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Interetnici a singhiozzo.
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Ma state sicuri che un candidato Pd [a sindaco di Bolzano] ci sarà e forte e vogliamo faccia il sindaco.

Durnwalder vuole esserlo lui.

Non può farlo nella città capoluogo, a maggioranza italiana. Sarebbe inaccettabile.

Meglio ricordare la durezza con cui ha risposto a Napolitano quando ha rifiutato l’invito a partecipare alle cerimonie per l’unità d’Italia.

Dall’intervista con Carlo Costa (PD) pubblicata sull’A. Adige di ieri.

Rieccoli dunque, i valori del PD, ovvero l’etnicismo, le poltrone a tutti i costi e l’unità nazionale. Nei momenti che contano non si smentisce mai: Va benissimo un sindaco Bocher a Toblach, ma non toccate i comuni a maggioranza italiana. Ci sono centinaia di buone, buonissime, ragioni per rifiutare la candidatura di Durnwalder a sindaco di Bolzano, ma quelle citate da Carlo Costa sono letteralmente inaccettabili (tantopiù da parte di un partito che, quando fa comodo, si definisce interetnico).

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Laives, lezioni di nazionalismo.

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A Laives/Leifers ieri, in occasione del 154° anniversario dell’unità d’Italia si è svolta una cerimonia per celebrare la «Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera», organizzata dal Comune (governato da PD ed SVP) assieme alla sezione locale dell’Associazione Nazionale degli Alpini (ANA).

Secondo quanto è dato apprendere hanno partecipato all’evento

il comandante delle Truppe Alpine, generale Federico Bonato, autorità  in rappresentanza del Commissariato del Governo e della Questura di Bolzano, la sindaca Liliana Di Fede [PD], il vicesindaco Bruno Ceschini [SVP!], l’assessore [alla cultura!] Dino Gagliardini [PD], diversi consiglieri comunali, una folta rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo degli Alpini e numerosi rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma.

Quel che però sconcerta maggiormente è che alla «festa», culminata in un alzabandiera con tanto di canto dell’inno nazionale, svoltasi nel piazzale del passaggio scolastico (!) Maria Damian, avrebbero partecipato un centinaio di studenti delle scuole dell’obbligo (!) Gandhi, Franzelin (di lingua tedesca) e Filzi. Da quanto individuabile dalle foto pubblicate dal Comune sarebbero stati proprio alcuni di loro a issare le bandiere.

Nel suo discorso la sindaca Di Fede, appartenente a un partito che si dichiara autonomista e di centrosinistra, avrebbe affermato che pur parlando lingue diverse «siamo tutti italiani».

Ritengo profondamente disgustoso e assolutamente inaccettabile che un Comune sostenga e partecipi attivamente all’indottrinamento politico e militare, di stampo nazionalista, degli alunni, cui oltretutto sarebbero stati distribuiti opuscoli informativi dai militari. A maggior ragione ciò è scandaloso in una terra dalle sensibilità eterogenee come il Sudtirolo.

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Renzi e le autonomie.
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Il caso Durnwalder-Unità d’Italia continua a scatenare commenti nazionali. Il tema «basta privilegi all’Alto Adige ricco e ingrato» tiene ancora banco. Particolarmente vivace il sindaco di Firenze Matteo Renzi (Pd): «Il presidente della Provincia di Bolzano festeggi l’Unità come tutti: altrimenti, se non vuole farlo, abbia il coraggio di restituire i denari che riceve da questo Paese al quale si sente di non appartenere. Credo che il presidente della Provincia di Bolzano debba iniziare a restituire un po’ di credibilità alle istituzioni ricordandosi che se la sua Provincia autonoma ha tutti quei denari, questo deriva da una norma ad hoc della Costituzione che consente ad alcune regioni di essere a statuto speciale e ad altre no. Questo aveva un significato 60 anni fa, oggi non più. Che le nostre tasse debbano andare a finanziare il loro sentimento anti italiano mi sembra un errore».

Dal quotidiano A. Adige del 12.02.2011 (segnalato da Fabio Rigali)

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Dio, patria, famiglia.
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Dio, Italia e famiglia
Restano questi i valori più importanti

È l’esito di una ricerca realizzata dal Censis nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia: il primo gradino è occupato dal nucleo familiare, anche se con ‘format’ diversi dal matrimonio. In calo il desiderio di consumare

Al primo posto, la famiglia. Poi il luogo – l’Italia – dove più si è affinata la qualità della vita e il culto della bellezza (sic). A seguire la fede anche nelle vesti della tradizione religiosa. È questa, secondo un’indagine realizzata dal Censis nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la ‘scala’ dei valori in cui credono gli italiani.

[…]

Il gusto per la qualità della vita resta “una forza che genera coesione nell’individualismo italiano”, osserva il Censis nella sua ricerca sui valori degli italiani, che dimostrano di sentire l’orgoglio di appartenere al Paese del buon vivere. Il 56% dei cittadini è infatti convinto che l’Italia sia il Paese al mondo dove si vive complessivamente meglio. E anche se in futuro avessero la possibilità di andarsene via dal Paese d’origine, due terzi dei cittadini (66%) non lo farebbero in nessun caso.

[…]

Fonte: la Repubblica online

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Toponimi: Il PD si assuma le sue responsabilità.

Dice il segretario provinciale del Partito Democratico, Antonio Frena, che non c’è necessità di occuparsi della legge sulla toponomastica, perché in questo momento ci sono sfide più importanti, ad esempio il lavoro.

I politici sono pagati per assumersi le loro responsabilità e non per nascondersi dietro a un dito. È vero, la situazione sul mercato del lavoro è allarmante, ma — senza voler minimizzare — stando agli ultimi dati Eurostat siamo ancora la regione col tasso di disoccupazione più basso d’Europa. Inoltre, un ragionamento come quello di Frena ci indurrebbe ad ignorare anche i problemi del lavoro, almeno finché non si sarà eliminata la fame nel mondo. Di problemi più urgenti ce ne sono sempre, e infatti dal 1972 (entrata in vigore del secondo statuto d’autonomia) si sono sempre trovati.

È lo stesso PD, però, a smentire il suo segretario: Infatti, quando per la toponomastica c’è da salire sulle barricate, di problemi più importanti non ce ne sono mai. Lo stesso dicasi per il 150° anniversario dell’unità d’Italia o per l’adunata degli Alpini.

Insomma, da quando il governo romano minacciava di mandare l’esercito a sostituire i cartelli di montagna sono passati pochi mesi. E allora per la politica è venuto il momento di affrontare seriamente il problema, perché è inaccettabile che — per propria incapacità — si continui a delegare la questione alle associazioni private.

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Autorinnen und Gastbeiträge

Non celebriamo l’Italia, ma le Italie.

di Alessandro Michelucci*

Molti italiani vorrebbero festeggiare il 150° anniversario dell’unità facendo tabula rasa di tutte le entità politiche e culturali non italofone che compongono lo stato italiano. La loro equazione è molto semplice: Italia = italiani = italofoni. In questo modo dimenticano che la penisola contiene popoli con storie che precedono l’unità di molti secoli. E’ necessario chiarire una volta per tutte che negando le culture non italofone presenti nella penisola:

  1. Si calpesta la Costituzione: l’articolo 6 afferma che “La Repubblica protegge con apposite norme le minoranze linguistiche”. Approvata nel 1947, la nostra fu la prima Costituzione dell’Europa post-bellica a prevedere espressamente questa tutela: è un primato del quale dovremmo essere orgogliosi.
  2. Si abbraccia lo stesso nazionalismo ottuso e intollerante che per quasi mezzo secolo ha contraddistinto la posizione del Movimento Sociale Italiano. Il partito di Almirante, infatti, dichiarava apertamente l’obiettivo di cancellare l’autonomia sudtirolese. Allo stesso modo, faceva di tutto per limitare i diritti della minoranza slovena di Trieste. In modo del tutto incoerente, però, invocava la tutela della minoranza italiana stanziata in Jugoslavia. Evidentemente i neofascisti erano mossi dall’anticomunismo e dalla slavofobia, anziché da un sincero interesse per i diritti delle minoranze. Altrimenti avrebbero capito che non si può difendere le proprie minoranze all’estero mentre si dimenticano quelle straniere che vivono in Italia.
  3. Si dimentica (o si dimostra di non conoscere) il proprio patrimonio storico. La minoranza grecanica stanziata in varie regioni meridionali è l’erede della Magna Grecia; quella albanese è arrivata nella penisola in seguito a migrazioni che risalgono alla fine del quattordicesimo secolo; in Val d’Aosta il francese è lingua ufficiale dal 1561, etc. Eppure si rivendicano poeti, scrittori e artisti vissuti nei secoli passati: Dante, Goldoni, Leopardi, Michelangelo, Petrarca…
    L’Italia non è nata come un fungo nel 1861, ma è il frutto di un lungo processo storico al quale hanno contribuito anche tanti non italofoni. Metterli da parte equivale a mutilare la propria storia.
  4. Si disprezzano delle conquiste sociali e politiche che il mondo ci invidia: pensiamo all’autonomia sudtirolese. Ogni anno Bolzano viene visitata da studiosi, giornalisti e uomini politici di tutto il mondo: dal Tibet alla Transilvania, dal Kashmir allo Sri Lanka. In questa città studiano l’autonomia locale per capire se può essere applicata ai conflitti che interessano le loro terre.
  5. Si abbraccia una posizione che contrasta con l’integrazione europea. Negli ultimi anni perfino la Francia, patria storica del centralismo e del monolinguismo, sta cambiando: nel 2008 l’Assemblea nazionale ha approvato una modifica della Costituzione riconoscendo ufficialmente le lingue minoritarie.
  6. Si discrimina secondo la logica tipica di tanti regimi autoritari o totalitari, che vedono nella varietà linguistica, anziché una ricchezza da tutelare, un nemico da abbattere.
  7. Si abbraccia una posizione che contrasta con il diritto internazionale: molti documenti dell’ONU, del Consiglio d’Europa e di altri organismo sovranazionali prevedono la tutela e la promozione delle lingue minoritarie.
  8. Si esercita una delle forme di prepotenza più odiose, quella dove il forte opprime il debole. Naturalmente non tutte le minoranze sono deboli allo stesso modo: esiste un abisso fra la situazione dei Sudtirolesi e quella die Croati molisani. Ma lo spirito è lo stesso: utilizzare la propria forza – numerica, linguistica, politica – per negare o limitare i diritti di entità culturali meno numerose. Una vera pace sociale non sarà mai possibile se la maggioranza si serve del suo peso per limitare i diritti delle minoranze.
  9. Si dimentica che in tutti i campi – dalla biologia alla flora, dalla fauna all’alimentazione – la varietà è una condizione necessaria per un corretto sviluppo. Le lingue non fanno eccezione.
  10. Si dimentica che l’Italia unita ha un senso se protegge e valorizza queste diversità, parte irrinunciabile della sua struttura, anziché cercare di annegarle in un’italianità forzata e antistorica. Altrimenti questa unità diventa una gabbia.

Naturalmente non possono esistere diritti senza doveri: le minoranze, da parte loro, devono conservare un atteggiamento leale nei confronti dello stato.

Infine, una considerazione doverosa. Coloro che vorrebbero negare i diritti delle minoranze in Italia talvolta sono anche gli stessi che col loro voto accettano un’inesistente “Padania”, mentre vorrebbero che Bolzano e Catania, tanto per fare un esempio, fossero italiane allo stesso modo. In questo caso la contraddizione è talmente ridicola che non ha bisogno di commenti.

* presidente del Centro di Documentazione sui Popoli Minacciati, Firenze

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La fête pour la fête.

Mentre s’avvicina la ricorrenza dell’unità d’Italia (17 marzo) istituzioni e organizzazioni fanno a gara per improvisare atti «una tantum» che diano una parvenza festosa a una giornata istituita per decreto governativo.

E meno l’unità è reale e sentita dalla popolazione, più si lavora su un piano simbolico completamente slegato, cercando un significante a prescindere dal fatto che il significato, quel significato che si cerca di «attivare», non esiste.

L’ultima trovata in ordine cronologico è la proposta estemporanea del CONI di suonare l’inno nazionale prima di ogni evento sportivo da oggi fino a domenica. Un festeggiamento imposto dall’alto che qui in Sudtirolo diventa una grottesca citazione colonialista.

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[Unità] tra parentesi | in Klammern.

Am 17. März feiert Italien den 150. Jahrestag seiner Vereinigung. Dieser Tag bietet uns die Gelegenheit zum Nachdenken über die Bedeutung der Einheit Italiens und über die vielen Kräfte, die diese beeinflussen. Nachdenken werden wir auch über die Entwicklung, die die Einheit in einem Land wie dem unseren nehmen kann, das durch seine Besonderheit einen widersprüchlichen Umgang mit dem Konzept der Einheit pflegt.

Il 17 marzo, giorno in cui l’Italia celebra ufficialmente il giorno della sua unificazione avvenuta 150 anni fa, offre un’occasione per riflettere. Riflettere sul significato dell’unità nazionale, la sua complessa dinamica, ma anche sulle prospettive che essa può avere in un territorio, come il nostro, caratterizzato da peculiarità da sempre conflittuali rispetto a quell’idea di unità. Lo faremo in compagnia di:

Gabriele Di Luca
insegnante ed editorialista del Corriere dell’Alto Adige

Hans Heiss
Historiker und Landtagsabgeordneter der Grünen-Verdi-Vërc

Giorgio Mezzalira
storico ed editorialista del Corriere dell’Alto Adige

Hartmuth Staffler
Journalist und Gemeinderat der Süd-Tiroler Freiheit

Es moderiert/modererà Lucio Giudiceandrea
Journalist und Autor/autore e giornalista

Donnerstag | Giovedì 17.03.2011 – 17:00
Cusanus Brixen | Bressanone

Neue Wege des Zusammenlebens | Vivere qui

Die Arbeit an einer gemeinsamen Zukunft setzt eine gemeinsame Betrachtung der Vergangenheit un der Gegenwart voraus. In dieser Veranstaltungsreihe wollen wir das Verständnis für die Verletztheit der Südtiroler und für den “disagio” der Italiener in der jeweils anderen Gruppe wecken.

Per costruire un futuro comune è necessario avere una visione comune del passato e del presente. In questo ciclo di conferenze vorremmo sviluppare la reciproca comprensione del rammarico sudtirolese e del disagio degli italiani.

heimat Brixen Bressanone Persenon

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