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  • Come il pane.
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    [O]ggi l’accordo Degasperi-Gruber è il nostro aggancio in-ter-na-zio-na-le. E noi abbiamo bisogno come il pane di questo aggancio internazionale, oggi. Perché questo distingue la nostra autonomia da tutte le autonomie, non solo in Italia ma dalla maggior parte delle autonomie in Europa.

    — Riccardo Dello Sbarba (Vërc), Convenzione dei 33, 23.09.2016

    Vedi anche: 01 02 03 04 05 06



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  • È nata Sanca, sinistra veneta indipendentista.

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    0 Comentârs → on È nata Sanca, sinistra veneta indipendentista.

    C’è movimento oltre i confini sudorientali della nostra terra. Movimento… di sinistra indipendentista: Sanca Vèneta.

    La nostra è una sfida. Una di quelle avventurose, dove si inizia con una idea strampalata e si finisce col costruirla. Scriviamo, spieghiamo, raccontiamo di un Veneto in divenire che vorremmo migliore, efficiente, giusto, bello, ecosostenibile e inclusivo, dove chiunque si senta partecipe e a casa.

    — Sanca Vèneta

    Non sarà  la prima volta che il progressismo veneto si esprime senza pregiudizi nei confronti dell’autodeterminazione, sciogliendo le contraddizioni della sinistra «nazionale» e nazionalista tradizionale. Lo avevano fatto i Centri Sociali, lo ha fatto Luca Casarini (candidato della Lista Tsipras). Ma è forse la prima volta che si costituisce un soggetto politico di sinistra — sanca, appunto, in lingua veneta — organicamente e dichiaratamente indipendentista.

    Le 10 buone ragioni per diventare sanchisti (e per capire che cosa vogliono/chiedono/fanno):

    1. IL VENETO HA BISOGNO DI UNA SVOLTA. Abbiamo bisogno di nuova cultura politica. L’obbiettivo di Sanca Veneta è di creare un nuovo approccio al rapporto tra cittadinanza e istituzioni fatto di partecipazione e trasparenza. Creare un’alternativa per un Veneto che merita più di quello che la sua attuale classe dirigente può dare.
    2. SIAMO DIVERSI. Tra le pochezze e le carnavalate dell’indipendentismo veneto e il dogmatismo centralista della sinistra italiana, abbiamo deciso di differenziarci. Nessuno di questi due mondi ci appartiene, ed esattamente per questo siamo nati.
    3. SIAMO LA VOCE DEI GIOVANI VENETI. La gioventù veneta è sempre più lontana da una politica che li delude e dimentica. Il consiglio direttivo ha un’età media di 25 anni. Il nostro obbiettivo è dargli una voce, perché se i giovani veneti non hanno opportunità e non vedono prospettive di cambiamento, il Veneto non ha futuro. Noi siamo l’antidoto a questa malattia.
    4. SIAMO MOLTI DI PIÙ DI QUANTO PENSIAMO. Quando siamo nati eravamo stupiti di essere una decina o poco più, oggi siamo un gruppo molto più numeroso e in continua espansione. Ci hanno convinto che essere indipendentisti e progressisti sia un ossimoro. Non lo è. Siamo parte di un movimento globale per l’autodeterminazione.
    5. LA SINISTRA ITALIANA HA FALLITO IN VENETO. A livello territoriale la sinistra italiana ha dimostrato la propria incompetenza nell’ascoltare, comprendere e analizzare il Veneto. Asservita alla linea e ai diktat romani e impegnata più nei propri conflitti interni, ha dimenticato le priorità e gli interessi di Veneto e Veneti.
    6. L’EUROPA STA CAMBIANDO. Movimenti autonomisti e indipendentisti stanno conquistando la scena politica di molti stati membri, dalla Scozia alla Corsica passando per la Catalunya. Il loro, e il nostro messaggio è chiaro: vogliamo un Europa nuova, più democratica e meno burocratica, che serva gli interessi dei propri popoli piuttosto che quelli delle burocrazie degli stati membri.
    7. SANCA È INTELLIGENZA COLLETTIVA. Il nostro team è giovane e ambizioso. All’interno di Sanca non ci sono capetti o omeni forti, orticelli da coltivare o correnti da prendere. In Sanca Veneta le decisioni vengono prese collettivamente e ogni attivista ha iI diritto di esprimersi a riguardo. Ogni dibattito ci rende più forti, ogni battaglia più motivati.
    8. ABBIAMO UN MESSAGGIO DI POSITIVITÀ. Vogliamo mandare un segnale di speranza e partecipazione. Lamentarci o chiuderci nelle nostre nicchie di conforto non ci portera da nessuna parte. La paura e l’apatia non ci porteranno da nessuna parte.
    9. CULTURA E LINGUA VENETA NON POSSONO ESSERE MONOPOLIO DI PARTITO. Preservare e valorizzare l’identità veneta è fondamentale per affrontare le sfide che la globalizzazione ci pone innanzi. Lasciare a una sola parte politica questo compito significa arrenderci al populismo, all’incompetenza e agli stereotipi oggi ancora troppo diffusi.
    10. SIAMO IL FUTURO DELLA POLITICA VENETA!

    Benvenuti!



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  • Si può dire di tutto…
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    0 Comentârs → on Si può dire di tutto…
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    So benissimo che essendo l’autodeterminazione — come dire? — una visione in questo momento immaginaria, anche se si può fare riferimento ad altri casi, si può dire che se si fa l’autodeterminazione si fa la scuola bilingue, non ci sarà più il censimento etnico, ci sarà la convivenza bellissima ecc. Si può dire di tutto… e anche il contrario di tutto. […]

    — Riccardo Dello Sbarba (Vërc), Convenzione dei 33, 23.09.2016

    Giusto. Ed è per questo che propone il «modello giurassiano», a più tappe, in modo che prima di prendere una decisione definitiva la popolazione possa

    • contribuire a elaborare, in maniera partecipata
    • leggere, studiare e valutare

    la futura costituzione dell’eventuale Sudtirolo indipendente. Allo stesso modo i partiti darebbero la loro indicazione di voto sulla base di un testo definito e certo.

    Vedi anche: 01 02 03 04



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  • Der Gruber-Degasperi-Fauxpas.

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    15 Comentârs → on Der Gruber-Degasperi-Fauxpas.

    Soweit ich das überblicken kann, hat bisher nur Salto über den geharnischten Brief berichtet, den der Südtirol-Unterausschuss im österreichischen Nationalrat an den Südtiroler Landeshauptmann geschickt hat. Es geht da um einen für die Südtirolautonomie beschämenden diplomatischen Unfall, der darin besteht, dass die Abgeordneten, die sich tagein tagaus mit unserem Land (und der vom Gruber-Degasperi-Abkommen ausgehenden Schutzfunktion Österreichs) befassen, nicht zu den offiziellen Feierlichkeiten zum 70. Jubiläum des Pariser Vertrags eingeladen wurden.

    Der Wortlaut des Briefs:

    Wien, den 21. September 2016

    Betreff: Nichteinladung des parlamentarischen Südtirol-Unterausschusses zur Festveranstaltung “70 Jahre Gruber-De-Gasperi-Abkommen”

    Sehr geehrter Herr Landeshauptmann Dr. Kompatscher, lieber Arno!

    Der Südtirol-Unterausschuss im Österreichischen Parlament ist als politisches Gremium laufend und umfassend bemüht, die Interessen und Wünsche von Südtirol zu vertreten. Zudem gibt es einen laufenden und intensiven politischen Austausch, zu aktuellen und politischen Themen.

    Mit Verwunderung und Enttäuschung mussten wir zur Kenntnis nehmen, dass wir zur Festveranstaltung 70 Jahre Gruber De Gasperi Abkommen (sic) nicht eingeladen wurden. An mich als Ausschussobmann sind die Südtirolsprecher der im Parlament vertretenen Parteien herangetreten und haben nachgefragt, wieso wir zu dieser Festveranstaltung nicht eingeladen wurden, war doch das Gruber-De-Gasperi-Abkommen ein Vertrag zwischen Italien und Österreich. Noch im Juni 2016 wurde den Mitgliedern des Südtirol-Unterausschusses eine Teilnahme avisiert. Es sei uns daher erlaubt, von Ihnen Herr Landeshauptmann eine Aufklärung über die Gründe unserer Nichteinladung zu erfragen.

    Mit freundlichen Grüßen für den Südtirol Unterausschuss (sic)

    Der Obmann Abg. z. NR Hermann Gahr

    Die Obmann Stv.: (sic)

    Abg. z. NR Werner Neubauer

    Abg. z. NR Hermann Krist

    Abg. z. NR Georg Willi

    Nachdem dieses Schreiben politischen Gepflogenheiten entsprechend bereits »diplomatisch« formuliert ist, kann man sich leicht ausmalen, welche Verärgerung über diese regelrechte Düpierung bei den Mitgliedern des Südtirol-Unterausschusses herrscht.

    Ich frage mich, wie ein derart offensichtlicher Fauxpas (mit vorhersehbaren Folgen) überhaupt passieren konnte. Sind unsere großen Autonomisten an der Landesregierung außerstande, wenigstens im Rahmen der Autonomie das Nötigste zu leisten, um dem Ansehen unseres Landes — und der Autonomie selbst — nicht zu schaden?

    Offenbar nicht. Denn sogar noch die von Salto kolportierte Ausrede aus dem Büro des Landeshauptmanns, die räumlichen Gegebenheiten hätten einfach nicht für mehr Personen Platz geboten, klingt påtschat — und eher nach einem weiteren Fettnapf, als nach einer diplomatisch klugen Entschuldigung.

    Siehe auch: 01 02 03



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  • Dello Sbarba e il «modello giurassiano».

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    0 Comentârs → on Dello Sbarba e il «modello giurassiano».

    Durante l’ultima seduta della Convenzione dei 33 (K33), consacrata all’autodeterminazione, Wolfgang Niederhofer ha fatto riferimento al cosiddetto modello giurassiano, proponendolo come esempio per un processo di autodeterminazione «a tappe» e quindi più dolce e più «controllabile» dalla popolazione coinvolta.

    Nel 2013 — ma il processo era iniziato negli anni precedenti — le cittadine e i cittadini del Giura bernese avevano avuto l’opportunità di decidere, in via referendaria, se avviare un processo di secessione dal Canton Berna e di unificazione con il Canton Giura. Al contempo, la stessa domanda fu posta alla cittadinanza di quest’ultimo cantone.

    Se ci fosse stata una maggioranza interessata a mettere in moto questo processo — che però non ci fu — i due cantoni avrebbero dovuto iniziare le trattative per un eventuale passaggio di sovranità, mentre le popolazioni coinvolte avrebbero votato un’assemblea costituente con il compito di elaborare una nuova costituzione per il nuovo Canton Giura.

    Solo alla fine di tale processo, a risultati definiti e a bocce ferme, le popolazioni coinvolte avrebbero deciso, in un secondo referendum, se accettarne le conseguenze (e quindi confermare la nascita del nuovo Canton Giura) oppure lasciare tutto com’era prima.

    È evidente che un tale processo sia di una trasparenza e di una chiarezza irragiungibile con una secessione-riunificazione sancita tramite un unico referendum, ovvero in una sola tappa. Si eviterebbe inoltre di costringere la popolazione a «comprare a scatola chiusa».

    Durante tutto il processo, dal primo al secondo referendum sino all’eventuale proclamazione del nuovo cantone sarebbe stata coinvolta solamente la popolazione del Giura bernese e del Canton Giura, ma non quella del restante Canton Berna. Perché? Semplicemente perché la secessione riguarda solamente le persone residenti nel Giura bernese, mentre il Canton Giura avrebbe dovuto approvare l’ampliamento del proprio territorio.

    Riccardo Dello Sbarba (Verdi) ha ribattuto a Wolfgang Niederhofer che nel caso del Canton Giura fu l’intera popolazione svizzera ad esprimersi in un referendum — e che qui da noi nessuno vorrebbe far votare 60 milioni di italiani sulla secessione del Sudtirolo.

    È vero, l’intera popolazione svizzera si espresse, ma non nel 2013 durante il processo di (eventuale) secessione-unificazione, bensì nel 1978, quando fu fondato l’attuale Canton Giura, anch’esso da una costola del Canton Berna. Ed è logico che così fosse: Se la popolazione giurassiana avesse voluto l’indipendenza dalla Svizzera il referendum avrebbe riguardato solo la popolazione giurassiana. Il nuovo Canton Giura invece voleva, contemporaneamente alla sua nascita, venire accolto dalla Confederazione elvetica come nuovo membro — ed è su questo che si espressero anche le cittadine ed i cittadini degli altri cantoni.

    Esattamente come nel 2013 il Canton Giura poté esprimersi sull’eventuale accoglienza nei confronti del Giura bernese; o come il Landtag sudtirolese si esprime sull’eventuale annessione di comuni ora appartenenti al Veneto piuttosto che alla Lombardia.

    Dunque, per analogia, se il Sudtirolo volesse secedere dall’Italia dovrebbero poter votare solo le ed i sudtirolesi (di tutti i gruppi linguistici, va da sé). Mentre se il Sudtirolo volesse diventare una nuova regione italiana o chiedere l’annessione ad un’altro stato esistente sarebbero anche questi stati a doversi esprimere.

    Ma tutto questo a Riccardo Dello Sbarba interesserà relativamente, avendo già sentenziato (non si sa su che base) che

    Tranquilli: non ci sarà alcuna Selbstbestimmung nel prossimo Statuto di autonomia.

    Vedi anche: 01 02 03



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  • K33: Selbstbestimmung.

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    8 Comentârs → on K33: Selbstbestimmung.

    Gestern ging die Sitzung des K33 zum Thema Selbstbestimmung über die Bühne. Die Thematik hatte bereits im Vorfeld zu diversen Diskussionen geführt, vor allem wurde von einigen Konventteilnehmern die Selbstbestimmung als Inhalt des Konvents abgelehnt. Im Publikum waren dieses Mal gar einige Zuschauer vertreten, das Thema scheint doch eine gewisse Außenwirkung zu erzielen.

    Die Diskussion wurde von Verena Geier eröffnet, die vor allem auf die Selbstbestimmung im Rahmen des Völkerrechts einging, Wolfgang Niederhofer brachte einige exzellente Beiträge ein, unter anderem forderte er — ganz im Sinne von — eine ergebnisoffene Diskussion und einen Mechanismus, wo am Anfang eine Abstimmung über die Einleitung eines Selbstbestimmungsprozesses stünde und dann eine zweite Abstimmung, bei der über die Inhalte/Ergebnisse (z.B. Verbleib, Sezession usw.) des Selbstbestimmungsprozesses abgestimmt werden sollte. Riccardo Dello Sbarba (Grüne) forderte eine Präambel für das Statut, welche drei Punkte beinhalten sollte: Verweis auf das Gruber-Degasperi-Abkommen, Verweis auf die europäische Integration und einen Verweis auf die grenzüberschreitende Zusammenarbeit. Dieser Vorschlag erhielt viel Zustimmung, einige forderten aber auch die Möglichkeit, die Selbstbestimmung in der Präambel des neuen Autonomiestatues aufzuführen. Fast einhellig war die Ablehnung dieser Forderung von Seiten der italienischsprachigen Vertreter, die alle Vergleiche zogen, um diese Forderung in Absurde zu führen. Besonders gestört hat mich dabei, dass viele die Selbstbestimmung mit Krieg, zwar nicht in Südtirol, aber in anderen Regionen, in Zusammenhang brachten.

    Ein geradezu skandalöses Verhalten legte Alessandro Urzì (AAnC) an den Tag. Er nutzte die im Gesetz vorgesehene Möglichkeit, dass Landtagsabgeordnete auch das Wort ergreifen können, auf seine Weise: Er sprach uns schlichtweg das Recht ab, über das Thema Selbstbestimmung zu sprechen und drohte gar mit strafrechtlichen Konsequenzen. Hier zeigt wieder einmal der Nationalstaat seine hässliche Fratze. Mit geradezu faschistoiden Sprüchen von PATRIA und ONORE und vor allem GUERRA versuchte er uns einzuschüchtern. Ein derartiges Verhalten eines Mitgliedes einer demokratischen Institution wie dem Landtag ist keiner Demokratie würdig. Ich erinnere daran, dass selbst Landeshauptmann Arno Kompatscher von uns gefordert hat, weiter zu denken und auch Themen anzusprechen, die nicht unbedingt streng mit der Autonomie verbunden sind. Zudem ist die Gesprächskultur trotz aller unterschiedlichen Auffassungen insgesamt sehr hoch. Dementsprechend wurde auch der Auftritt Urzìs von den allermeisten Mitgliedern des Konvents mit Ablehnung und auch Protest aufgenommen.

    Insgesamt war es eine interessante Diskussion, allerdings wurde aus meiner Sicht noch nicht das Ziel erreicht, offen und vorbehaltslos über das Thema Selbstbestimmung zu diskutieren. Ich empfand eine Spaltung des Konvents in drei Gruppen: Eine, die sich vehement für das Selbstbestimmungsrecht aussprach, eine die sich dagegen aussprach und schließlich eine dritte Gruppe, vor allem vertreten durch die SVP, die zwar das Selbstbestimmungsrecht befürwortet, es aber nicht im Statut verankert sehen, sondern als Trumpf im Ärmel bei Notsituationen zurückbehalten will. Insgesamt also kein Konsens, sondern drei gleichberechtigt nebeneinander stehende Positionen. Überflüssig ist das Thema Selbstbestimmung, anders als Riccardo Dello Sbarba meint, keinesfalls — ebenso ist es nicht vom Tisch, wie gar einige italienischsprachige Teilnehmer fanden.

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  • K33: Violentissima presa di posizione.
    Attacco alla libertà di pensiero e di parola

    Ieri sera in seno alla Convenzione dei 33 (K33) si è dibattuto in maniere civile e democratica sul tema dell’autodeterminazione. Sino a quando, al termine della consueta interruzione ha chiesto la parola il consigliere provinciale Alessandro Urzì (AAnC), che ha parlato di sangue, di guerre, di accordi d’onore e di codice penale, chiedendo al presidente Christian Tschurtschenthaler (SVP) di abortire la discussione.

    Ecco qui la trascrizione dell’inaudita presa di posizione, atta a censurare o perlomeno criminalizzare il pensiero politico — perfettamente democratico — di una parte dei membri della Convenzione:

    […] Dev’essere chiaro a tutti un percorso — e lo è — che approderà, infine, anzi: non infine, ma che avrà un punto di approdo sia in consiglio provinciale che in consiglio regionale, prima di dover essere rinviato al piano nazionale. Quindi diciamo così che mi sento pienamente investito di una responsabilità rispetto a quello che sta accadendo, e ho seguito con attenzione, ma anche un po’ di sorpresa il dibattito che dal mio punto di vista sul tema della secessione non avrebbe titolo di essere ospitato all’interno della Convenzione per l’autonomia — perché, ed è questo che sostanzialmente volevo ribadire, è un tema che esula dall’idea stessa che si deve avere dell’autonomia come strumento di composizione che ha trovato la sua risoluzione proprio nello statuto di autonomia che è un complesso di regole che ha evitato che la provincia di Bolzano dovesse affrontare quel travagliato percorso che la ponesse di fronte proprio al tema della secessione. Io credo che un po’ di chiarezza anche di fronte a noi stessi […] va fatta, nel senso che la responabilità  che ci assumiamo, anche nell’assumere un ruolo in questa convenzione, è quella di credere nell’autonomia. O si crede nell’autonomia o ci si alza e ci se ne va via. Questo non è il tavolo dove discutere di altro che non sia autonomia. Poi si può essere più o meno amici dell’autonomia, volerla più spinta o meno spinta, volerla più bella o meno bella, volerla… questo è il posto per discuterne, e io ho le mie idee. Non è il giorno in cui voglio esporle, ma tutto il resto non c’entra assolutamente nulla con i princìpi costituenti che hanno dato vita alla legge sull’istituzione della convenzione per l’autonomia. Allora io invito realmente il presidente a riportare sull’ordine dei lavori la convenzione, perché poi, quando gli atti arriveranno in consiglio provinciale potrà  essere eccepito il fatto che questi atti non siano nemmeno ricevibili quando affrontino questioni che esulano dal rapporto con il sistema dell’autonomia. Poi c’è — e concludo — non solo una questione di ordine tecnico […], c’è anche una questione di ordine etico e morale. E sa qual’è, presidente, la questione di etica e morale, che qui forse a molti non interessa, perché non interessa l’etica e non interessa la morale. Ma la morale è che si è fatto un accordo d’onore fra gruppi linguistici, fra Repubblica d’Italia e Repubblica d’Austria, fra comunità  e partiti politici sull’autonomia; gli accordi d’onore vanno rispettati e l’autonomia è il frutto di questo accordo d’onore, da altre parti si usa stingere l’accordo d’onore con una stretta di mano che non può essere sciolta se non nel sangue. Lo ha detto il collega Dello Sbarba, che è sicuramente al di sopra di ogni sospetto. Ipotesi, altrove, che hanno trovato soluzione estrema, passano attraverso le guerre, le guer-re! E io non accetto come cittadino di questa provincia che si provochi lo spirito della guerra e della contrapposizione introducendo temi che sono totalmente non estranei, confliggenti con lo spirito dello statuto di autonomia. Bisogna esserne fedeli, io sono fedele all’autonomia. Lo sono critico, molto critico — e lo sanno tutti — ma fedele all’autonomia, perché ho assunto come cittadino di questa terra prima che come cittadino italiano, ma ho assunto sia come cittadino dell’Alto Adige sia come cittadino italiano che come cittadino europeo un patto d’onore con i cittadini di altro gruppo, con i partiti, con la società, con le istituzioni, con le repubbliche che hanno — con sforzo mostruoso dopo una straordinaria, una drammatica, una devastante guerra, quella mondiale — fatto un accordo che è stato evocato prima, l’accordo Degasperi-Gruber, di cui forse perdiamo lo spirito e il senso, che è stato un accordo che ha chiuso una guer-ra! Io non accetto, presidente, che in Alto Adige si possano riproporre temi che riaccendono conflittualità estreme e drammatiche sino alla rottura dei rapporti. Poi ciascuno risponde evidentemente di fronte alla propria coscienza e la propria etica, io ho la mia e mantengo sempre le parole. E se le istituzioni per le quali mi impegno, e la Convenzione è una di queste — la convenzione non è una cosa terza che discende da Marte, la convenzione è stata voluta con una legge provinciale, la provincia ha delle sue regole e un riferimento normativo che è lo statuto di autonomia, ci sono altre fonti normative che conoscete… allora io dico, presidente, che bisogna avere la consapevolezza che si deve essere rispettosi del contesto dentro al quale si opera. Se ci fosse un’ulteriore, comunque, volontà  di proseguire, si può anche, eventualmente, mettere agli atti ulteriori atti che possono essere utili, fra questi anche il codice penale, presidente. Grazie.

    Sottolineato da me.

    Vedi anche: 01 02 03 04 05 06



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  • La Bretagna. E… la toponomastica.

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    0 Comentârs → on La Bretagna. E… la toponomastica.

    La Francia è sovente considerata il «mangiaminoranze» fra gli stati europei, un giudizio che probabilmente non si discosta molto dalla realtà. Eppure anche lì, tantopiù se consideriamo il contesto estremamente sfavorevole, si osservano sviluppi sorprendenti in relazione alla varietà delle lingue regionali.

    La Corsica, complice anche la situazione geografica, è certamente la regione più attenta alle proprie peculiarità linguistiche e culturali. Dalle ultime elezioni l’isola è governata da una coalizione di autonomisti e indipendentisti.

    Nelle parti della Catalogna e dei Paesi Baschi che si trovano sotto giurisdizione francese sono le relative sorelle «spagnole» (Catalogna meridionale e, rispettivamente, Hegoalde) a far da traino, in quanto dispongono di forme di autogoverno molto più evolute.

    Tuttavia anche in Bretagna al più tardi a partire dagli anni 1990 si registra un certo movimento. La lingua bretone (tradizionalmente parlata solamente nella parte occidentale della Bretagna) era già stata quasi totalmente estirpata, ma attualmente sta conoscendo una pur flebile rinascita.

    Vi contribuisce fra gli altri l’Ofis Publik ar Brezhoneg, massima istanza di promozione linguistica, che dalla sua istituzione nel 1999 in poi ha portato a termine numerose iniziative, in parte molto creative — e il cui sito, fra parentesi, sfoggia il nuovo suffisso internet autonomo della Bretagna (.bzh).

    Fra le pubblicazioni dell’Ofis troviamo anche una guida molto chiara , indirizzata amministrazioni pubbliche e imprenditori privati, contenente regole e consigli sull’impostazione di cartelli e insegne bilingui.

    Dal nostro punto di vista possono essere interessanti soprattutto le raccomandazioni sulla toponomastica, in quanto il Sudtirolo in questo campo sembra aver qualcosa da imparare perfino dalla Bretagna:

    Toponomastik Bretagne.

    Estratto guida (Ofis Publik ar Brezhoneg)

    Accanto all’illustrazione grafica (a destra) già di per sé molto chiara, con la quale si spiega che non è consigliata l’apposizione né della sola denominazione francese (o francesizzata) né di indicazione doppie, bensì solamente di quella bretone, nel testo si fa riferimento al Gruppo di Esperti delle Nazioni Unite sulle Denominazioni Geografiche (UNGEGN/GENUNG). Inoltre viene ribadito espressamente (in grassetto) che il patrimonio toponomastico non va confuso col bilinguismo.

    Queste indicazioni sono ancor più sorprendenti se consideriamo che la guida in questione è edita con la collaborazione del Ministero della Cultura e delle Comunicazioni di Parigi.

    Chi avesse avuto l’occasione di muoversi nella Bretagna occidentale avrà certamente notato che un numero elevatissimo di località (frazioni, borghi, torrenti, colline…) sono effettivamente indicate solo in versione bretone.

    Osservazione: Anche in Bretagna, come in Sudtirolo, si distingue fra macrotoponomastica e microtoponomastica, con quest’ultima di competenza esclusiva dei comuni, mentre la prima (la macro, cioè i nomi dei comuni stessi) è di competenza di livelli di governo superiori.

    Vedi anche: 01 02 03 04 05 06



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