Lettera al quotidiano A. Adige in riposta all’intervista con lo storico von Hartungen (cfr. nei commenti)
La quérelle toponomastica sembra essere non solo un campo minato da percezioni divergenti e spesso opposte del bene culturale “toponimo”, ma anche da parecchi malintesi, talvolta voluti. La difficoltà di trovare dei criteri di valutazione di questo bene, condiviso fra i gruppi, rischia di bloccare anche il picolo spiraglio aperto dall’accordo Durnwalder-Fitto. Lo storico sudtirolese, intervistato ieri dall’Alto Adige, ritiene che la posta in gioco di questo conflitto sui nomi sia quella di delegittimare il gruppo più debole. Quando von Hartungen afferma che si vuol togliere il diritto di patria al gruppo italiano facendolo sentire meno legittimato a vivere in questa terra, incorre in uno dei malintesi più seri e anche più grossolani. Perché? Da una parte è certamente illusorio basare la legittimazione della propria presenza su qualche migliaio di nomi inventati e imposti da una dittatura del passato recente. Dall’altra parte sono convinto che dalla stragrande maggioranza del gruppo tedesco una rinuncia all’estensione del prontuario tolomeiano alla segnaletica e alla microtoponomastica in generale sarebbe accolto come atto di conciliazione in base a valori e criteri di valutazione comuni. Uno di questi criteri, affermati nell’accordo Durnwalder-Fitto, è proprio la storicità dei nomi. Non si tratta della storicità in termini di anni passati dall’entrata in vigore dei decreti fascisti. Si tratta del modo in cui sono venuti ad esistere. Storico perché frutto di un’evoluzione attraverso i tempi, coniata e condivisa dalle popolazioni del posto – cioè “geschichtlich gewachsen” come spiega Paolo Valente – è una cosa; storico perché imposto con la forza contro la volontà di quasi tutti coloro che ci vivevano in quei posti è una cosa ben diversa. Non sono i nomi italiani di per sé che danno fastidio, credo, alla maggior parte del gruppo tedesco, ma il loro carattere (tutti inventati da una persona), la loro finalità (dimostrare che l’Alto Adige sarebbe stato italiano da tempi antichi) e la loro genesi (imposti da una dittatura). Se la popolazione di lingua italiana di Oltrisarco oggi liberamente sceglie il nome Mignone per un nuovo quartiere, inneggiando ad un generale fascista, il gruppo tedesco si stupirà per la mancanza di sensibilità democratica, ma non potrà obiettare gran ché. A certi torti del passato, però, si può rimediare, come dimostra la Valle d’Aosta che ha rimosso gran parte della toponomastica fascista. È la mancanza di legittimità democratica che conta. Per i sudtirolesi senza dubbio, la microtoponomastica italiana è legata al nome di Tolomei, all’era fascista, alla strategia di italianizzare il territorio con la forza. Quindi si potrà anche estendere il prontuario a tutta la segnaletica, ma il problema più profondo resterà irrisolto: disturberà la convivenza perché il gruppo tedesco non comprende perché l’altro gruppo non riesce a prendere le distanze da nomi e simboli legati ad un passato odioso, mai democraticamente condivisi.
Thomas Benedikter è ricercatore a Bolzano, autore di «Autonomien der Welt» (ATHESIA, Bolzano 2007) e «The World’s Working Regional Autonomies» (ANTHEM, Londra/Nuova Delhi 2007).
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