Da anni qui su riferiamo di atti di irriverenza o di vera e propria disobbedienza e ribellione, che in realtà simili alla nostra regolarmente portano a risultati concreti, e ad ogni modo contribuiscono a rendere visibile un malessere. In Sudtirolo episodi di questo tipo sono rarissimi e, quando accadono, sono spesso frutto del caso e vengono normalmente interpretati come un attentato alla tanto decantata convivenza e non come un atto di coraggio e di giusta rivendicazione. Personalmente invece sono convinto che la disobbedienza civile, specialmente per una minoranza (linguistica, sociale e di ogni tipo), sia uno strumento più che lecito, legittimo e spesso anche molto più fruttifero rispetto al mero tentativo di «spiegarsi», perché in grado destare scalpore e interesse, e perché non di rado esige un intervento risolutivo.
Diversamente da quanto accaduto a Meran, tuttavia, quando — in modo spontaneo o premeditato — si percorre la via della disobbedienza, per raggiungere il risultato bisogna poi mantenere e saper argomentare senza timori la propria posizione e non sottomettersi alla prima difficoltà, ché altrimenti il messaggio che si trasmette è principalmente che il suprematismo paga e chi lo esercita ha ragione (cfr.).
Chi lo esercita non si fermerà, finché sarà convinto di poter raggiungere ogni obiettivo con la prepotenza dell’imperialismo.
Non ne faccio una critica alla neo sindaca Katharina Zeller (SVP), che come donna e rappresentante di una minoranza linguistica si trova in una posizione particolarmente delicata e vulnerabile, e perché non è detto che la ribellione ai simboli nazionali faccia parte del suo credo politico. Certo, a mio avviso poteva almeno fare a meno di scusarsi del suo non perfetto italiano durante l’intervista a Piazza pulita de La7. Molto più critico sono invece nei confronti di chi ha minimizzato sugli attacchi ultranazionalisti che ne sono scaturiti, normalizzando una situazione inaccettabile per una minoranza linguistica e addirittura sottomettendosi al nuovo diktat, come il sindaco di Bruneck.
A titolo di paragone faccio seguire una breve carrellata su alcuni atti di disobbedienza che negli ultimi anni abbiamo raccolto. In molti casi sono stati eseguiti per raggiungere obiettivi che anche in Sudtirolo non sono ancora stati raggiunti:
- Nel 2015 si dimettevano la sindaca basca Izaskun Uriagereka del partito autonomista di centro EAJ e il suo assessore alla cultura, perché la Corte costituzionale spagnola aveva deciso che la bandiera spagnola doveva venire esposta davanti al municipio di Mungia. Piuttosto che issarla, decisero di lasciare gli incarichi in segno di protesta.
- Anche in Catalogna, come nei Paesi baschi, il rifiuto di farsi imporre il vessillo dello stato da parte dei comuni è costante e le soluzioni spesso sono particolarmente creative. Come quello del comune di Agramunt, che nel 2013 decise di appendere tutte e 27 le bandiere dei paesi membri dell’Unione europea, in modo da cammuffare quella spagnola.
- Nell’autunno del 2022 i tre deputati del Parti québecois, indipendentista, si rifiutarono di giurare su Re Carlo per poter assumere le loro cariche nell’assemblea della provincia francofona canadese. Per due mesi non poterno esercitare, ma alla fine venne modificata la formula ufficiale di giuramento.
- Alunne basche e bretoni delle scuole medie, nel 2023 avevano annunciato di voler scrivere il loro esame finale di scienze nelle loro lingue minoritarie, anche se ciò non era consentito dalle leggi francesi. Prima che si tenessero le prove, il ministero all’istruzione francese glielo consentì ufficialmente.
- La deputata groenlandese Aki-Mathilda Høegh-Dam, pur parlandolo perfettamente, si è ripetutamente rifiutata di parlare in danese nel parlamento di Kopenaghen (Folketing), tenendo i suoi discorsi integralmente in lingua groenlandese. Con questo atteggiamento, non consentito dal regolamento, ha già ottenuto che ai rappresentanti groenlandesi e delle Fær Øer venga messo a disposizione il doppio del tempo rispetto alle colleghe danesi, se vogliono fare un discorso bilingue. Høegh-Dam continua a combattere per ottenere il diritto di fare interventi solo in groenlandese, senza doversi autotradurre.
- Atti simili sono stati fatti in varie occasioni da parlamentari baschi, catalani e galiciani nel Congresso spagnolo, dove nel 2023 è stato introdotto il diritto di parlare nelle lingue minoritarie, un diritto che viene sfruttato regolarmente.
- Alcuni sindaci della Catalogna del Nord, condannati perché in consiglio comunale parlavano in catalano, in primis il comunista Nicolas Garcia, sfidano apertamente lo Stato francese continuando a usare la loro propria lingua nelle occasioni ufficiali, senza traduzione.
- Nel 2022 una senatrice indigena, Lidia Thorpe, ha giurato su «Sua maestà la colonizzatrice Regina Elisabetta», alzando il pugno. A ottobre del 2024 ha gridato a Re Carlo, in visita ufficiale al senato, di «restituire la terra che ci hai rubato», girandogli la schiena mentre veniva suonato l’inno God save the King.
Anche gli scioperi dei lavoratori sono atti di disobbedienza e di rottura, ma nonostante indubbiamente creino regolarmente disagi, ben pochi metterebbero in dubbio che sono spesso necessari a raggiungere risultati concreti.
Non ultimo, molte delle conquiste degli ultimi decenni, come i diritti delle donne o quelli dei neri negli Stati uniti, sono state raggiunte grazie all’insubordinazione.
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