di Fabio Rigali
Sulla scena politica di oggi esistono purtroppo pochissime figure che possano contare sul “posto fisso”, come nei secoli passati; la precarizzazione, che ormai pare affligga quasi tutte le professioni, è cominciata in politica già molti decenni fa con la deprecabile pratica delle elezioni; sicché oggi, malgrado una retribuzione appena migliore e qualche minuscola agevolazione, un ministro, un consigliere od un assessore, non è affatto diverso da un precario. Il mandato è in sostanza un contratto a termine, che, a scadenze regolari, rimette l’interessato in balia della volubile “volontà popolare”. Alle migliaia di persone che oggigiorno cercano di arrabattarsi in rapporti lavorativi di questo tipo, non risulterà difficile da capire come la più grande preoccupazione di questi poveri salariati della politica sia quella di scongiurare la disoccupazione. I partiti in questo senso ne sono un po’ la corporazione: si occupano di distribuire al meglio tra gli affiliati i posti vacanti secondo apposite liste elettorali, simili alle graduatorie; si impegnano nell’assicurare la rielezione e, se possibile, nel creare nuovi posti di lavoro; il loro unico problema è il consenso.
L’esigenza cruciale della politica moderna è dunque quella di creare consenso in modo efficace e duraturo. Fin dall’inizio dev’essere chiaro che il buongoverno non è una tecnica su cui vale la pena di impegnarsi troppo a fondo: moltissime sono le scelte più o meno radicali che, pur sembrando utili alla collettività, metterebbero un politico rampante in pessima luce. Piuttosto che mettersi in gioco e spiegare il proprio operato pubblicamente, è molto più prudente rimandare all’infinito o fare le cose a metà: si rischia molto meno di creare malumori e di venir silurati dal verdetto popolare. Anche i comizi, i manifesti e le iniziative porta a porta non sono granché: a fronte di un grande dispendio di soldi ed energie i risultati, a livelli più alti delle elezioni comunali, sono modesti. Ne consegue che la strada migliore per non ritrovarsi disoccupati è un’altra.
La preziosa esperienza di generazioni di professionisti della politica ha fortunatamente rivelato come i finanziamenti pubblici e i provvedimenti “amichevoli” siano il miglior strumento per creare consenso. I gruppi di potere, le famiglie influenti, i grandi gruppi industriali, le organizzazioni e le associazione sono in tutto il mondo i migliori amici di un politico; e viceversa. Funziona così: i primi forniscono voti e una forma di pubblicità presso i loro affiliati incomparabilmente più persuasiva degli slogan e dei brutti ceffi ritratti sui manifesti; il politico, dal canto suo, ricompensa questo favore fornendo a questi benefattori mezzi burocratico-legislativi e finanziari utili alle loro attività. E’ un connubio perfetto che può durare per decenni, in cui gli interessi di politica e gruppi vari vengono armonizzati e si fondono in una perfezione commovente. Il “bene comune”? Il “buongoverno”? Gli “ideali”? Come si può essere così naïf e insensibili da mettere in dubbio la bontà di questo tipo di sistema, ignorando egoisticamente il dramma di migliaia di amministratori che in tutto il mondo rischiano il loro posto di lavoro ad ogni elezione?
D’altra parte anche nel Sudtirolo più idilliaco dei balconcini fioriti, dove una schiera di associazioni contribuiscono da oltre 60 anni in maniera determinante a far eleggere i rappresentanti di un unico partito, non tutto funziona come dovrebbe. Molti elettori cominciano purtroppo a chiedersi se veramente gli interessi di questo partito coincidano coi loro; ed a parte questi vaneggiamenti ci sono poi le solite beghe da condominio degli italiani piagnoni e dei tedeschi antipatici, i secessionisti rompiscatole, gli ambientalisti furiosi e molte altre fole; lo si vede dai volti stanchi dei poveri consiglieri di maggioranza: non è più come ai bei tempi, dove bastava far voce grossa contro Roma ed i voti eran sicuri.
Negli ultimi anni ci si è messa pure una fastidiosa associazione che per decenni era stata serbatoio di voti per il partito ed oggi lo critica con sempre maggiore insofferenza; di più: sprona gli eletti (e gli elettori) ad interrogarsi sul futuro del Sudtirolo, in aperta antitesi con le visioni del partito. Non solo si immischia nelle discussioni su temi di esclusiva proprietà dei politici, ma anzi le solleva di propria iniziativa, aggiungendo così al danno elettorale anche la beffa. In questo modo non si poteva andare avanti e, quindi, giustamente, si è ora deciso di dare una bella sforbiciata ai contributi provinciali di questa infida associazione, lo Schützenbund, per il suo progressivo allontanarsi dal partito. Era davvero ora che qualcuno prendesse dei provvedimenti ed ora possiamo solo sperare che i tagli agli Schützen insegnino alle altre associazioni a stare buone ed a rimanere al loro posto: visto tutto quello che il partito fa per loro, sarebbe davvero una sfacciataggine dissentire!
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