di Romano Viola
Sono decenni che si parla del «patentino». E’ stato odiato come la quintessenza di tutti i mali dell’Autonomia. Sulla lotta al patentino molti politici hanno imperniato la carriera. Intorno ad esso sono sorte leggende metropolitane. Ottimi conoscitori della lingua di Lutero e di Goethe sarebbero stati respinti solo per colpa di commissioni ingiuste e feroci. Perfetti bilingui sarebbero caduti solo per colpa di domande-carogna su parole impossibili. E così via lacrimando.
Diversi politici hanno tentato per anni, con tenacia, di aggirare il patentino con l’ipocrita proposta di conferirlo, in automatico, assieme al diploma di maturità. E’ una fortuna che non ci siano riusciti: la già scarsa motivazione dei nostri studenti per lo studio del tedesco avrebbe subito un colpo mortale. L’Unione Europea ha poi imposto alla Provincia di accettare, oltre al certificato del patentino, anche quelli rilasciati da altri Istituti linguistici. La soddisfazione è stata subito generale. Confesso una certa fatica a coglierne le ragioni. Se l’esame del «Goethe Institut» si rivelerà più difficile da superare di quello del patentino, nessuno lo farà. Se la difficoltà sarà la stessa, non cambierà nulla. Se invece l’esame del «Goethe» si rivelerà più facile, allora nessuno farà più il patentino: e la conoscenza del tedesco fra gli italiani scenderà ancora.
Il patentino, in fondo, sta alla conoscenza della seconda lingua come il termometro sta alla febbre. Il problema è la febbre, non il termometro. Dalla febbre si guarisce con una dieta appropriata e medicine efficaci. Non mi risulta che si guarisca cambiando il termometro. Anche per quella sorta di «febbre» linguistica rappresentata dall’ignoranza del tedesco vale, in fondo, lo stesso discorso. Per guarirla esiste, da sempre, una sola cura efficace: lo studio. Dopo di che tutti i patentini-termometro (purché funzionino in modo corretto) vanno bene.
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