Sono appena stati pubblicati sul Canadian Medical Association Journal (Vol. 194, n. 26, 11 luglio 2022) i risultati di una ricerca scientifica sugli effetti della concordanza linguistica tra pazienti e medici su qualità e sicurezza della cura.
Analizzando un campione di ben 189.690 pazienti anglofoni, francofoni e allofoni ammessi in un ospedale dell’Ontario dal 2010 e il 2018, gli autori dello studio sono giunti alla conclusione che i pazienti francofoni e allofoni in questa provincia canadese maggioritariamente anglofona dimostrano un rischio sensibilmente minore di effetti collaterali e di decesso in ospedale, oltre a far segnare una permanenza ospedaliera mediamente più breve, se sono seguiti da personale medico che ne parla la stessa lingua primaria. Ciò vale a maggior ragione se si tratta di pazienti fragili, ad esempio di età avanzata.
Non sono invece state riscontrate differenze significative una volta che i pazienti sono stati dimessi dall’ospedale. La quota di pazienti che hanno dovuto ricorrere nuovamente al pronto soccorso, riammessi in ospedale o deceduti nei primi 30 giorni dopo aver lasciato una struttura ospedaliera è simile tra coloro che in precedenza erano stati trattati da medici che parlavano la loro stessa madrelingua e coloro che no.
Gli autori della ricerca spiegano che il minor rischio di decesso o di incorrere in effetti collaterali può essere ricondotto alla migliore possibilità di comprendere dettagliatamente i sintomi e di ottenere un quadro completo sullo stato di salute dei pazienti, così da aumentare precisione e tempestività delle diagnosi. I medici che non sono in grado di comunicare in modo così effettivo con i pazienti tenderebbero a realizzare un maggior numero di accertamenti (spesso superflui) che possono aumentare il rischio di effetti indesiderati e prolungare la permanenza in ospedale. Inoltre, una comunicazione chiara ed efficiente migliorerebbe il comportamento collaborativo e l’impegno proprio dei pazienti nelle cure. Non ultimo, gli autori fanno notare che i risultati della ricerca potrebbero essere dovuti, almeno in parte, anche alla minore differenza culturale tra medici e pazienti che parlano la stessa lingua.
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