La proporzionale tra gruppi linguistici, strumento fondamentale di tutela delle minoranze in questa terra, è regolarmente sotto attacco, salvo forse quando può essere utile alla maggioranza nazionale. Nelle ultime settimane ad esempio abbiamo assistito a un teatrino indegno per costringere l’SVP a imbarcare un secondo italiano nel prossimo Governo, quando senza proporzionale il partito di maggioranza avrebbe benissimo potuto formare una coalizione monoetnica. Non sono peraltro mancate le voci di chi — invece che ai rapporti tra gruppi linguistici nel Landtag — vorrebbe ancorare la rappresentanza degli italiani in giunta alla consistenza complessiva dei gruppi nella popolazione.
Ma, oltre a quelli rivolti contro la proporzionale, sono ormai all’ordine del giorno gli attacchi a praticamente tutte le misure di tutela, come la clausola di residenza, il sistema scolastico e perfino l’obbligo di bilinguismo. E adesso che sta per iniziare il rilevamento della consistenza dei gruppi linguistici, da distinguere peraltro dalla dichiarazione di appartenenza individuale, si addensano nuovamente anche le critiche al censimento linguistico, che della proporzionale è la base.
Ovviamente nulla di male in sé, ma va constatato che a una forte e convinta pars destruens non corrisponde di norma alcuna proposta alternativa per tutelare le minoranze tedesca e ladina. Vale ricordare che tuttavia l’autonomia e gli strumenti di tutela che la caratterizzano non galleggiano nel vuoto cosmico, ma sono risposte puntuali al sistema (mono-)nazionale nel quale volenti o nolenti ci troviamo. Se sono brutti gli strumenti di tutela, ed alcuni effettivamente lo sono, almeno altrettanto brutto è il sistema che li rende necessari. Se proporzionale, clausola di residenza e scuole divise sono «superate dalla storia», superato lo è anche lo stato (mono-)nazionale. Voler abolire le tutele senza prima abolire le minacce — o perlomeno proporre alternative altrettanto efficaci — significa semplicemente voler decimare le minoranze, null’altro. Basta dirlo.
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