplici, che sarebbero stati per questo puniti – se non con la morte, almeno con l’invio in reparti punitivi in quanto elementi inaffidabili.

Definire questi soldati delle «vittime», allo stesso livello di quelle delle Fosse Ardeatine, non rende giustizia alle seconde e confonde rispetto ai primi. Questo è stato per molti anni il leitmotiv della pubblicistica sudtirolese in lingua tedesca, che più volte ha parlato di «368 Opfer», ma anche della stessa propaganda dei due regimi – come da commento dello stesso Osservatore Romano, «trentadue vittime da una parte; trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto, dall’altra».

La disobbedienza del «Bozen» – L’articolo di Umberto Gandini pubblicato su Il Giorno del 24 marzo 1968

Un passo indietro, all’origine di tutta la polemica di questi giorni, cominciata proprio nell’anniversario delle Fosse Ardeatine per il comunicato della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La cofondatrice di Fratelli d’Italia e dal lungo curriculum di militanza studentesca nei partiti post-fascisti ha parlato di «335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani».

Innanzitutto, innocenti non lo erano né agli occhi di Herbert Kappler, l’organizzatore della strage che di fronte al tribunale spiegherà ampiamente la sua definizione di Todeskandidaten, ma neppure dei fascisti alleati, che prestano il loro aiuto per la realizzazione dell’eccidio. Non erano innocenti perché resistevano, non erano innocenti perché ebrei, non erano innocenti perché non si trattava di rispettare uno status giuridico, ma della realizzazione di una necessità: avere abbastanza persone da uccidere affinché la rappresaglia avesse effetto.

Non erano neppure tutti italiani: alcuni non avevano la cittadinanza, o non erano di nazionalità italiana. Ma soprattutto, gran parte di loro era considerata anti-italiana proprio da chi li uccise: non erano italiani perché appartenenti alla «razza ebraica» discriminata e poi ufficialmente perseguitata con le leggi razziali del 1938; non erano italiani perché chi era contro la repubblichina di Salò veniva accusato di essere contro l’Italia.

No, non vennero uccisi solo perché italiani: vennero uccisi in una cieca vendetta, interessata ad una contabilità capace di incutere terrore.

Il presente contributo è stato pubblicato su Salto.


Fonti
Il lavoro più esauriente in proposito è il Seminararbeit di Christoph von Hartungen, Werner Hanni, Klaus Menapace e Reinhold Staffler del 1980. Una versione rivista e meno completa può essere letta sulla rivista «Der Schlern» del 1981. Altri essenziali contributi in lingua tedesca sono l’articolo «Mord in Rom» di Steffen Prauser (Viertelsjahrshefte für Zeitgeschichte, 2002) e la tesi di dottorato di Joachim Staron, «Fosse Ardeatine und Marzabotto: Deutsche Kriegsverbrechen und Resistenza» (Schöningh 2002), che si concentra di più sulla rappresentazione mediatica delle due stragi in Italia e Germania. In italiano si rimanda al monumentale lavoro di Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito (Donzelli 1999).

L’autore
Lorenzo Vianini si è laureato all’Università di Vienna con una tesi dedicata all’argomento, Via Rasella in der Südtiroler Medienberichterstattung, e ha realizzato per Radio Tandem un podcast in italiano di due puntate: Via Rasella nei media sudtirolesi.

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Nationalistisch uminterpretierte Ardeatinische Höhlen.
Revisionismus

Zum 79. Jahrestag des Massakers in den Ardeatinischen Höhlen vom 24. März 1944 brachte die italienische Ministerpräsidentin Giorgia Meloni (FdI) eine neue, revisionistische These in Umlauf: Die 335 von den Nazis mit Hilfe der Faschisten als Rache für das Attentat in der via Rasella liquidierten, unschuldigen Menschen seien umgebracht worden, weil sie Italienerinnen waren. Diese Geschichtsfälschung erinnert mich an das rechte Narrativ über die Opfer der Karsthöhlen, die ebenfalls aus ethnisch-nationalen und nicht aus ideologischen Gründen ausgewählt worden seien.

Wahr ist: In den Ardeatinischen Höhlen wurden von den Nazis — zu einem erheblichen Teil von Italienern ausgesuchte — Menschen hingerichtet, die nahezu ausnahmslos zu Gruppen wie Jüdinnen, Dissidentinnen oder Partisaninnen gehörten. Selbst ohne darauf hinzuweisen, dass neun Opfer gar keine Italienerinnen waren, ist offensichtlich, dass die Nationalität nicht das ausschlaggebende Auswahlkriterium war. Bestimmend waren vielmehr ideologische Erwägungen.

Kein einziges der Opfer war übrigens am Attentat in der via Rasella beteiligt gewesen.

Noch tiefer buddelte sich dann Senatspräsident Ignazio Benito La Russa (FdI) in den revisionistischen Schlamm, als er zur Verteidigung seiner Parteichefin in einem Interview mit der rechten Zeitung Libero die Partisaninnen angriff (das Attentat sei kein Ruhmesblatt gewesen) und das — hauptsächlich aus Südtirolern bestehende — Polizeiregiment Bozen, dem das Attentat in der via Rasella gegolten hatte, als Senioren-Musikkapelle verharmloste. Eine Behauptung, die keinem Faktencheck standhält und in jeder Hinsicht völlig aus der Luft gegriffen ist. Das Regiment wurde gerade für die Partisanenbekämpfung ausgebildet und war bewaffnet.

Die daraufhin laut gewordenen Rücktrittsforderungen gegen La Russa werden wohl wieder ungehört verhallen, während der antifaschistische Konsens in Italien sich erneut einen Schritt weit verabschiedet. Man darf jetzt schon auf den ersten 25. April unter neofaschistischer Führung gespannt sein.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 | 1›

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Tito und die Cancel Culture.

Der Regionalrat von Südtirol und Trentino hat Ende Jänner nahezu einstimmig einen Begehrensantrag (Nr. 12/2021) von Forza Italia, PATT und Autonomisti Popolari – Fassa genehmigt, mit dem die italienische Regierung aufgefordert wird, den an Tito (Josip Broz) verliehenen Verdienstorden der Italienischen Republik zu widerrufen.

In der Debatte machte der faschistische Abgeordnete Marco Galateo (FdI) darauf aufmerksam, dass Tito ein Kommunist war, der Italienerinnen habe umbringen lassen, weil sie Italienerinnen waren. Was nicht stimmt — er ließ sie nicht aufgrund ihrer Ethnie, sondern aufgrund ihrer faschistischen Ideologie und der vom Faschismus verübten Verbrechen verfolgen, so wie er auch deutsche und slawische Faschistinnen jagte. Galateo war jedenfalls der Auffassung, dass in dieser Angelegenheit selbst eine Enthaltung inakzeptabel wäre (und erinnerte hierfür an den neofaschistischen Gedenktag). Dieses Engagement für Geschichtsaufarbeitung ist sonderbar, da sich seine Partei und ihre Verbündeten regelmäßig winden und fadenscheinigste Argumente1wie das dümmliche »die Geschichte kann man nicht auslöschen« bemühen, wenn es zum Beispiel darum geht, Mussolini eine Ehrenbürgerschaft zu entziehen. Oder ein faschistisches Schandmal auch nur zu historisieren — geschweige denn zu schleifen. Von Cancel Culture schwafelte hingegen Ignazio Benito La Russa neulich, als es darum ging, ein Bild des faschistischen Diktators aus der Ehrengalerie in einem Ministerium zu entfernen.

Mit 34 Stimmen zu null bei nur zwei Enthaltungen wurde der Antrag schlussendlich genehmigt, 17 Abgeordnete nahmen an der Abstimmung nicht teil. Vielleicht richtet der Regionalrat demnächst ja sogar eine Aufforderung an Rom, auch Benito Mussolini seine Auszeichnung zu entziehen.

Wohl eher nicht.

Siehe auch 1› 2›

  • 1
    wie das dümmliche »die Geschichte kann man nicht auslöschen«
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Hohe FdI-Mitglieder huldigen dem MSI.

Am Stephanstag haben gleich zwei prominente Mitglieder der neofaschistischen Regierungspartei FdI über die sozialen Netzwerke an den 76. Jahrestag der MSI-Gründung vom 26. Dezember 1946 erinnert.

Zunächst war es Isabella Rauti, ihres Zeichens Verteidigungsstaatssekretärin der Regierung von Giorgia Meloni (FdI), die einen Tweet absetzte, mit dem sie Gründern und Aktivistinnen des MSI die »Ehre« erwies. Sie versah den Eintrag mit dem Hashtag »die tiefe Wurzel erfriert nicht«, ein Zitat aus Herr der Ringe von J. R. R. Tolkien, das sich die italienischen Rechten angeeignet haben.

Bejahender kann das Gedenken an die Partei, die von Anfang an ein Sammelbecken uneinsichtiger Altfaschistinnen war, kaum sein. Der angebliche Bruch mit der Vergangenheit, wie ihn die Partei- und Regierungschefin in letzter Zeit anzudeuten versucht, verkommt zur Chimäre.

Querbalken von mir

Unterstrichen wird die ideologische Kontinuität auch von der grünweißroten MSI-Flamme, die bis heute auch das Parteilogo von FdI ziert.

Doch am selben Tag veröffentlichte auch Senatspräsident Ignazio Benito La Russa eine Jubiläumsbotschaft für den MSI. Der Sammler von Duce-Büsten und zur Überparteilichkeit verpflichtete Inhaber des zweithöchsten Amts im Staat postete dazu auf Instagram den Ausschnitt eines alten MSI-Plakats, dessen ursprüngliche Botschaft (»Helft uns, euch zu verteidigen!«1Übersetzung von mir. Original: »Aiutateci a difendervi!«) nicht sichtbar ist.

Querbalken und Schwärzung von mir

Auf die Postings reagierte unter anderem die Jüdische Gemeinschaft in Italien, mit der Regierungschefin Meloni eine Annäherung versucht, mit großer Empörung.

Die beiden prominenten FdI-Mitglieder versahen ihre Veröffentlichungen mit Hinweisen auf ihre Vorfahren. Rautis Vater Pino, der auf einem der Bilder zu sehen ist, die seine Tochter ihrem Tweet anhängte, meldete sich mit 16 Jahren als Freiwilliger der sogenannten Sozialrepublik von Salò. Er war Gründungsmitglied des MSI, dessen Parteisekretär er kurz vor seiner Auflösung war, als er den Übergang zur AN nicht mitvollzog und stattdessen die rechtsextreme Movimento Sociale – Fiamma Tricolore gründete. Im Jahr 1956 hatte er die Terrorganisation Ordine Nuovo gegründet, die ihr Motto Meine Ehre heißt Treue von der Waffen-SS übernahm.

La Russa erinnerte ebenfalls an seinen Vater, der Mitbegründer des MSI auf Sizilien gewesen war.

Die Nähe von FdI zum Faschismus war bekannt. Hier wird die ideologische Kontinuität aber nicht nur keineswegs verleugnet, sondern genüsslich zelebriert.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 | 1›

  • 1
    Übersetzung von mir. Original: »Aiutateci a difendervi!«
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Sgarbi will Kultur nationalisieren.

Die Mailänder Scala hat heute mit der russischen Oper Boris Godunov ihre neue Saison eröffnet. Anwesend waren unter anderem EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen, der italienische Staatspräsident Sergio Mattarella, Regierungschefin Giorgia Meloni (FdI) und Senatspräsident Ignazio Benito La Russa (FdI).

Melonis Kulturstaatssekretär Vittorio Sgarbi hatte die brillante Idee, kurz vor Aufführungsbeginn eine Polemik um den Scala-Intendanten Dominique Meyer vom Zaun zu brechen. Weil er ein Ausländer ist, sollte er — genauso wie der Deutsche Eike Schmid als Direktor der Uffizien — mit einem Italiener ersetzt werden. Nationalistische Kleingeistigkeit, die der Elsässer Meyer, bis vor kurzem Direktor der Wiener Staatsoper (2010-2020), mit der Aussage quittierte, dass er Sgarbi bemitleide und dass ihn die Stellungnahme verletze.

Auch das Eröffnungsstück führte zu Polemiken. Ukrainerinnen protestierten gegen die Wahl eines russischen Stücks, weil sie befürchten, dass der Kreml sie zu propagandistischen Zwecken missbrauchen könnte.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Mussolini in der Ehrengalerie.

Das italienische Ministerium für Wirtschaftsentwicklung feiert heuer das 90jährige Bestehen des Gebäudes, in dem es untergebracht ist. Palazzo Piacentini wurde nach Plänen des Architekten Marcello Piacentini, der unter anderem das Bozner Siegesdenkmal geplant hatte, errichtet und am 30. November 1932 als Sitz des faschistischen Korporationsministeriums eröffnet.

Italien 2022

Aus diesem Anlass gab das von Giancarlo Giorgetti (Lega) unter Ministerpräsident Mario Draghi geführte Ministerium ein Buch heraus — und ließ in den Räumlichkeiten des Palazzo eine Ausstellung und eine Ehrengalerie mit sämtlichen Ministern seit 1932 einrichten. Allen voran: natürlich Diktator Benito Mussolini, was läge näher?

Dagegen wehrte sich einer seiner Nachfolger, Pier Luigi Bersani vom PD, indem er die Entfernung seines eigenen Fotos aus der Galerie verlangte, da er nicht in einer Reihe mit Mussolini erscheinen wolle.

Minister Giorgetti reagierte verständnislos und verwies darauf, dass ein Porträt des Diktators auch am Sitz des Regierungschefs, dem Chigi-Palast hänge und dass Mussolini nun einmal der erste Korporationsminister war. Schlussendlich lenkte das Ministerium jedoch ein und kündigte an, das Porträt des Faschistenführers wieder zu entfernen, um Polemiken und Instrumentalisierungen zu unterbinden — nicht etwa, weil man den Fehler eingesehen hat.

Senatspräsident Ignazio Benito La Russa (FdI) bezeichnete den Rückzieher als Ausdruck der Cancel culture.

Was mit dem Porträt im Chigi-Palast passieren wird, ist indes ungeklärt. Offenbar hatten damit schon die bisherigen Regierungschefs kein Problem, dann wird sich wohl auch eine etwaige Ministerpräsidentin Giorgia Meloni (FdI) nicht daran stören.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 | 1›

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Distanzierung vom Antifaschismus.
Italien

In Rom hat die antifaschistische Zivilgesellschaft auf die Wahl von Ignazio La Russa (FdI) zum Senatspräsidenten reagiert.

So haben Unbekannte die Botschaft »I. La Russa – Garbatella verabscheut dich – – Antifa«1Übersetzung von mir. Original: »I. La Russa – Garbatella ti schifa – ★ – Antifa« auf den Rollladen des FdI-Büros im Stadtviertel Garbatella gesprüht. In denselben Räumlichkeiten hatte sich früher der MSI-Sitz befunden, in dem Parteichefin Giorgia Meloni ihre ersten politischen Gehversuche als Mussoliniverehrerin machte.

Auf einem Banner, der in der Nähe des Kolosseums aufghängt wurde, war hingegen »Willkommen Präsident La Russa – Der Widerstand geht weiter!«2Übersetzung von mir. Original: »Benvenuto presidente La Russa – La resistenza continua!« zu lesen, wobei die Antifa-Gruppe Cambiare Rotta darauf den Namen des Senatsvorsitzenden kopfüber geschrieben hat.

Der fünfzackige Stern in der Garbatella wurde von Medien und Ermittlerinnen unter anderem als Symbol der Roten Brigaden interpretiert — und somit die Botschaft als potenzielle Gewaltandrohung eingeordnet. Warum ist mir ehrlich gesagt schleierhaft, da unter dem Stern ausdrücklich »Antifa« (und nicht etwa »B.R.«) steht. Der fünfzackige Stern, der übrigens auch im -Logo enthalten ist, gilt als Symbol der Linken und der Internationalistinnen, bisweilen auch als Symbol von (linken) Unabhängigkeitsbefürworterinnen.

Dass der Name von La Russa auf dem Transparent von Cambiare Rotta verkehrt herum geschrieben wurde, ist eine verbreitete Art, auf das Ende des Faschismus (mit dem kopfüber an einer Tankstellenüberdachung baumelnden Benito Mussolini) anzudeuten.

Die parlamentarische Linke (oder was von manchen dafür gehalten wird), einschließlich PD-Chef Enrico Letta, ließ die Gelegenheit, sich ungebeten vom Antifaschismus zu distanzieren und Ignazio La Russa ihre Solidarität auszusprechen, nicht ungenutzt verstreichen. Als ob der lahme Widerstand dies erfordert hätte. Mit der Abgrenzung von Nationalismus und Faschismus tun sich dieselben Akteure erfahrungsgemäß leider etwas schwerer.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 | 1› 2› 3›

  • 1
    Übersetzung von mir. Original: »I. La Russa – Garbatella ti schifa – ★ – Antifa«
  • 2
    Übersetzung von mir. Original: »Benvenuto presidente La Russa – La resistenza continua!«
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.

You are now leaving BBD

BBD provides links to web sites of other organizations in order to provide visitors with certain information. A link does not constitute an endorsement of content, viewpoint, policies, products or services of that web site. Once you link to another web site not maintained by BBD, you are subject to the terms and conditions of that web site, including but not limited to its privacy policy.

You will be redirected to

Click the link above to continue or CANCEL