Occorre anzitutto notare che contro il francese [in Valle d’Aosta] gioca purtroppo anche il fatto di portata generale che il mantenimento stabile e a lungo termine di due lingue alte, Ausbausprachen, in uso effettivo paritario in tutta la gamma di funzioni all’interno di un repertoire bilingue endogeno e monocomunitario, è in un certo senso, se non disfunzionale, antieconomico sociolinguisticamente, e presuppone presso i parlanti una fortissima motivazione, che probabilmente in Val d’Aosta non può più esserci.
da Una Valle d’Aosta, tante Valli d’Aosta? di Gaetano Berruto (Università di Torino) in Une Vallée d’Aoste bilingue dans une Europe plurilingue, edito da Fondation Emile Chanoux, Aoste nel 2003
È quanto, con parole nostre, su sosteniamo da molto tempo.
A mio avviso la differenza tra il Sudtirolo e la Val d’Aosta sta proprio nell’aggettivo «monocomunitario». Per ora la nostra è una realtà «pluricomunitaria», in cui il tedesco, l’italiano e il ladino vengono parlati da comunità distinte (seppur sfocate), mentre per la comunicazione intercomunitaria — e già questo è un problema — viene utilizzato prevalentemente l’italiano.
Una volta che il Sudtirolo si trasformasse in una realtà monocomunitaria, il mantenimento del plurilinguismo presupporrebbe «una fortissima motivazione», che forse solo un numero esiguo di parlanti, per un lasso di tempo limitato, avrebbe.
Il rischio che le lingue minoritarie vadano perse è enorme.
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