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Democratizzare i confini.

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di Marco Manfrini

Lo scorso novembre a Fiume/Rijeka si è tenuta una conferenza internazionale dal titolo Sovereignty or Nationalism?, organizzata dall’associazione Stato libero di Fiume/Slobodna Država Rijeka/Free State of Rijeka in cooperazione con la Fondazione Coppieters di Bruxelles/Brussel.

Come il titolo fa intuire, la conferenza si poneva l’obiettivo di analizzare i concetti di sovranità e nazionalismo (o patriottismo), nonché la distinzione tra gli stessi. Filosofi, politologi, scienziati ed esperti, provenienti da numerosi paesi europei ed extraeuropei, hanno approfondito tali temi, soffermandosi sui diversi aspetti ad essi collegati. Particolare attenzione è stata dedicata alla conservazione del patrimonio culturale locale, alla tutela linguistica delle minoranze, nonché al pluralismo delle identità culturali. In tale contesto ha assunto fondamentale importanza la disamina dei concetti di sovranità e nazionalismo in riferimento alla loro idoneità a promuovere società pacifiche e inclusive, che garantiscano i diritti di tutti e siano indirizzate allo sviluppo sostenibile, nonché alla costruzione di istituzioni efficaci, responsabili e democratiche a tutti i livelli.

Hanno partecipato (clicca per l’elenco)
  • Damir Grubiša: ex Professore di Scienze politiche dell’Università di Zagabria/Zagreb, Professore associato dell’Università Americana di Roma, fondatore e direttore del Centro di Studi Europei dell’Università di Zagabria, consulente della Missione Jugoslava presso l’ONU, direttore del Centro Culturale Jugoslavo a New York, ambasciatore di Croazia in Italia, Malta e presso la FAO.
  • Antonello Nassone: ha conseguito un dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università degli Studi di Sassari, dove svolge diversi seminari presso il Dipartimenti di Storia, Scienze umane e Filosofia. È docente presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna oltre che membro dell’ufficio di presidenza della Fondazione Coppieters.
  • Ezio Giuricin: nato a Fiume/Rijeka, è giornalista e redattore del programma italiano di TV Capodistria, con un passato in Rai presso la sede regionale per il Friuli/Friûl. Ha pubblicato numerosi volumi e saggi sull’esodo italiano e sulla minoranza italiana rimasta in Istria, Dalmazia e Fiume.
  • Orhan Kiliç: attivista curdo, è dovuto emigrare in Belgio sin dal 1995 dove lavora presso L’Istituto Curdo (Kurdish Institute) e ne è membro del Consiglio d’Amministrazione. Per il suo attivismo politico a favore della minoranza curda in Turchia sono stati aperti diversi procedimenti penali a suo carico
  • Gabor Zsigmond: storico ed economista, è docente presso le principali università ungheresi, attualmente presso l’Università Corvinus di Budapest e l’Università di Debrecen. È membro dell’Accademia delle Scienze Ungherese, vicedirettore generale del Museo della scienza, tecnologia e dei trasporti dell’Ungheria, nonché presidente dell’associazione dei musei tecnici dell’Europa centrale. Ha pubblicato numerosi libri e saggi, concernenti tra l’altro la città di Fiume/Rijeka.
  • Čedomir Stojković: avvocato, è stato direttore del Partito Democratico Cristiano della Serbia e dall’ottobre 2022 è Presidente dell’Alleanza Serbia Libera ed uno degli esponenti di spicco del movimento a favore dell’integrazione europea ed atlantica del suo paese.
  • Marko Medved: dopo gli studi presso l’Università Gregoriana di Roma è tornato a Fiume/Rijeka, dove ora è Professore associato della Facoltà di Medicina. Ha sempre dedicato particolare attenzione alla storia ecclesiastica della città di Fiume/Rijeka. Sul tema ha pubblicato diverse opere tra le quali La Chiesa di Fiume durante il Ventennio Fascista.
  • Marco Manfrini: avvocato di Bolzano/Bozen è uno degli autori del libro Kann Südtirol Staat?.
  • Ljubinka Toševa Karpowicz: laureata in scienze politiche, è stata ricercatrice presso diverse università, tra le quali Belgrado e Lubiana. Ha dedicato numerosi libri, scritti e articoli alla città di Fiume/Rijeka.
  • Ivan Jeličić: laureato all’Università di Trieste (PhD), dopo diversi anni quale ricercatore presso il European Research Council (ERC) è ora docente presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Fiume/Rijeka. Ha pubblicato numerosi saggi e articoli sulla transizione postasburgica e la storia di Trieste/Trst, Fiume/Rijeka e l’Istria/Istra.
  • Daniel Turp: Professore di diritto costituzionale ed internazionale dell’Università di Montréal è sicuramente uno degli esperti mondiali più rinomati in materia di autodeterminazione dei popoli. Autore di numerosi libri, è stato membro del Parlamento canadese e dell’Assemblea nazionale del Québec.

La conferenza è stata finanziata con il contributo del Parlamento Europeo.

Sono stato invitato alla conferenza in rappresentanza delle autrici e degli autori del libro Kann Südtirol Staat?. La pubblicazione, infatti, ha suscitato notevole interesse anche a livello internazionale, catturando l’attenzione sia della Fondazione Coppieters che dell’associazione Stato libero di Fiume/Slobodna Država Rijeka. Segue il mio intervento:

Democratizzare i confini: il principio democratico quale strumento di sovranità

In apertura vorrei avvisare che affronterò i concetti di «sovranità» e di «nazionalismo» come due poli, in parte antagonistici, ovvero come due distinti punti di riferimento attorno ai quali le rivendicazioni politiche delle minoranze etnico-linguistiche hanno ruotato nel corso degli ultimi centocinquanta anni all’incirca.

In tal senso, nazionalismo è l’identificazione storico-culturale e linguistica con il popolo e l’area geografica a cui ci si sente appartenenti, mentre sovranità intende la possibilità e la capacità di scegliere liberamente il proprio modello di organizzazione politica e sociale. Pertanto, utilizzo il termine «sovranità» quale titolarità del potere politico di autodeterminarsi. La sovranità così intesa è strettamente collegata al concetto di democrazia e di partecipazione democratica della popolazione direttamente interessata.

Ebbene, fatta questa precisazione è sicuramente corretto osservare che con l’avvento degli stati nazionali le rivendicazioni delle minoranze etniche e linguistiche erano ispirate ai medesimi ideali nazionali, e quindi patriottici, degli stati stessi, e miravano a creare un soggetto politico che le rappresentasse come «nazione» o, in alternativa, ad essere incorporate dallo stato nazionale di riferimento.

Fondamentale in questo contesto era il concetto di appartenenza nazionale come principio secondo cui organizzare la società, e a maggior ragione quale criterio secondo cui definire i confini di uno stato. La nascita, ovvero la formazione di uno stato nazionale, come pure l’integrazione di un territorio o di una certa popolazione che ne rivendicavano l’appartenenza, ma sino ad allora ne erano rimasti esclusi, veniva descritta — e sicuramente anche vissuta emotivamente — nei termini di una vera e propria liberazione nazionale.

L’identificazione nazionale quindi, in molte esperienze, assurgeva a ragione unica dell’appartenenza di un territorio e della rispettiva popolazione ad un certo stato, l’identificazione nazionale diveniva pure la ragione unica di delimitazione dei confini.

Tralascio cosa abbia comportato tale atteggiamento, ovvero quello di definire in termini puramente nazionali un certo territorio, per le realtà che erano intrinsecamente plurinazionali e, quindi, racchiudevano diverse identità linguistiche, etniche e culturali, e per tale ragione non rientravano nella visione mono-nazionale predominate.

L’idea di «liberazione nazionale» non era certamente circoscritta al pensiero politico in senso stretto, ma era ampiamente presente anche in letteratura, nell’arte figurativa e nell’arte in generale. È il periodo del romanticismo che si caratterizzava, in particolare, per un notevole impegno politico.

Per quanto riguarda per esempio il movimento nazionale italiano, il risorgimento, basta pensare a Verdi e al significato che veniva attribuito alla sua opera lirica Nabucco.

Parafrasando, il Nabucco racconta la storia di un popolo che dopo secoli di servitù e sottomissione da parte di un impero straniero riconquista la propria terra e libertà. È evidente che tale racconto risultava facilmente correlabile al sentimento e all’idea di liberazione nazionale allora tanto diffusa e predominante.

La liberazione delle cosiddette «terre irredente», per rimanere nell’ambito del risorgimento italiano, assumeva allora una valenza che trascendeva il mero ambito politico, e costituiva, invece, un fenomeno sociale di ampia dimensione.

Non meraviglia pertanto che, in tale contesto, anche le rivendicazioni politiche delle minoranze linguistiche si ricollegavano agli ideali di appartenenza, identificazione e liberazione nazionale. Gran parte dell’attivismo politico del tempo mirava ad un modello politico, ovvero ad una soluzione politica, considerata «giusta» dal punto di vista nazionale. Per ovvie ragioni, secondo tale pensiero, anche la delimitazione dei confini doveva corrispondere alla logica nazionale.

Senza dilungarmi sugli eventi tragici che hanno segnato il secolo scorso — ancora inconcepibili se ripercorsi nella mente — sta di fatto che con il secondo dopoguerra l’elemento nazionale quale unico carattere distintivo e identificativo delle società e degli stati — ma anche della politica in generale — si è lentamente affievolito. Parlo ovviamente dell’esperienza europea e devo parimenti premettere che tale evoluzione non è stata simultanea in tutte le parti del continente, come non è stata ugualmente profonda e radicale nelle diverse realtà ed esperienze. Ma sicuramente vi è stato un indebolimento delle forme di nazionalismo più estreme, delle manifestazioni e delle rivendicazioni nazionalistiche più radicali. Sul punto cito l’attuale Presidente della Repubblica italiano — non per particolare sintonia politica o simpatia personale — ma perché riassume bene il concetto appena espresso e l’evoluzione di cui parlo:

La nostra Costituzione ha bandito ogni principio di nazionalismo esasperato.

– Sergio Mattarella

Vi è stata, quindi, una trasformazione degli stati e della società in generale. La democrazia, sia quale sistema di governo, sia quale principio regolatore — ed ispiratore —, è stata aggiunta all’elemento nazionale quale caratteristica fondante degli stati. Sintetizzando fortemente queste osservazioni, si può dire che gli stati europei del secondo dopoguerra non si reggono più solamente sul concetto di nazione ma anche sul principio democratico. Vi sono dunque due pilastri: nazione e democrazia. Ribadisco che tale trasformazione non è stata sempre sincrona, ma si è svolta in momenti — a volte decenni — diversi nelle singole parti d’Europa. Qui a Fiume/Rijeka, per esempio, l’elemento democratico si è sicuramente aggiunto in seguito alla trasformazione post-socialista.

Ricollegandomi sempre all’esempio dell’Italia, l’evoluzione descritta si manifesta direttamente nell’art. 1 della Costituzione (italiana) che afferma: «L’Italia è una Repubblica democratica».

Viene, quindi, ribadito sin dall’inizio che anche la nuova Repubblica si considera lo stato nazionale degli italiani, sancendo però contestualmente che essa si ispira ai principi democratici, il che costituisce un elemento di forte novità.

È parimenti evidente che l’evoluzione verso un’identità non esclusivamente nazionale è stata accompagnata e favorita, se non addirittura accelerata, dal processo di integrazione europea, il quale almeno di principio è inconciliabile con posizioni nazionalistiche particolarmente accentuate. 

È chiaro che tale transizione — da una politica incentrata su considerazioni prettamente nazionalistiche all’adozione dei valori e principi democratici — ha coinvolto pure le minoranze linguistiche ed etniche.

Infatti, si può osservare che le rivendicazioni di «liberazione nazionale» sono state progressivamente accantonate e sostituite con quelle di autodeterminazione nel senso sopra accennato, ovvero di scelta democratica del proprio modello politico e sociale.

Sono fenomeni che ovviamente si manifestano in modo più o meno accentuato nelle diverse realtà, ma che comunque costituiscono un denominatore comune.

Il desiderio di essere incorporati nello stato nazionale di appartenenza e, quindi, di essere «liberati» (o «redenti») da un punto di vista nazionale, viene così sostituito da quello di esercitare la propria sovranità nel senso di autodeterminarsi, ovvero di scegliere liberamente, autonomamente e democraticamente il proprio indirizzo politico e la propria appartenenza statale.

In tale prospettiva, per le minoranze etniche e linguistiche che rivendicano una soluzione istituzionale diversa da quella attuale (in cui si trovano), l’ingiustizia della propria situazione non risiede tanto nella separazione dallo stato nazionale di appartenenza, ma dalla mancata verifica della propria volontà democratica.

L’ingiustizia, quindi, è data dal fatto che i confini sono stati definiti senza tener conto della volontà della popolazione interessata. In altre parole: Il difetto non consiste più solamente nel mancato rispetto dell’identità nazionale, ma ancor più nella negazione di una scelta e di un voto democratico e, quindi, nella negazione della sovranità democratica.

Considerato in questi termini, l’obiettivo politico diventa quello, per così dire, di «democratizzare i confini».

Si potrebbe eccepire che già nel risorgimento italiano e nel primo dopoguerra si è fatto ricorso allo strumento del plebiscito e del referendum. A prescindere dal fatto che i plebisciti svoltisi in Italia erano di dubbia matrice democratica, in quanto soggetti a suffragio censitario, in tali casi la funzione non era tanto quella di permettere una scelta democratica, ma piuttosto quello di verificare l’appartenenza — ed il sentimento — nazionale maggioritari della popolazione. Pure i referendum del primo dopoguerra erano principalmente uno strumento di verifica dell’identità nazionale predominante di un territorio.

Chiusa tale parentesi, la chiara vocazione democratica nelle rivendicazioni di autodeterminazione è stata di recente ripresa dal libro Kann Südtirol Staat? («Può il Sudtirolo diventare uno stato?»), pubblicato a marzo di quest’anno, e che in ambito locale sudtirolese ha succitato notevole interesse per le idee proposte, tra cui proprio quella di realizzare uno stato post-nazionale ovvero non-nazionale.

Il libro, alla cui redazione ho partecipato, non si basa su aspirazioni nazionali e patriottiche, ma sottolinea invece la necessità di permettere a territori e popolazioni con chiare rivendicazioni indipendentiste di scegliere la propria appartenenza statale mediante un voto libero e democratico. Si ritorna quindi al concetto di democratizzazione dei confini.

Nel libro vengono trattati tre argomenti fondamentali:

In primo luogo il libro si occupa dell’autodeterminazione (politica) nelle sue diverse declinazioni, che possono postulare la costituzione di un nuovo stato o la riunificazione con l’Austria, ma può essere intesa anche nel senso del più ampio autogoverno possibile e di un massimo di autonomia. In ciò il libro non ha nulla di rivoluzionario, considerato che tali obiettivi sono al centro della politica sudtirolese e ne costituiscono il fulcro almeno dal 1918 — anzi, ad essere precisi, il Tirolo ha sempre rivendicato una certa indipendenza anche nei confronti di Vienna.

Viene poi proposto di superare l’idea di stato nazionale o mono-nazionale, considerato anacronistico e concettualmente superato, e comunque non adatto all’attuale realtà del Sudtirolo, contraddistinto dalla presenza di tre gruppi linguistici (tedesco, italiano e ladino), nonché di migliaia di persone di provenienza europea ed extraeuropea, immigrate negli ultimi decenni, appartenenti a realtà culturali diversissime. L’idea avanzata nel libro è quella di uno stato plurinazionale ispirato al modello svizzero, il cui elemento fondante non è affatto l’identificazione nazionale, ma la scelta consapevole, per via di un voto democratico, a favore di tale nuovo soggetto statale. Dunque, uno stato fondato sulla volontà democratica e non sul concetto di nazione.

Parlando con molti di voi, sia ieri sera che stamattina, mi sono reso conto degli evidenti parallelismi ed i notevoli collegamenti tra l’idea proposta nel nostro libro e lo Stato libero di Fiume. Entrambi, infatti, rifiutano l’idea di doversi appiattire su un modello di stato mono-nazionale e si sottraggono ai meccanismi e alle logiche proprie di uno stato che si considera nazionale per vocazione. In tal senso lo Stato libero di Fiume è precursore dell’idea proposta nel nostro libro.

In terzo luogo il libro professa convintamente il principio democratico anche quale strumento per decidere l’appartenenza statale e, quindi, per la definizione dei confini.

Fatte tali premesse, il libro si dedica poi alle singole materie, ovvero agli ambiti concreti di cui uno stato deve occuparsi, descrivendo come un Sudtirolo indipendente potrebbe amministrare la politica economica, il sistema tributario, l’istruzione, il sistema pensionistico, la previdenza sociale e le altre materie quali sanità, sicurezza interna, difesa e così via.

Tornando al tema di fondo del mio intervento, l’opportunità di ricorrere ad un voto democratico viene condivisa dalla proposta di regolamento europeo presentata a settembre 2023 dal Self Determination Caucus, un gruppo di parlamentari europei appartenenti a diverse forze politiche. La proposta vuole fornire uno strumento giuridicamente legittimo e predefinito per regolamentare le diverse aspirazioni indipendentiste sussistenti in Europa, richiamandosi espressamente ai principi e ai valori democratici, solennemente affermati nei trattati europei. Nei diversi considerando, cioè nelle proprie premesse della proposta, si sottolinea espressamente che i trattati non contengono alcuna previsione che escluda la possibilità di definire ex-novo i confini interni dell’Unione e dei suoi stati membri in corrispondenza ai principi ed ai meccanismi di partecipazione democratica garantiti dai medesimi trattati. Si tratta in particolare dei considerando numero 16, 19, 30, 36 e 34. Viene, inoltre, richiamata la tutela offerta dalla cittadinanza europea, che non può essere interpretata nel senso di limitare tali diritti e valori.

Si tratta di uno sviluppo importantissimo, anche se solo de iure condendo e per ora con effetti limitati, non sussistendo probabilità realistiche che venga approvato a breve termine. Ciononostante, la presentazione stessa di tale proposta costituisce un’affermazione di principio di notevole valore politico, poiché dimostra che in diverse parti d’Europa si sente la necessità di trovare una soluzione, ispirata ai principi democratici, anche ai conflitti interni agli stati membri, ovvero ai conflitti tra minoranze etnico-linguistiche e stati nazionali.

La proposta di regolamento europeo, e con ciò concludo, è espressione dell’evoluzione nelle rivendicazioni politiche delle predette minoranze etniche in Europa, e costituisce il primo tentativo di positivizzare tali istanze e offrire uno strumento giuridico valido per raggiungere l’obiettivo a cui prima accennavo, ovvero quello di democratizzare i confini.

Grazie.


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