Categories
Autorinnen und Gastbeiträge

Ma chi erano quelli del «Bozen»?

Lorenzo Vianini

Nel marzo 1944 Roma è sotto il controllo tedesco da diversi mesi e nonostante la mancata organizzazione della difesa della città, come il resto del paese lasciata in balia di sé stessa dopo la fuga del Re e Badoglio, la città dimostrò da subito come non intendesse collaborare con l’occupante. La battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre sarà solo l’inizio della resistenza cittadina, che nei mesi precedenti al 23 marzo vedrà oltre sessanta azioni contro l’occupante e il suo alleato fascista.

L’azione dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) si inserisce quindi in un contesto più ampio, in cui gli stessi comandi tedeschi cercavano di tenere basso il livello dello scontro, per mantenere calma la popolazione e poter usare la città come retrovia del vicino fronte. Fino a quel momento la risposta dell’occupante a bombe gappiste, sabotaggi e sparatorie si era limitata a fucilazioni di persone già condannate a morte, rastrellamenti o ordinanze repressive. Ma l’azione di via Rasella rappresenta un salto di qualità, il più eclatante attacco alle forze naziste in una capitale europea: un ordigno dei GAP e l’esplosione di diverse granate dell’unità militare bersaglio dell’azione, uccidono 33 soldati e ne feriscono gravemente almeno altri 45 (presenti sulla Verlustliste dell’unità, quindi perdite). Nonostante gli sforzi dei gappisti, che anche a rischio di far fallire l’operazione evacuano molti civili presenti, le esplosioni uccidono anche due civili, mentre altri cinque verranno uccisi dalle forze di occupazione nei momenti concitati successivi all’azione.

Le autorità naziste decidono di eseguire una rappresaglia esemplare, un’enorme vendetta per atterrire la popolazione locale e far così mancare il suo sostegno a chi resisteva con le armi. Nel giro di ventiquattrore viene così ordinata ed eseguita, anche con l’aiuto delle autorità fasciste e della questura di Roma, l’uccisione di 335 persone. Per anni è stata discussa la possibilità che i gappisti potessero evitare la rappresaglia consegnandosi, oppure evitare proprio di agire perché sapevano quali sarebbero state le conseguenze: in entrambi i casi si tratta di falsi storici, perché non esisteva al tempo alcuna «Repressalquote» di 10 a 1 né un automatismo nella realizzazione delle rappresaglie, mentre i famosi comunicati via radio o tramite cartelloni sono ancora oggi testi invisibili, mai scovati da nessuno in alcun archivio o fondo privato, addirittura esclusi dall’Oberbefehlshaber Südwest Albert Kesselring (anche se la sua testimonianza meno affidabile tra quelle rese ai processi alle Fosse Ardeatine, avendo lo stesso mentito sul suo coinvolgimento per evitare la pena di morte – v. Raiber 2002, von Lingen 2004).

Soldati sudtirolesi a Roma – Un’immagine dalla serie di articoli di Umberto Gandini per l’Alto Adige, 1977

Il luogo della strage, le Fosse Ardeatine, sono diventate nel dopoguerra uno dei principali luoghi della memoria italiani. In Sudtirolo sarà invece Via Rasella ad essere al centro dell’attenzione, per via della provenienza del reparto attaccato: il Polizeiregiment «Bozen», giunto in città a febbraio dopo quattro mesi di addestramento.

Chi erano allora, quelli del Bozen?

Con l’armistizio dell’8 settembre, le truppe della Wehrmacht attraversano il Brennero per unirsi a quelle già presenti sul territorio, che sarà così diviso in tre settori: in avanzamento da sud, i territori sotto il controllo del governo Badoglio e degli alleati; più a nord, la Repubblica Sociale Italiana; sui territori del confine nord-orientali, le due Zone di Operazioni sotto il diretto controllo del Terzo Reich. Il Sudtirolo faceva parte dell’Operationszone Alpenvorland (OZAV), posta sotto il comando del Gauleiter del Tirolo Franz Hofer, che immediatamente si attiverà per l’utilizzo della popolazione locale per le esigenze belliche. Il Sudtirolo era infatti considerato una importante «riserva», una sacca di risorse umane per la guerra da reclutare tra la popolazione di lingua tedesca.

Le linee guida elaborate da Hofer saranno però elaborate solo a partire dal novembre 1943, mentre il reclutamento per il Polizeiregiment «Bozen» era iniziato già il 1° ottobre. Per questo motivo esisteranno molte differenze tra questo reggimento ed i successivi – Schlanders, Alpenvorland e Brixen: per esempio, l’ordinanza che introduce la Sippenhaft e la pena di morte per i disertori, obbligando all’arruolamento tutti gli optanti e Dableiber delle classi nate tra il 1894 e 1926, è del 6 gennaio 1944, quando il «Bozen» ha già concluso l’addestramento.

Inizialmente denominato Polizeiregiment «Südtirol» e formato da circa 2.000 uomini delle coorti tra il 1900 e il 1912, il primo reggimento venne poi denominato «Bozen» e integrato con successivi innesti, come dimostra la composizione della compagnia attaccata in Via Rasella – dove il più anziano era Jakob Erlacher (43 anni), mentre il più giovane era il ventitreenne Arthur Atz. Spesso si trattava di reduci dell’esercito italiano, in particolare delle campagne d’Africa, e in larga parte erano optanti per la Germania, perché considerati politicamente più affidabili, spesso reclutati su base volontaria – anche se i reduci testimonieranno come in molti casi si fosse trattato di «volontarietà coatta» o di reclutamenti attraverso l’inganno. Si trattava di persone troppo vecchie o troppo giovani per essere aggregate alla Wehrmacht o alle Waffen-SS, ma era un’unità a scopo militare, con addestramento ed equipaggiamento non solo per compiti di sorveglianza e difesa di luoghi strategici, ma adatti alla guerra antipartigiana nelle zone dove opereranno. Le date di nascita rivelano anche come quasi tutti fossero nati sotto l’Impero asburgico, appartenessero quindi non solo al gruppo etnico tedesco ma lo fossero di nazionalità, cui bisogna aggiungere che molti di questi avevano o avrebbero presto perso la cittadinanza italiana «ricevuta» dopo l’annessione del 1919, per via della loro Opzione per il Reich.

Commemorazione – Nel cimitero militare di San Giacomo la targa in ricordo dei soldati del Bozen, inaugurata nel 1981

Il reggimento presta giuramento il 28 gennaio e sarà diviso in quattro battaglioni, ognuno formato da quattro compagnie. Le tre compagnie del terzo battaglione del Polizeiregiment «Bozen» verranno impiegate in modi diversi: a rotazione sarebbero state impiegate due compagnie, mentre la terza doveva servire come riserva. Da febbraio a marzo, la nona e la decima verranno impiegate per la sorveglianza di luoghi strategici, mentre l’undicesima avrà un compito di facciata: ufficialmente destinata ad un supplemento di addestramento, in realtà avrà un ruolo repressivo indiretto tramite la propria stessa presenza in città. Un reparto in assetto da guerra, che marcia nell’uniforme grigioverde della Wehrmacht, cantando per farsi notare più possibile. Per questo, semplificando e banalizzando a partire da un particolare vero, il Presidente del Senato La Russa ha parlato di musicisti: non erano solo visibili, con le loro divise ed armi, ma venivano sentiti cantare durante le proprie marce, un modo per rendere più evidente possibile la propria presenza, la presenza dell’occupante.

Venivano su cantando, nella loro lingua che non era più quella di Goethe, le canzoni di Hitler. Centosessanta uomini della polizia nazista, con le insegne dell’esercito nazista… Venivano su cantando, macabri e ridicoli…

– Rosario Bentivegna in “Achtung Banditen” (2004)

L’arruolamento antipartigiano – Immagini tratte da «Südtiroler in der Waffen-SS» di Thomas Casagrande

Polizeiregimente – Né poliziotti né SS, ma soldati

I corpi di polizia germanici avevano subíto una profonda mutazione con la presa del potere nazionalsocialista, con una progressiva militarizzazione in «Vorbereitung auf neue und größere Aufgaben in der Zukunft». Anche i Polizeiregimente saranno così formati a partire dalla struttura della Ordnungspolizei, sottoposti al «Höchsten SS- und Polizeiführer» in Italia Karl Wolff, simili a soldati della Wehrmacht negli armamenti, nei gradi militari e nelle uniformi grigioverdi.

Il doppio ruolo di Wolff ricalcava quello di Himmler, Reichsführer SS und Chef der deutschen Polizei: il fatto che quest’ultimo fosse contemporaneamente capo delle SS e capo della polizia, unito a motivazioni di prestigio (e propaganda interna) e un riordinamento generale delle forze tedesche, sono stati probabilmente il motivo per cui con decisione del 24 febbraio 1943 tutti i Polizeiregimente – non solo quelli sudtirolesi – verranno ridenominati SS-Polizeiregimente: per il «Bozen», già formato da mesi e in quel momento attivo in diversi scenari di guerra, il provvedimento verrà reso effettivo con un’ordinanza del 16 aprile. Si tratta però di un atto solamente formale, poco più dell’aggiunta di una sigla, perché il comando era già lo stesso, non verranno modificate le divise e se il Soldbuch diventerà a sua volta SS-, i soldati dei reggimenti non otterranno il numero di appartenenza alle SS.

Per lungo tempo, soprattutto a partire dall’ambiente diplomatico dove De Gasperi aveva tutto l’interesse a presentare i sudtirolesi come ferventi nazisti, si è parlato di feroce reparto di SS. La realtà è che la specifica compagnia attaccata in Via Rasella non era stata protagonista di crimini di guerra, ma se non le si possono attribuire particolari responsabilità, non si può neppure dare per scontata la loro innocenza. Se l’undicesima compagnia del «Bozen» viene sostanzialmente spazzata via dai GAP, le restanti unità del terzo battaglione continueranno ad essere impiegate a Roma e poi nel nord Italia in funzione antipartigiana; ancora, i due altri battaglioni saranno da subito attivi nella repressione della Resistenza italiana e slovena in OZAV e OZAK, partecipando anche all’incendio di villaggi, rastrellamenti e stragi come i più famosi episodi della Valle del Biois nell’agosto 1944 o l’eccidio di Bassano del Grappa del 26 settembre 1944. Il «Bozen» era un’unità armata e addestrata per compiti in cui altre unità si macchieranno di crimini, per cui risulta difficile che proprio quel reparto potesse sottrarsi dal meccanismo di morte del nazionalsocialismo.

La confusione sulle vittime

Il reparto attaccato in Via Rasella era quindi un’unità da combattimento, un legittimo obiettivo di guerra attaccato nelle modalità tipiche della resistenza urbana, che non poteva affrontare frontalmente l’occupante nazista ed il suo alleato fascista ma non aveva rinunciato ad agire. Il «Bozen» avrebbe potuto essere attaccato prima o successivamente, con modalità simili o senza alcuno spargimento di sangue: forse avrebbe avuto più o meno vittime, oppure sarebbero stati i suoi soldati ad uccidere. Se queste rimangono supposizioni è proprio grazie all’azione dei GAP romani, perché la partecipazione di quei 156 uomini alla Seconda guerra mondiale o alle politiche del regime sarebbe stata solo questione di tempo.

Rappresaglia – Soldati nazisti alla ricerca di «esseri umani» per quello che diverrà noto come Eccidio delle Fosse ardeatine (Foto: Wikipedia)

Per molto tempo si è anche parlato del «Bozen» come autore della strage, parte del plotone d’esecuzione secondo una ricostruzione circolante in ambiente diplomatico. Una versione poi letteralmente ribaltata da Umberto Gandini, che sulle pagine de «Il Giorno» intervista per primo i superstiti del «Bozen». Uno di questi, Jacob Tock, racconta che i sottufficiali volevano che fossero loro a eseguire la fucilazione, ma che non era stato possibile perché «noi sudtirolesi non siamo fatti per queste cose, non potevamo uccidere così kaltbluetig, a sangue freddo». Una versione poi riassunta da Gandini come disobbedienza esplicita del «Bozen», di cui si parlerà ancora negli anni successivi: ma fino al 1968, la mancata partecipazione del «Bozen» era stata legata alla più probabile decisione dei loro superiori, dopo che il comandante della compagnia Dobek li aveva presentati come inadatti e troppo cattolici. Un reparto almeno dimezzato, tra morti e feriti, non poteva realizzare una rappresaglia veloce ed efficiente. Una spiegazione molto più credibile di un aperto rifiuto da parte di soldati semplici, che sarebbero stati per questo puniti – se non con la morte, almeno con l’invio in reparti punitivi in quanto elementi inaffidabili.

Definire questi soldati delle «vittime», allo stesso livello di quelle delle Fosse Ardeatine, non rende giustizia alle seconde e confonde rispetto ai primi. Questo è stato per molti anni il leitmotiv della pubblicistica sudtirolese in lingua tedesca, che più volte ha parlato di «368 Opfer», ma anche della stessa propaganda dei due regimi – come da commento dello stesso Osservatore Romano, «trentadue vittime da una parte; trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto, dall’altra».

La disobbedienza del «Bozen» – L’articolo di Umberto Gandini pubblicato su Il Giorno del 24 marzo 1968

Un passo indietro, all’origine di tutta la polemica di questi giorni, cominciata proprio nell’anniversario delle Fosse Ardeatine per il comunicato della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La cofondatrice di Fratelli d’Italia e dal lungo curriculum di militanza studentesca nei partiti post-fascisti ha parlato di «335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani».

Innanzitutto, innocenti non lo erano né agli occhi di Herbert Kappler, l’organizzatore della strage che di fronte al tribunale spiegherà ampiamente la sua definizione di Todeskandidaten, ma neppure dei fascisti alleati, che prestano il loro aiuto per la realizzazione dell’eccidio. Non erano innocenti perché resistevano, non erano innocenti perché ebrei, non erano innocenti perché non si trattava di rispettare uno status giuridico, ma della realizzazione di una necessità: avere abbastanza persone da uccidere affinché la rappresaglia avesse effetto.

Non erano neppure tutti italiani: alcuni non avevano la cittadinanza, o non erano di nazionalità italiana. Ma soprattutto, gran parte di loro era considerata anti-italiana proprio da chi li uccise: non erano italiani perché appartenenti alla «razza ebraica» discriminata e poi ufficialmente perseguitata con le leggi razziali del 1938; non erano italiani perché chi era contro la repubblichina di Salò veniva accusato di essere contro l’Italia.

No, non vennero uccisi solo perché italiani: vennero uccisi in una cieca vendetta, interessata ad una contabilità capace di incutere terrore.

Il presente contributo è stato pubblicato su Salto.


Fonti
Il lavoro più esauriente in proposito è il Seminararbeit di Christoph von Hartungen, Werner Hanni, Klaus Menapace e Reinhold Staffler del 1980. Una versione rivista e meno completa può essere letta sulla rivista «Der Schlern» del 1981. Altri essenziali contributi in lingua tedesca sono l’articolo «Mord in Rom» di Steffen Prauser (Viertelsjahrshefte für Zeitgeschichte, 2002) e la tesi di dottorato di Joachim Staron, «Fosse Ardeatine und Marzabotto: Deutsche Kriegsverbrechen und Resistenza» (Schöningh 2002), che si concentra di più sulla rappresentazione mediatica delle due stragi in Italia e Germania. In italiano si rimanda al monumentale lavoro di Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito (Donzelli 1999).

L’autore
Lorenzo Vianini si è laureato all’Università di Vienna con una tesi dedicata all’argomento, Via Rasella in der Südtiroler Medienberichterstattung, e ha realizzato per Radio Tandem un podcast in italiano di due puntate: Via Rasella nei media sudtirolesi.

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

A Bolzano nessuna necessità di parlare in tedesco.
Quotation

«A noi dispiace moltissimo – hanno detto le presidi – che in città non ci sia più nessuna necessità di parlare in tedesco. Tutti parlano italiano, sanno l’italiano molto bene. Quasi più nessuno si impegna, forse non c’è neanche più la voglia».

dal quotidiano A. Adige di oggi

La citazione è riferita a un incontro tra le presidi delle scuole in lingua tedesca di Bolzano e l’assessora Johanna Ramoser (SVP), organizzato per discutere delle difficoltà didattiche legate al «travaso» di alunni dalle scuole in lingua italiana a quelle in lingua tedesca (‹1).

Purtroppo è vero che l’inesistenza di una seria politica linguistica (cfr. ‹1 ‹2 ‹3) ha fatto prevalere il laissez faire che, soprattutto laddove ad essere in netta maggioranza numerica è la lingua franca nazionale, presto o tardi porta all’egemonia linguistica. Sarebbe strano se così non fosse.

Nel capoluogo in particolare non solo non sono state attuate strategie per la promozione e il mantenimento del tedesco — con le necessarie misure asimmetriche di tutela — ma addirittura i rappresentanti politici dell’SVP (che potrebbero dare il buon esempio) si piegano all’imperante monolinguismo italiano (‹1 ‹2), dandolo ormai per scontato e relegando il tedesco a un ruolo sempre più marginale, del tutto irrilevante e di mera testimonianza.

In molti casi il problema non è più quello che non vi sia nessuna necessità di parlare il tedesco1necessità ormai inesistente in quasi tutto il Sudtirolo, ma che non vi sia nemmeno la possibilità (cfr. ‹1 ‹2). E quindi anche a chi volesse imparare la lingua manca il contesto linguistico per farlo.

Vedi anche ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 | 1›

  • 1
    necessità ormai inesistente in quasi tutto il Sudtirolo
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Sprachdumping im Sozialbereich.

Aus einem Bericht des A. Adige vom 22. August geht hervor, dass der Gesundheitsbetrieb (Sabes) dem Betrieb für Sozialdienste Bozen (BSB) angeblich unlautere Konkurrenz bei der Rekrutierung von Personal macht, da dort anders als beim BSB Anstellungen auch ohne Zweisprachigkeitsnachweis möglich sind.

Angemessene Kenntnisse der zweiten Sprache seien außerdem auch für Mitarbeitende von privaten und konventionierten Einrichtungen nicht Voraussetzung.

Die Folge: ein Wettrennen mit fortschreitender Nivellierung nach unten, was die Sprachkenntnisse betrifft — und gemeint sind natürlich vor allem die Deutschkenntnisse.

BSB-Chefin Liliana Di Fede (PD) und Gemeindereferent Juri Andriollo (PD) kennen die Lösung: Weg mit der Zweisprachigkeitspflicht. Dem Bericht zufolge hat die zuständige Landesrätin Waltraud Deeg (SVP) schon ihre Bereitschaft signalisiert, die rechtlichen Voraussetzungen für diese abermalige Aushöhlung der Sprachrechte zu schaffen.

Grundsätzlich gibt es ja zumindest diese beiden Möglichkeiten:

  • Senkung der Anforderungen an die Bewerberinnen.
  • Verbesserung der (nicht nur finanziellen) Konditionen.

Mein Eindruck ist, dass in Südtirol schon seit Jahren vor allem ersteres gemacht wird, weil es der Weg des geringeren Widerstandes ist.

Proportionale Einsprachigkeit

Wenn man sich schon auf diese Präkarisierung einlässt, die zu Lasten der Rechte von Beschäftigten und Bürgerinnen geht, könnten aber wenigstens einige Vorkehrungen getroffen werden.

Wie ich hier schon öfter geschrieben habe, wäre eine weitere Aufweichung des Proporzes (unter Umständen sogar seine gänzliche Abschaffung) vorstellbar, wenn dafür die Anforderungen hinsichtlich der Sprachkenntnisse erhöht werden.

Jetzt steht aber nicht nur keine Stärkung, sondern die Abwrackung des Zweisprachigkeitsnachweises auch im Sozialbereich im Raum.

In meinen Augen müsste dann im Umkehrschluss der Proporz verstärkt werden — in dieser Art: Für jede italienischsprachige Mitarbeitende, die keine Deutschkenntnisse nachweisen kann, gilt (gemäß Verhältnis zwischen den Sprachgruppen) die Verpflichtung, mindestens zwei deutschsprachige anzustellen, die keine Italienischkenntnisse nachweisen können. Erst dann darf wieder eine weitere einsprachig italienische Kraft angeworben werden und so weiter. In begründeten Fällen könnte das Verhältnis bis auf 1:1 reduziert werden, weniger sollte es jedoch niemals sein1Heute sind wir jedoch da wo die Zweisprachigkeitspflicht aufgeweicht/aufgehoben wurde, selbst von einem 1:1-Verhältnis weit entfernt..

Eine derartige Regelung würde einerseits die Mehrsprachigkeit des Dienstes sicherstellen, was mit einer ersatzlosen Streichung des Zweisprachigkeitsnachweises auf Dauer wohl nicht mehr zu gewährleisten wäre; andererseits stünde Südtirol dann unter Druck, im Wettbewerb mit dem deutschen Sprachraum aktiv mitzuspielen, anstatt ihn nur passiv über sich ergehen zu lassen und die eigenen Ansprüche zu senken. Ein relativ reiches und im Vergleich zum deutschsprachigen Raum auch kleines Land2mit einem überschaubaren Bedarf an Fachkräften wie das unsere sollte sich das im Namen seiner besonderen sprachlichen Situation leisten wollen und können.

Die positive Nebenwirkung wäre, dass die Vergütungen und sonstigen Arbeitsbedingungen im internationalen Vergleich bestehen müssten. Andernfalls besteht die Gefahr, dass mit der Aufhebung der Zweisprachigkeitspflicht eine Art Sozialdumping einhergeht3Im Handel, wo es keine Zweisprachigkeitspflicht gibt, ist ähnliches zu beobachten. Nicht mehr nur Billigketten engagieren oft einsprachiges Personal aus italienischen Regionen, um Kosten zu sparen. Diese Menschen leben hier oft aufgrund der hohen Lebenshaltungskosten in prekären Verhältnissen oder sind zum Einpendeln gezwungen..

Nicht zuletzt wäre gewiss anzustreben, dass welche Regelung auch immer für den öffentlichen Sektor gewählt wird, diese auch bei den Privaten Anwendung findet.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3

  • 1
    Heute sind wir jedoch da wo die Zweisprachigkeitspflicht aufgeweicht/aufgehoben wurde, selbst von einem 1:1-Verhältnis weit entfernt.
  • 2
    mit einem überschaubaren Bedarf an Fachkräften
  • 3
    Im Handel, wo es keine Zweisprachigkeitspflicht gibt, ist ähnliches zu beobachten. Nicht mehr nur Billigketten engagieren oft einsprachiges Personal aus italienischen Regionen, um Kosten zu sparen. Diese Menschen leben hier oft aufgrund der hohen Lebenshaltungskosten in prekären Verhältnissen oder sind zum Einpendeln gezwungen.
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Faustini und die »italienische Minderheit«.

Der A. Adige, italienische Tageszeitung der Athesia, ist schon bereit für das mit hoher Wahrscheinlichkeit bald einbrechende Meloni-Zeitalter.

Auf einen nationalistischen Leserbrief antwortete kein geringerer als Direktor Alberto Faustini am letzten Sonntag (21. August) unter anderem folgendermaßen:

[D]ie italienische Minderheit (denn wir können nicht weiterhin die Realität leugnen, dass die Italiener in Südtirol die echte Minderheit sind) ist aus unterschiedlichen Gründen dabei, sich zu einer unterschätzten Notlage zu entwickeln.1Übersetzung von mir. Original: »[L]a minoranza italiana (perché non possiamo continuare a negare una realtà che vede negli italiani che stanno in Alto Adige la vera minoranza) sta diventando per diverse ragioni un’emergenza sottovalutata.«

— Alberto Faustini

Zwei Tage später (am 23. August) wurde in derselben Zeitung die Zuschrift eines freudig erregten Lesers veröffentlicht, der den Direktor zu seiner Läuterung »auf dem Weg nach Damaskus« befragte.

Worauf dieser erwiderte, dass die deutsche Minderheit auf regionaler Ebene mit dem zweiten Autonomiestatut natürlich zu einer Mehrheit auf Landesebene geworden sei.

Ich habe das Unbehagen der Italiener nie geleugnet. Ich habe niemals jemanden als wehleidig bezeichnet und ich habe mich davor gehütet, jemanden der sich beschwert automatisch als Faschisten zu betrachten.2Übersetzung von mir. Original: »Non ho mai negato il disagio degli italiani. Non ho mai dato del lagnoso a qualcuno e mi sono ben guardato dal considerare automaticamente fascista chi s’è lamentato.«

— Alberto Faustini

[A]uch kürzlich habe ich mehrmals geschrieben, dass die Italiener in der Landesregierung (Post-Christdemokraten, PDler und zuletzt die von der Lega) oft unsichtbar waren und unterwürfig fast jede Entscheidung der SVP mitgetragen haben.3Übersetzung von mir. Original: »[A]nche di recente ho scritto più volte che gli italiani al governo della Provincia (post democristiani, “piddini” e infine leghisti) sono stati spesso invisibili, accettando supinamente quasi ogni scelta della Svp.«

— Alberto Faustini

Abschließend verlangen Sie von mir eine Vertiefung? Das machen wir fast täglich, indem wir uns mit Primariaten, Führungskräften, Betriebsleitungen jeder Art befassen und betonen, dass den Italienern bestenfalls eine Vizepräsidentschaft zusteht [vgl. ‹1]. Einige Ausnahmen gibt es noch, doch da sprechen wir wirklich von Kleinigkeiten.4Übersetzung von mir. Original: »Lei mi chiede infine un approfondimento? Lo facciamo quasi ogni giorno, occupandoci di primari, di dirigenti, di vertici di qualsiasi cosa, ribadendo che agli italiani, quando va bene, tocca una vicepresidenza. Qualche eccezione c’è ancora, ma parliamo davvero di poca cosa.«

— Alberto Faustini

Bei solchen haarsträubenden Aussagen aus dem Hause Athesia wird der sonst hochgelobte Kanonikus wohl im Grabe rotieren.

Bezüglich der italienischen Minderheit, die keine ist (‹1 ‹2), befindet sich Faustini jedenfalls auf einer Linie mit Rechtsaußen Alessandro Urzì (FdI). Was hier zum Mainstream wird, ist einfach unfassbar.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6

  • 1
    Übersetzung von mir. Original: »[L]a minoranza italiana (perché non possiamo continuare a negare una realtà che vede negli italiani che stanno in Alto Adige la vera minoranza) sta diventando per diverse ragioni un’emergenza sottovalutata.«
  • 2
    Übersetzung von mir. Original: »Non ho mai negato il disagio degli italiani. Non ho mai dato del lagnoso a qualcuno e mi sono ben guardato dal considerare automaticamente fascista chi s’è lamentato.«
  • 3
    Übersetzung von mir. Original: »[A]nche di recente ho scritto più volte che gli italiani al governo della Provincia (post democristiani, “piddini” e infine leghisti) sono stati spesso invisibili, accettando supinamente quasi ogni scelta della Svp.«
  • 4
    Übersetzung von mir. Original: »Lei mi chiede infine un approfondimento? Lo facciamo quasi ogni giorno, occupandoci di primari, di dirigenti, di vertici di qualsiasi cosa, ribadendo che agli italiani, quando va bene, tocca una vicepresidenza. Qualche eccezione c’è ancora, ma parliamo davvero di poca cosa.«
Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Neues Alpinidenkmal für Bozen?

Die italienischen Gebirgsjäger wehren sich vehement gegen die Entfernung des Alpinidenkmals in Bruneck, das seit 1938 an die Division Pusteria erinnert — eine Division, die nur im Faschismus (1935-1943) existierte und im kolonialistischen Angriffskrieg in Abessinien sowie am Balkan und in Südfrankreich eingesetzt wurde.

Stattdessen fordert ihre Vereinigung (ANA) nun die Errichtung eines weiteren Alpinidenkmals in der Landeshauptstadt, auf dem Platz des 4. Novembers, der an das Datum des italienischen »Sieges« im Ersten Weltkrieg erinnert, mit dem die Annexion Südtirols einherging.

Dem Südtiroler ANA-Vorsitzenden Pasquale D’Ambrosio zufolge soll das neue Alpinidenkmal — in Form eines überdimensionalen Alpinihuts auf dem Kreisverkehr — keine nationalistische Botschaft beinhalten, sondern nur die Verbundenheit mit Bozen und seiner Geschichte verdeutlichen.

Dabei waren die Alpini hierzulande zuerst Eroberer und wenig später willfähriges und unabdingliches Werkzeug des faschistischen Regimes und seiner brutalen Assimilierungspolitik. Eine Aufarbeitung dieser Rollen hat nie stattgefunden, im Gegenteil: Die italienischen Gebirgsjäger haben auch damit kein Problem, sich fortan an einem äußerst bedenklichen Datum wie dem 26. Jänner selbst zu feiern.

Bleibt zu hoffen, dass die Gemeinde Bozen, wo es schon Unmengen an zweifelhaften Denkmälern und Straßennamen gibt, den Wünschen der Alpini nicht entsprechen wird.

Siehe auch ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 ‹7

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
Autorinnen und Gastbeiträge

Paula bei Putin.

Auf der Familienkonferenz in Moskau 2014 ging es vehement gegen die gleichgeschlechtliche Ehe und gegen die Abtreibung. Der Kongress warb für die Aberkennung der Menschenrechte für Schwule und Lesben. Im Hintergrund tobte damals schon der russische Krieg gegen die Ukraine.

Nicht nur die damalige Brixner Stadträtin Paula Bacher war aus Südtirol in Moskau mit dabei. Auch die Latscher Vize-Bürgermeisterin Sonja Platzer und Gudrun Warger, Kabinettsleiterin aus Schlanders. Landesrätin Waltraud Deeg stellte »Südtirols Teilnahme am internationalen Familienkongress« in Moskau vor. Eine Tagung, finanziert von Männern, die Präsident Putin nahestehen.

Der Alto Adige (AA) betitelte Stadträtin Bacher als Botschafterin an Putins Hof. Sie und acht weitere Personen aus der Region kamen über das russische Zentrum Borodina in Meran nach Moskau. Für die Einladung gesorgt hatte Andrej Pruss von der Borodina, Putins Mann in Meran. »Ich bin sehr aufgeregt, mein Ziel ist es, Vertretern von fünfzig Nationen über meine Erfahrungen als Stadträtin für Familie zu berichten«, erklärt Bacher dem AA.

Das Forum Mehrkindfamilien wurde mit der Begrüßung des Präsidenten der Russischen Föderation, Wladimir Putin, eröffnet. »Der politische Moment ist nicht der beste, aber sie sagten mir, dass es Präsident Putin sein wird, der uns willkommen heißen wird«, zitierte der AA Stadträtin Bacher.

»UN, USA und EU führen Krieg gegen die Familie«

Paula Bacher und die übrigen acht Delegierten fanden sich auf einer äußerst abenteuerlichen Veranstaltung ein, die im Staatspalast im Kreml und in der Christus-Erlöser-Kirche stattfand. Zur Einstimmung. Gabriela Kuby zitierte auf kath.net, den katholischen Nachrichten, aus der Kongress-Resolution: »Die Zerschlagung der Familie, die Massentötung ungeborener Kinder, der globale Krieg für die Deregulierung der sexuellen Normen, wie er von den UN, der EU und den USA betrieben wird, schafft entwurzelte, manipulierbare Massen ohne Zukunftsperspektive.« Das Abschlussdokument bezeichnete Kuby als einen Appell an die Weltgemeinschaft, die Weichen in Richtung Familie zu stellen. Zur Einordnung: Kuby ist Autorin des Buches »Die globale sexuelle Revolution. Zerstörung der Freiheit im Namen der Freiheit«.

Ja, Paula Bacher war als SVP-Stadträtin 2014 auf dieser Familienkonferenz, auf dem »Forum Mehrkindfamilien und die Zukunft der Menschheit«. Auf dieser Veranstaltung warnte u.a der damalige Vize-Vorsitzende der FPÖ, Johann Gudenus, in der Moskauer Erlöserkirche vor einer »Homo-Lobby«. Diese »Lobby« bedrohe Europa, die ihre Botschaften über eigene Zeitungen und TV-Anstalten verbreitet. Zur Erinnerung, Gudenus war der Typ, der mit seinem Parteichef Strache auf Ibiza einer angeblichen russischen Oligarchin Österreich verkaufen wollte.

Der Familienkongress ist eine Vorfeld-Struktur des russischen Präsidenten Putin. Das Forum Mehrkindfamilien und die Zukunft der Menschheit wurde vom Zentrum für Nationalen Ruhm und der Stiftung des Orden des Heiligen Andreas des Erstberufenen organisiert. Zu den potenten Förderern zählte Wladimir Jakunin, damals Chef der russischen Staatsbahn und enger Vertrauter Wladimir Putins. Seine Frau Natalia wurde mit ihrer Stiftung Heiligkeit der Mutterschaft für die Familiensache aktiv. Jakunin war Freund des ehemaligen Landeshauptmannes Luis Durnwalder.

Rettendes Putin-Russland

Unter den weiteren offiziellen Veranstaltern war die Stiftung Heiliger Basil der Große, diese ist eine der größten privaten Hilfsorganisationen und wurde 2007 vom Oligarchen Konstantin Malofeew gegründet. Der Oligarch bezeichnet sich als Monarchisten, er soll die bewaffneten Separatisten im Donbass finanziert haben, die Ukraine war für ihn ein »künstliches Gebilde«. Hier kreuzen sich verschiedene Fäden, jene des World Congress of Families und jene der Kommission des russisch-orthodoxen Patriarchen für den Schutz von Familie, Mutterschaft und Kindheit.

Aus allen russischen Provinzen kamen Vertreter zu dieser angeblichen Familienkonferenz. Aus den USA, Kanada, Österreich, Italien, Großbritannien, Polen, Mexiko, Venezuela, Australien, der Ukraine, Georgien, Kasachstan, Serbien, Lettland oder den Philippinen, aus insgesamt 45 Staaten fanden sich 1.000 Teilnehmer zur Konferenz ein. Zu den bekannteren Teilnehmern gehörten neben dem Wiener FPÖ-Klubchef Gudenus der Front-National-Europaabgeordneter Aymeric Chauprade, der stellvertretende ungarische Staatssekretär für bilaterale EU-Beziehungen, Gergely Pröhle und das Trio aus Südtirol. Mit dem Segen von Landesrätin Deeg.

Es mag zwar formell um Mehrkindfamilien gegangen sein, Ziel der Konferenz war aber grundsätzlich anderes. So heißt es in der gemeinsamen Abschlusserklärung, dass eine Stärkung der Rechte von Lesben und Schwulen ein Ende der menschlichen Zivilisation bedeutet. Zitat:

Wir […] drücken unsere ernsthaften Sorgen aus, weil gewisse Staaten hartnäckig eine noch nie dagewesene Propaganda-Kampagne forcieren, die zur ultimativen Zerstörung der natürlichen Familie führt – eine Institution, die in einer zivilisierten Gesellschaft die Basis von Ordnung, staatlichem Wohlergehen und sozialem Frieden ist.

Das Fortbestehen der menschlichen Zivilisation garantiert nur die Ehe zwischen Mann und Frau, kommen die Teilnehmer zum Schluss, »alle anderen sexuellen Beziehungen oder absichtlichen Verbindungen, die die Geburt von Kindern ausschließen, sind nutzlos, weil sie der Definition des Wortes ‚Familie‘ in keiner Weise entsprechen«.

Die Kongressteilnehmer forderten die Regierung auf, die Rechte von Lesben, Schwulen und Transgendern zu beschneiden, um eine »Entmenschlichung der Gesellschaft« zu verhindern. Die Familienkämpfer machten einen Weg der ideologiegeführten und staatlich unterstützten Einmischung in das Privatleben der Bürger aus. Ein abzulehnender Versuch, der Mehrheit den sexuellen Lebensstil und die Vorlieben einer Minderheit aufzuzwingen.

Das Forum Mehrkindfamilien und die Zukunft der Menschheit wehrte sich »gegen den zynischen Gebrauch von Frauen als Leihmütter im Interesse von gleichgeschlechtlichen Verbindungen. Frauen sollen gefördert werden, als Mutter möglichst vieler Kinder innerhalb der eigenen Familie.«

Für den Kongress war Russland das herausragende Beispiel, weil es »gesetzliche Verbote aller Arten von Propaganda, die homosexuelle Beziehungen im Umfeld von Kindern und Minderjährigen fördert.«

Familie und Neu-Russland

Die liberal-konservative Frankfurter Allgemeine Zeitung zeigte sich in ihrer Berichterstattung schockiert über diese Moskauer »Wertediskussion«. Denn es ging neben der angeblichen traditionellen Familie auch um »Neu-Russland«, um die »Volksrepubliken« im ukrainischen Donbass und um die annektierte Krim. Die katholische Autorin Kuby wies damals die westliche Kritik an der russischen Ukrainepolitik als haltlos und falsch zurück.

Die angesprochenen Fäden verknoten sich. Das in den USA starke Netzwerk ultra-konservativer Christen, die Christian Right-Bewegung, steht in enger Verbindung mit dem russischen Staatsapparat und der Putin-Partei. Dreh- und Angelpunkt im Netzwerk ist wiederum der World Congress of Families von Allan Carlson. Der ehemalige Trump-Vize Mike Pence wurde in diesem rechts-religiösen Sumpf politisch groß. 1995 fand in Moskau der erste Familienkongress statt. Seitdem wurde die Zusammenarbeit zwischen der religiösen US-Rechten und dem Putin-Staat immer enger. Der staatliche Rückhalt machte die russischen Familienkämpfer zum Rückgrat des World Congress of Families, der russische Positionen vertritt, die weit über die gemeinsam angedachte reaktionäre – faschistoide – Familienpolitik reichen.

Der Mitgründer Allan Carlson äußert im Gespräch mit dem Deutschlandfunk Verständnis für die Außenpolitik des Kremls. Zum Beispiel in Bezug auf die Ukraine: »Russland hat ein besonderes Interesse an der Ukraine. Das müssen wir anerkennen. Wenn ich den ukrainischen Politikern etwas raten sollte, dann wäre das, den russischen Bären nicht zu reizen.« Diese Front lehnt die liberale Demokratie und säkulare Regierungen ab, die sie als »liberale Diktatur« beschimpft, ist gegen Abtreibung, Schwulen- und Lesbenrechte. Frontfrauen und -männer werben für Homeschooling, sprechen dem Staat das Recht ab, Kinder und Jugendliche in Schulen zu »zwingen«.

In den letzten Jahren tagte der Familienkongress in verschiedenen europäischen Ländern, in denen prorussische und rechtspopulistische Kräfte stark sind: in Ungarn, in der Republik Moldau, 2019 in Verona. In Italien wurden mehrere Grußworte von offiziellen Stellen aus Moskau verlesen: eines von der russischen Staatsduma, eines vom Föderationsrat, eines vom Patriarchen der russisch-orthodoxen Kirche, der eng mit dem russischen Präsidenten verbunden ist.

Zur Ehrrettung der SVP-Frauen: sie distanzierten sich 2019 klar und deutlich von den Familienkongresslern in Verona.

Die russischen Schirmherren für eine »traditionelle Familienpolitik« führen derzeit einen Eroberungskrieg in der Ukraine, mit Beschießungen von Wohnvierteln, Supermärkten und AKWs. Mit der Vertreibung von Familien, mit der Ermordung von Familienvätern, mit der Zerstörung von Familien.

Siehe auch ‹1 ‹2

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Palermo: Separatismo, l’importanza del diritto.
Kanaky e l'Europa

In un articolo apparso sul quotidiano A. Adige il 19 dicembre scorso, l’ex senatore Francesco Palermo ripercorre brevemente la storia dell’indipendentismo in Nuova Caledonia (Kanaky) per trarne delle lezioni anche per l’Europa — forse anche contraddicendo un po’ se stesso.

Lo fa sottolineando il fatto che in un accordo con Parigi del 1988 si sia prevista la possibilità di accedere all’indipendenza, attraverso un lungo percorso in più tappe e non prima di sperimentare l’autonomia per 20 anni, a partire dal 1998. E quindi, il primo referendum sull’indipendenza si è tenuto nel 2018, seguito da quelli del 2020 e del 2021.

Il grande insegnamento di questa esperienza è che è possibile regolare con procedimenti predefiniti le scelte su questioni di grande importanza, valorizzando l’elemento democratico senza mai perdere la guida del diritto, e dunque la razionalità in un percorso che nella storia il più delle volte si è realizzato in via rivoluzionaria, spesso violenta, e fuori dall’ordine costituzionale, provocando rotture normative e frizioni sociali molto difficili da ricomporre.

— Francesco Palermo

Pur facendo sua l’argomentazione del colonialismo francese, secondo cui

  • Kanaky (come sempre) difficilmente potrebbe sopravvivere economicamente;
  • l’arcipelago verrebbe presto inglobato dall’espansionismo cinese (ma allora è meglio non decolonizzare?);
  • la richiesta di spostamento del referendum del 2021 fosse dovuta al fatto che il fronte indipendentista avesse capito che non avrebbe avuto la maggioranza, e non alla massiccia ondata pandemica;

il professore di diritto costituzionale giunge comunque alla conclusione che l’Europa può imparare molto da quell’esperienza.

Nel senso che la discussione sull’indipendenza dev’essere consentita anche in contesti che puntano molto sull’indivisibilità come la Francia (e l’Italia); che l’autonomia può essere una soluzione valida, da sperimentare prima di un eventuale referendum sull’indipendenza; che c’è bisogno di tempo; che le regole per giungere all’autodeterminazione sono fondamentali; e che, indipendentemente dall’esito del referendum occorre «gestire la ricomposizione sociale».

Insomma:

C’è da augurarsi che in Europa si rifletta bene su questa esperienza, per migliorare la tecnologia con cui affrontare spinte separatiste che ci sono e ci saranno, affidandosi alla razionalità del diritto.

— Francesco Palermo

Ecco, questi ragionamenti — non distantissimi, mi sembra, da ciò che sosteniamo anche su — mi paiono un’ottima notizia.

Vedi anche ‹1 ‹2 ‹3 ‹4 ‹5 ‹6 | 1›

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.
Categories
BBD

Poste, app taglia diritti.

Scrive il quotidiano A. Adige che da domani si potranno prenotare gli appuntamenti all’ufficio postale utilizzando il cellulare, grazie alle app «taglia code». Per ora il servizio è limitato a tre filiali di Bolzano, una di Merano e quella di Brixen.

L’introduzione di questo nuovo sistema di prenotazione ‘a distanza’ conferma la vicinanza di Poste Italiane a tutti i cittadini e alle loro esigenze.

– A. Adige

Inoltre, conferma che «tutti i cittadini» comprende solo quelli di lingua italiana, in quanto le app da cui prenotare gli appuntamenti (Ufficio Postale, BancoPosta e Postepay) sono disponibili solo in italiano — fatta eccezione per Postepay, che almeno comprende anche l’inglese.

Le poste, come molti altri, se ne fregano delle disposizioni (D.P.R. 574/88) che imporrebbero loro di trattare allo stesso modo i clienti di lingua italiana e tedesca, assicurando un servizio bilingue.

Vedi anche ‹1 ‹2 | 1› 2›

Einen Fehler gefunden? Teilen Sie es uns mit. | Hai trovato un errore? Comunicacelo.

You are now leaving BBD

BBD provides links to web sites of other organizations in order to provide visitors with certain information. A link does not constitute an endorsement of content, viewpoint, policies, products or services of that web site. Once you link to another web site not maintained by BBD, you are subject to the terms and conditions of that web site, including but not limited to its privacy policy.

You will be redirected to

Click the link above to continue or CANCEL