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Riformata la legislazione linguistica in Québec.

Con 78 voti favorevoli e 29 contrari l’Assemblea nazionale del Québec martedì ha approvato il progetto di legge n. 96 di aggiornamento della Carta della lingua francese, la famosa legge n. 101 del 1977.

Proposta dal ministro competente Simon Jolin-Barrette, la riforma è stata sostenuta da Coalition avenir Québec (CAQ), al governo della provincia canadese dal 2018, e dalla sinistra di Québec solidaire (QS), mentre vi hanno votato contro l’indipendentista Parti québécois (PQ), che ritiene le misure troppo blande per combattere il «declino linguistico», ed il Parti libéral du Québec (PLQ), che le ritiene troppo invasive. Astenuto il Parti conservateur du Québec (PCQ).

le novità

Le modifiche introdotte riguardano ambiti molto diversi tra di loro, ma sono tutte volte a rafforzare la posizione della lingua francese. Ad esempio:

  • Costituzione canadese: grazie alla facoltà di modificare la costituzione federale negli ambiti che riguardano il Québec, inserimento della specificità della provincia come «nazione» francofona.
  • Lavoro: dal 2025 anche le imprese oltre 25 dipendenti (e non più solo quelle con più di 50) dovranno comunicare con loro in francese, se lo desiderano, e dovranno poter dimostrare all’Office québecois de la langue française (OQLF) che il francese venga utilizzato «in maniera generalizzata» a livello aziendale. Inoltre, non sarà permesso chiedere la conoscenza dell’inglese nell’assunzione di personale nuovo, se non si dimostra che tale lingua sia indispensabile per le mansioni da svolgere.
  • Affichage: nello spazio pubblico le «affissioni» (pubblicitarie e non) e le insegne commerciali a partire dal 2025 dovranno prevedere un’apparenza «nettamente predominante» del francese rispetto all’inglese, se presente.
  • Giustizia: il Ministero della giustizia del Québec avrà il potere di limitare i requisiti di conoscenza della lingua inglese per i giudici della Cour du Québec e dei tribunali di rango inferiore.
  • Immigrazione: a partire da maggio 2023 chi risiede da più di 6 mesi in Québec potrà comunicare con lo Stato esclusivamente in francese. La regola non si applica ai servizi sanitari, alla giustizia e alla sicurezza.
  • Istruzione: le lezioni in francese e di francese nei Cégeps (l’istruzione preuniversitaria) francesi e inglesi verranno aumentate ed il numero complessivo di posti nei Cégeps di lingua inglese verranno limitati al 17,5% del totale. Questo mentre la scuola dell’obbligo è e rimane esclusivamente in lingua francese per tutti, con poche eccezioni per i membri della comunità anglofona storica. Per ottenere il diploma finale verrà definito un livello minimo di conoscenza del francese, che varrà indistintamente per chi frequenta un Cégep francese o inglese.
  • Comuni bilingui: le municipalità bilingui diventeranno automaticamente monolingui francesi se non rispettano il criterio (già introdotto nel 1977) di una popolazione residente maggioritariamente (50%+1) anglofona. Potranno comunque opporsi alla perdita dello status bilingue con una richiesta approvata a maggioranza dal Consiglio comunale.
  • Nuove istituzioni: Verranno creati un Ministero della Lingua francese, l’organismo Francisation Québec ed il Commissariat à la langue française.

Il voto contrario del PQ è dovuto soprattutto ai Cégeps, in quanto il partito indipendentista vorrebbe estendervi le regole vigenti per la scuola dell’obbligo, che ne limitano la frequentazione ai membri della comunità inglese.

Visti l’ambito e l’entità della riforma è comunque quasi certo che sarà chiamata ad esprimersi anche la Corte costituzionale canadese.

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Canada: immigrazione «a tutela» delle minoranze.

Da quasi vent’anni il Canada tiene conto anche dell’aspetto linguistico nella programmazione dell’immigrazione volontaria a livello federale. Ne è esclusa la provincia francofona del Québec, che ha una politica linguistica propria con competenze forti anche nel campo dell’inclusione e dell’integrazione.

Nel 2003 a livello federale si decise di definire misure per la salvaguardia e il mantenimento della francofonia anche all’esterno del Québec, prendendo come riferimento quel 4,4% della popolazione che nel censimento popolare del 2001 aveva indicato il francese come lingua materna o come lingua ufficiale (tra l’inglese e il francese) che conosceva meglio. Tale — il 4,4% — era la percentuale minima da garantire anche tra coloro che in futuro sarebbero immigrati in una delle province altre rispetto al Québec.

Pur avendo modificato, rendendoli più severi, i criteri per individuare gli immigranti francofoni nel 2006 (escludendo dal conteggio quelli bilingui inglese-francese), il peso demografico della popolazione d’espressione francese hors Québec fino al censimento del 2016 era già sceso al 3,8%.

In questi giorni, in vista anche del tagliando alle misure previsto nel 2023, il Commissario alle lingue ufficiali, Raymond Théberge, è tornato sulla questione con delle proposte molto chiare:

Presa di posizione di Raymond Théberge, stralcio infografica

A suo avviso, fatte le dovute analisi, cercare di mantenere la soglia del 4,4% può solo contenere, ma non fermare il declino delle comunità francofone, da ricondurre anche all’immigrazione interna, alla migrazione tra regioni, a fattori demografici (nascite, invecchiamento) e alla trasmissione e agli usi linguistici intergenerazionali.

Chiede dunque alla politica di

  • adottare una nuova soglia più elevata che porti a risultati nel breve, medio e lungo termine;
  • definire e mettere a disposizione strumenti di supporto, strategie e una politica d’immigrazione per le comunità francofone in situazione di minoranza;
  • stabilire obiettivi chiari e fondati su un’analisi completa dei fattori che influenzano il peso demografico.

In sostanza, trovandosi in situazione minoritaria e quindi soggetta a un naturale declino, rispetto al suo peso reale la francofonia dovrà venire sovracompensata dall’immigrazione.

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Albert Memmi: Jede Domination ist relativ.

Der unter französischer Kolonialherrschaft in Tunesien geborene und aufgewachsene Jude Albert Memmi (1920-2020) ist mit seinen Werken ein Vorläufer des Anti- sowie, erst recht, des Postkolonialismus. Die von ihm verfassten Porträts des Kolonisators und des Kolonisierten mit einem Vorwort von Jean-Paul Sartre (1957) stellen ein bis heute zentrales und in vielerlei Hinsicht nach wie vor äußerst aktuelles Standardwerk dar. Darauf folgte unter anderem L’Homme dominé (Der dominierte Mensch), in dem neben dem Kolonisierten auch Schwarze, Frauen und andere Gruppen thematisiert sind.

Weniger bekannt dürfte vielleicht sein, dass 1972 für Québec eine eigene Ausgabe (Éditions l’Étincelle, Montréal) des Portrait du colonisé erschienen ist. Sie ist um einen Anhang ergänzt, in dem es um die Situation der frankophonen Minderheit in Kanada geht. Wiewohl nicht alles übertragbar ist, lassen sich daraus sehr wohl Lehren und Schlüsse auch für andere Minderheiten in der Welt (und somit auch für Südtirol) ziehen — denn:

Jede Domination ist relativ
Jede Domination ist spezifisch

— Albert Memmi, Les Canadiens français sont-ils des colonisés?

und

Es ist klar, dass man nicht im Absoluten dominiert ist, sondern immer im Verhältnis zu jemandem, in einem gegebenen Kontext. In der Art, dass man, selbst wenn man im Vergleich zu anderen Leuten und einem anderen Kontext bevorzugt ist, selbstverständlich eine Domination mit allen gewöhnlichen Eigenschaften der Domination, selbst der schlimmsten, erleben kann. Es ist genau das, was mit den Frankokanadiern zu passieren scheint.

Doch das ist auch kein Einzelfall. Dasselbe gilt für die amerikanischen Schwarzen. Wenn wir die Gesamtsituation der amerikanischen Schwarzen mit der Gesamtsituation der afrikanischen Schwarzen vergleichen, sind wir zu sagen geneigt: die amerikanischen Schwarzen sollten sich nicht beschweren, denn die amerikanischen Schwarzen, die dominiert werden, sind unendlich reicher als die afrikanischen Schwarzen, die frei sind. […] Doch relativ werden die amerikanischen Schwarzen von den Weißen dominiert.

— Albert Memmi, Les Canadiens français sont-ils des colonisés?

Der Anhang Les Canadiens français sont-ils des colonisés? stellt die Wiedergabe einer Diskussion zwischen Memmi und Studierenden der H.E.C. (Hautes études commerciales) aus Montréal dar.

Studierende: Die Frankokanadierinnen stellen sich als durch die Anglokanadierinnen wirtschaftlich und gesellschaftlich Kolonisierte dar. Doch was die französische Öffentlichkeit und die Franzosen, die vorübergehend in Kanada sind, in Verlegenheit bringt, ist die — jedenfalls scheinbare — Prosperität der Provinz Québec. Es sind eher zwei kolonisierende Völker, von denen eins vom anderen besiegt wurde. Die wahren Kolonisierten sind wennschon die Ureinwohnerinnen.

Albert Memmi: Zwei Punkte haben die französische Öffentlichkeit (und vor allem die linke Öffentlichkeit, die eine neue Chance vertan hat, sich korrekt zu einem Problem zu äußern, das sie besonders berühren hätte sollen) in Verlegenheit gebracht: Der Lebensstandard der Frankokanadier und der nationale Aspekt ihrer Forderungen.

Klar, der Lebensstandard der Frankokanadier ist insgesamt, und im Vergleich, höher als in Europa. Er ist näher an dem der [US-]Amerikaner, was im Moment für einen Franzosen das Maximum ist. Und es ist wahr, dass der Begriff der Kolonisierung materielle und kulturelle Armut suggeriert. Doch das liegt daran, dass wir die Kolonisierungen afrikanischer oder asiatischer Art im Sinn haben.

— Les Canadiens français sont-ils des colonisés?

Trotz Einigungsprozessen wie dem europäischen gäbe es ferner kein Recht

1) von den Leuten den Verzicht auf die Unterschiede, auf die sie — zu Recht oder zu Unrecht — Wert legen, zu verlangen;

2) noch die Universalisierung als Vorwand für die Domination einer Gruppe über eine andere, einer Mehrheit über eine Minderheit oder eines Volkes über ein anderes zu verwenden.

— Albert Memmi, Les Canadiens français sont-ils des colonisés?

Es besteht kein Zweifel, dass eine Menschengruppe, die sich befreien will, auch einen Kampf gegen sich selbst führen muss. Ich habe diesen inneren Kampf bei den Kolonisierten wie bei den Juden und den Schwarzen wiedergefunden. Die nordafrikanischen Schriftsteller haben die Kolonialisierung angeprangert; doch sie haben auch fast alle den Zustand ihrer Institutionen, ihrer Familien, ihrer Werte angeprangert. Dieser Punkt wurde durch die Bedeutung des äußeren Kampfes verdeckt. Sicher, es ist hinzuzufügen, dass dieser Werte und diese Traditionen lange eine relativ positive Rolle gespielt haben, da sie dem Dominierten geholfen haben, gegenüber dem Dominierenden zu bestehen. Deshalb habe ich vorgeschlagen, sie als Zufluchtswerte zu bezeichnen. Bei den Frankokanadiern hat die katholische Religion gegen die englischen Protestanten geholfen. Doch die Zufluchtswerte werden langfristig zur Bremse und man muss sie tatsächlich abschütteln.

— Albert Memmi, Les Canadiens français sont-ils des colonisés?

Alle Auszüge von mir übersetzt

Schon sehr früh war in Québec das Interesse für die Schriften von Memmi gewachsen, weil Frankophone in der Beschreibung des Verhältnisses von Kolonialisten und Kolonisierten gewisse Muster wiedererkannten. So kamen bald Kontakte zwischen dem Autor des Portrait du colonisé und etwa dem Québecer Literaturkritiker Pierre de Grandpré, dem Schriftsteller Hubert Aquin, den Redakteurinnen der linken Zeitschrift Parti Pris oder Professor André d’Allemagne (führendes Mitglied des Rassemblement pour l’indépendance nationale – R.I.N.) zustande. Aus der Befassung von Memmi mit der Situation in Québec entstand die einschlägige, um Les Canadiens français sont-ils des colonisés? erweiterte Ausgabe seines Hauptwerks.

Im Fall von Südtirol ist es etwa die us-amerikanische Wissenschaftlerin Mia Fuller, die — in jüngerer Zeit — ausdrücklich den Kolonialismusbegriff verwendet hat.

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Sezessionswunsch kriminalisieren.

Das International Institute für Democracy and Electoral Assistance (International IDEA) mit Sitz in Stockholm hat im Rahmen seines Constitution-Building-Programms ein mehrseitiges Infoblatt (8/2018) zum Thema Sezession veröffentlicht. Dort wird zunächst ausgeführt, dass bestehende Verfassungen weltweit Sezessionen entweder unter bestimmten Voraussetzungen gestatten, sie ausdrücklich verbieten oder keine Aussage dazu machen.

Erstaunlich ist jedenfalls das Fazit, wonach die Hauptentscheidung für die meisten Länder sei, ob sie Sezessionen grundsätzlich verbieten oder dazu schweigen sollten. Der beste Ansatz könne vom jeweiligen historischen und geographischen Kontext abhängen. Für Länder ohne eine Geschichte territorialer Spannungen gebe es kaum die Notwendigkeit, in ihren Verfassungen überhaupt Bezug auf Sezessionen zu nehmen, daher sei es eine angemessene Entscheidung, darüber zu schweigen. In anderen Ländern könne die Bezugnahme auf die territoriale Integrität, vielleicht mit einer Pflicht für die Bürgerinnen, dieselbe hochzuhalten, dazu beitragen, die Unteilbarkeit des Landes zu sichern.

Ein Passus im Abschnitt »Sezessionsverbot« zeigt, was damit konkret gemeint sein könnte: Bürgerinnen zur territorialen Integrität des Landes zu verpflichten könne bedeuten, dass alle, die für Sezession eintreten, gegen die Verfassung verstoßen. Dies würde eine explizite Ausnahme von den Rechten auf freie Meinungsäußerung und Versammlungsfreiheit erfordern. Selbstverständlich — so im Text — sollten solche Einschränkungen eng gefasst sein, damit das Eintreten für mehr Autonomie (oder der kulturelle Ausdruck einer Minderheit) innerhalb des Staates nicht als Verstoß betrachtet wird.

In diesem Lichte kann die indirekte Empfehlung aus dem Fazit, Bürgerinnen unter Umständen zur territorialen Integrität zu verpflichten, als eine Einladung verstanden werden, die Meinungs- und Versammlungsfreiheit einzuschränken.

Unter solchen Umständen wäre das, was etwa macht, illegal. Staaten könnten sich auf die Empfehlung von International IDEA stützen, um die demokratische Forderung nach Sezession zu kriminalisieren.

Das Constitution-Building-Programm versteht sich als Projekt zur Unterstützung von Gesetzgeberinnen, Verfassungsrechtlerinnen und anderen Verfassungsexpertinnen und will eine Community of Best Pratices aufbauen.

International IDEA gehören 33 Staaten als Vollmitglieder (darunter Australien, Deutschland, Finnland, Kanada, Luxemburg, Norwegen, Spanien oder die Schweiz) sowie Japan als Beobachter an. Allerdings enthält das von Professor Tom Ginsburg (University of Chicago Law School) verfasste Papier auch den Hinweis, dass die darin vertretenen Ansichten nicht notwendigerweise jene von International IDEA (sowie jene der Außenministerien von Norwegen und Luxemburg) widerspiegeln.

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Chef von Air Canada empört Québec.

Der Sprachsegen in Québec und ganz Kanada steht seit mehreren Tagen schief, genauer gesagt seit einer Rede des neuen Air-Canada-Chefs an der Handelskammer von Montréal — und zwar für etwas, was zum Beispiel in Südtirol wohl kaum jemandem auffallen würde. Michael Rousseau hielt seine Rede nämlich nicht auf Französisch, sondern fast ausschließlich in der bundesweiten Mehrheitssprache Englisch.

Schon im Vorfeld war der Airline-Chef vom Premierminister der Region, François Legault (CAQ), und vom kanadischen Sprachbeauftragten dazu aufgefordert worden, die Rede (auch) auf Französisch zu halten. Dass er dies nicht tat, wurde von Politikerinnen in Québec und Kanada scharf kritisiert. Seitdem sieht sich Rousseau mit Rücktrittsforderungen konfrontiert, die auch von der Mehrheit der Oppositionsparteien in Ottawa mitgetragen werden.

Regierungschef Justin Trudeau zeigte sich über den Auftritt entrüstet. Seine Ministerin für Amtssprachen, Ginette Petitpas Taylor, sprach von einer Respektlosigkeit, auf die konkrete Gegenmaßnahmen folgen müssten.

Selbst führende Mitglieder der anglophonen Gemeinschaft in Québec distanzierten sich öffentlich von dem Unternehmensführer.

Erschwerend kommt hinzu, dass Rousseau — dessen Mutter und Ehefrau französischsprachig sind —, im Anschluss an die Rede von den Medien zu seinen Sprachkenntnissen befragt, angab, seit 14 Jahren in Montréal zu leben und trotzdem nie auf die französische Sprache angewiesen gewesen zu sein. Dies sei ein Vorzug dieser Metropole.

Die ehemalige staatliche Fluggesellschaft ist auch nach der Privatisierung 1988 gesetzlich dazu verpflichtet, ihren Hauptsitz in Montréal zu belassen. Das Unternehmen unterliegt außerdem dem föderalen Official Languages Act.

Der besonders aufsehenerregende Vorfall ereignete sich in einer Zeit, in der die Regierung von Québec an einer deutlichen Verschärfung der ohnehin starken Gesetzgebung zum Schutz der französischen Sprache arbeitet, um dem Vormarsch der englischen Sprache in den Großstädten Einhalt zu gebieten.

Medienberichten zufolge sollen im Anschluss an die Rede von Rousseau über 1.000 Beschwerden beim föderalen Sprachbeauftragten eingelangt sein, während in einem ganzen Jahr durchschnittlich nur rund 100 Air Canada betreffende Sprachverstöße gemeldet werden.

Eine wenig glaubwürdig klingende, in eine Pressemitteilung verpackte Entschuldigung von Rousseau und sein Versprechen, nun doch seine Französischkenntnisse zu verbessern, konnten die von ihm entfachte Krise bislang nicht beenden.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5

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ts’uḵw’um e sḵelhp.
Canada

A due luoghi della Sunshine Coast vicino alla città di Vancouver, in Canada, è stato ufficialmente restituito il nome assegnatoli dalla popolazione locale e deliberatamente sostituito dai coloni europei. Lo rende noto il Ministero per le Relazioni indigene e la Riconciliazione della provincia di British Columbia, che da anni sta portando avanti programmi di ricerca e restituzione toponomastica in stretta collaborazione con le comunità coinvolte.

Concretamente, in collaborazione con la nazione shíshálh, la località di Wilson Creek e l’omonimo corso d’acqua diventano ts’uḵw’um, mentre Saltery Bay, che dà anche il nome a un parco naturale, d’ora innanzi tornerà ad essere sḵelhp (la grafia con le iniziali minuscole è quella corretta).

Anche in Canada la politica coloniale e in particolare l’istruzione pubblica avevano tentato di cancellare le lingue e le culture indigene. La restituzione della toponomastica precoloniale è un forte contributo alla riappacificazione, al rispetto e alla tutela delle minoranze indigene.

Vedi anche ‹1 ‹2 ‹3 ‹4

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Argentinien verankert nichtbinäre Geschlechtsidentität.

Kürzlich hat Argentinien neben weiblich und männlich eine weitere Geschlechtsoption für Menschen eingeführt, die sich keiner der beiden etablierten Geschlechtsidentitäten zugehörig fühlen bzw. zuordnen möchten. So werden etwa künftig Personalausweise und Reisepässe eine dritte Geschlechtsangabe ermöglichen.

Die weitreichende Änderung wurde vom Präsidenten Alberto Fernández Prensa per Dekret eingeführt. Er gab zu bedenken, dass die Zeit gekommen sei, andere Identitäten, die es schon immer gegeben habe, die aber in Vergangenheit unterdrückt wurden, endlich anzuerkennen.

Argentinien gesellt sich somit zu anderen wenigen Ländern, die bei diesem Thema eine Vorreiterrolle eingenommen haben. Neben Neuseeland, Australien, Indien, Nepal, Bangladesh und Kanada anerkennen auch einige US-Bundesstaaten (wie Kalifornien) queere Geschlechtsidentitäten.

In Europa sind es Dänemark und Portugal, die neben Kleinstaaten wie Island und Malta eine weitere Geschlechtsoption ermöglichen.

Deutschland und Österreich gestatten wie Pakistan und Chile die nichtbinäre Zuordnung wenigstens unter bestimmten Voraussetzungen.

Siehe auch ‹1 | 1›

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Kanada: Olympia in 13 Sprachen.

Wir sind ja jetzt wieder Olympia und somit — ob wir es wollen oder nicht — im Bann des (banalen) sportlichen Nationalismus.

Da hört man gerne, wie etwa das mehrsprachige Kanada — auch wenn es derzeit mit der Aufarbeitung eines schrecklichen Kapitels der eigenen Vergangenheit beschäftigt ist — versucht, Pluralismus in die Großveranstaltung zu bringen: So wurde die Eröffnungszeremonie vom öffentlich-rechtlichen CBC/RC nicht nur auf Englisch und Französisch, sondern zudem in beiden Gebärdensprachen (für Gehörlose), mit Audiodeskription (für Blinde) und in acht indigenen Sprachen (Īyiyū Ayimūn, Dehcho Dene, Dënësųłinë́ Yałtı, Gwichʼin, Inuktitut, Inuvialuktun, Tłı̨chǫ und Sahtu Dene) übertragen.

Insgesamt sind das 13 unterschiedliche sprachliche Angebote, die sich zwar nicht gleichmäßig über alle übertragenen Veranstaltungen ziehen, aber trotzdem ein wichtiger Schritt in Richtung Gleichberechtigung und Inklusion sind.

Zur Nachahmung empfohlen.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 ‹7

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