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Ci è andata bene.

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Ci è andata bene, dice Paolo Campostrini in un fondo uscito sull’A. Adige di ieri, riferendosi al presunto fallimento della Convenzione e tirando in ballo i soliti argomenti che in quest’anno di lavori partecipati sulla riforma dello Statuto d’Autonomia abbiamo dovuto sorbirci. Ignaro, a quanto pare, dei lavori che continuano sia nel Forum dei 100 sia nella Convenzione dei 33, Campostrini coglie l’occasione dell’esito referendario per decretare la fine di «questa struttura arzigogolata», dare un’altra stoccata contro chi l’ha messa in piedi e sottolineare come i precedenti Statuti fossero stati espressione «delle migliori menti politiche» e di una

classe dirigente perfettamente consapevole della delicatezza del compito a cui era stata chiamata. Tutte condizioni impossibili da riprodurre in tempi ristretti con step implacabili, senza barriere culturali, privi di qualunque possibilità di selezione dei delegati e in un clima politico preda dei populismi e di spinte identitarie neppure paragonabili alle passioni profonde che pur agitavano i decenni di elaborazione della nostra carta autonomistica.

Bene, di critiche da muovere alla struttura della Convenzione ce ne sono diverse, una delle quali per esempio lo scarso interesse della classe politica, la mancanza di un’esplicita e percepibile maternità o paternità nei confronti di questo processo di riforma che ne avrebbe avuto bisogno in varie fasi e ne ha tuttora. Eccome. Ma non è certo svilendo l’impegno di molte persone, di tutte le estrazioni culturali e sociali (non solo dell’»ala destra tedesca», checché ne dica il buon Campostrini) che si porta avanti un discorso di democratizzazione e di rinnovato impegno politico. Quando l’autore, parafrasando il famoso detto che la guerra è troppo importante per lasciarla ai generali, auspica che di autonomia non sia l’Eurac ad occuparsene, ci fa vedere, per l’ennesima volta, che nella migliore delle ipotesi, della Convenzione non ha capito nulla. Nella peggiore, che rimane legato ad una politica che si consuma nelle stanze del potere, lontanissima da chi in democrazia è il sovrano: tutti noi.


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