C’è chi vuole farci credere che il nazionalismo banale, onnipresente e subdolo, basti ignorarlo — pur non essendo, per definizione, possibile, perché agisce sul subconscio.
E invece no. Politici italiani di ogni colore e provenienza non perdono occasione di costringerci a sventolare, indossare, addirittura respirare simboli che non ci appartengono e che ci sono stati imposti. Pensando probabilmente che sia normale e che chi si rifiuta vada condannato, svilito, messo alla gogna.
Da questo punto di vista in un secolo poco è cambiato.
Oggi stesso il sindaco uscente di Merano, Dario Dal Medico, in occasione del passaggio di consegne, con inaudita violenza (nazionalista e sessista) tentava di costringere colei che gli succederà, Katharina Zeller (SVP), a indossare la fascia tricolore, pur non essendoci alcun obbligo legale di farlo.
Anzi, non a caso la legge prevede il medaglione con lo stemma del Comune, da indossare in luogo della fascia, che infatti in Sudtirolo — con poche eccezioni — non si vede quasi mai.
Non è però l’atto di sopraffazione dal sapore coloniale di Dal Medico a causare ampio sdegno, bensì la spontanea reazione della nuova sindaca, che giustamente si è rifiutata di farsi impacchettare. Media locali di lingua italiana e media a livello statale, alla pari dei partiti con cui l’SVP governa a livello provinciale, fanno a gara nel gridare allo scandalo, sfoggiando la più assoluta incomprensione verso la sensibilità di una minoranza.
Certo, possiamo anche fare finta che sia un caso isolato, ma finché faremo parte di questo Stato giacobino, con le sue belle Vette Sacre e i suoi «saluti» sdoganati, non ci sono autonomia e tutele che tengano. Da questo suprematismo innato è impossibile scappare.
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