di Fabio Rigali
Quanto è di moda parlare delle colpe degli “altri”: ci permette di tacere su noi stessi e ci attribuisce una legittimità morale superiore a loro. “Altri” possono essere gli odiati vicini, i colleghi antipatici, gli avversari politici; in quest’ultimo caso in Sudtirolo dietro la mera appartenenza politica si maschera quasi sempre anche quella linguistica, creando il gruppo del noi e degli altri.
Così è spontaneo che chi voglia affermare la superiorità morale di un presunto gruppo debba ingigantire gli errori altrui e nascondere o negare i propri. E’ uno schema comportamentale pervicacemente radicato: vi ricorrono persino i bambini allorché debbano render conto alla maestra del proprio comportamento; chi non ha mai sentito giustificazioni cominciare con un “ma lui”? Il “fanciullo” di oggi, Alessandro Bertoldi, ha invece qualche anno in più e sembra ben avviato al cursus honorum nel partito di Berlusconi; l’argomento del contendere sono in questo caso le infami torture in carcere dei terroristi. Tralasciando l’interessante argomento di come questa destra si comporti con sconcertante indulgenza verso casi di maltrattamento ben più recenti, voglio concentrarmi sul caso specifico: a dire di Bertoldi si sarebbe trattato di “due sberle” in carcere, come afferma in un commento sul sito di ST-F. Le “torture”, “se mai vi siano state, sono state poco e sempre troppo poco”, secondo il suo comunicato ufficiale, che sembra pervaso dal rammarico di non aver usato maggiore brutalità; in più “i terroristi non hanno scontato un giorno soltanto di carcere”, sostiene il giovane “berluschino”.
Si tratta di argomenti inauditi, che tradiscono una sconcertante immaturità ed una fondamentale ignoranza dei fatti in questione. Tutti sanno che si tratta di palesi falsità, che le torture ci furono eccome ed ebbero conseguenze croniche per alcuni e fatali per altri; non occorre quindi addurre prove in questa sede: a noi, di fronte a cotanta incompetenza, interessa solo smascherare e confutare la logica sottesa a queste dichiarazioni:
- In primo luogo la responsabilità è personale, non di gruppo, e Bertoldi potrebbe tranquillamente continuare a parteggiare per lo Stato anche condannandone i soprusi dei singoli.
- Seconda cosa: nego che chi si consideri genuinamente democratico possa in questo caso parteggiare per le forze dell’ordine, che hanno infranto quello stato di diritto, che erano chiamate a difendere: si può non essere d’accordo sui metodi ed anche sui fini degli attivisti e si può finanche giudicarli gli “assassini e i terroristi degli anni ’60”, come fa Bertoldi, ma non si può non condannare l’uso della tortura perché è fuori da ogni principio giuridico.
- Terzo, chi ripudia la gli attentati in modo così deciso ed inappellabile non si capisce come possa tollerare invece la violenza nel carcere.
- L’ultimo principio che mi preme rovesciare è quello che ci impedisce rigidamente di individuare colpe nel nostro gruppo linguistico o che ci porta, anche in casi conclamati, a sminuirle. La vogliamo dire finalmente una cosa: io non sento per me di avere proprio nulla in comune con chi umilia e distrugge con tortura la dignità (propria e) altrui.
Cosa avrei fatto io negli anni ’60? Pur comprendendo ed appoggiando le motivazioni profonde della protesta, non avrei probabilmente preso parte agli attentati, perché troppo pericolosi per l’incolumità propria ed altrui (esattamente come fece la maggioranza della popolazione); avrei quindi deprecato ogni vittima civile e militare e mi sarei sicuramente indignato di fronte al perpetrare di azioni tanto vigliacche come la tortura di prigionieri.
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