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  • Josef Eduard Ploner ade.

    Wenige Wochen, nachdem die Tageszeitung die nationalsozialistische Vergangenheit des Komponisten Josef Eduard Ploner thematisiert hatte, benannte seine Geburtsstadt Sterzing nun die ihm gewidmete Straße in Dr.-Sebastian-Baumgartner-Straße um. Gut so. Dabei hatte es kurzzeitig so ausgesehen, als wollte der Wipptaler Hauptort die Angelegenheit aussitzen.

    Grundlage für die Entscheidung war unter anderem ein von der Nordtiroler Landesregierung bei der Uni Wien (Prof. Michael Wedekind) in Auftrag gegebenes Gutachten, das auch in Lienz zu einer analogen Umbenennung geführt hat.

    In Bozen: wartet man noch. Seit Jahrzehnten.

    Cëla enghe: 01 02



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  • Risposta a Thomas Rizzoli.

    Sul quotidiano A. Adige è apparsa una lettera aperta*, cui vorrei qui rispondere, a firma di Thomas Rizzoli e indirizzata alla consigliera provinciale Eva Klotz di Süd-Tiroler Freiheit. Ovviamente non rispondo a nome e per conto della consigliera, anche perché non ne condivido il progetto politico. Ma sono comunque dell’avviso che la lettera di Rizzoli contenga alcuni (s)punti interessanti, ai quali va data una risposta — e che mi consentiranno di illustrare ancora una volta quali sono le coordinate di un progetto «alternativo» come il nostro.

    Gen.le On.le Klotz,
    prima di tutto La ringrazio di avermi scritto.

    Piccolo, insignificante appunto iniziale: non mi risulta che i consiglieri del nostro parlamento sudtirolese si fregino del titolo di «onorevole».

    Mi permetto di farLe qualche domanda da semplice cittadino altoatesino (o sudtirolese, se così preferisce), quale sono.
    Primo: sorge spontaneo chiedersi nel ricevere questa lettera se le spese di queste 400.000 lettere sono a carico del suo partito, o vengono poi rimborsate dalla provincia come “rimborso elettorale”?

    A questa domanda mi sembra che il partito di Eva Klotz abbia già risposto: se non erro, le lettere sono state finanziate con soldi privati, ma è stata usata la tariffa postale più vantaggiosa di cui godono i partiti durante la campagna elettorale. Certo, un piccolo trucco, ma d’altronde in cambio hanno rinunciato alla classica propaganda elettorale e quindi non dovrebbero esserci costi aggiuntivi per la collettività.

    Ben più problematico, come ho avuto modo di scrivere, è il fatto che un partito si appropri di un tema che invece appartiene a tutti i cittadini sudtirolesi (di tutte le lingue e di tutte le provenienze).

    Secondo: Io da qualche anno vivo in Austria, e devo ammettere che sto bene. Ma se il Sudtirolo facesse di nuovo parte dell’Austria, chi ci garantirebbe l’autonomia e l’indipendenza con tutti i vantaggi annessi di cui godiamo al momento? Chi ci garantirebbe che in Austria staremmo per forza meglio che in Italia? Anche se la qualità della vita in media in Austria è superiore e in Italia ci sono più disagi, chi ci garantirebbe che noi, come popolazione sudtirolese staremmo meglio in Austria?
    Lo so che con la lettera che ha mandato Lei chiede solo le vogliamo avere la possibilità di decidere, e non chiede direttamente se vogliamo staccarci dall’Italia, ma lei negli ultimi anni è stata fin troppo chiara riguardo alle sue idee.

    Le garanzie in politica non esistono. Come non si può garantire che staremmo meglio in Italia (e nemmeno che l’autonomia continuerà a esistere anche in futuro), non si può nemmeno garantire che staremmo meglio in Austria o come stato/regione indipendente in seno all’UE. Quel che si può fare in una democrazia è prefigurare degli scenari e far decidere alla popolazione, liberamente e senza drammi.

    Noi di ad esempio proponiamo un futuro lontano da tutti gli stati nazionali (dunque sia dall’Italia che dall’Austria, per citare le due opzioni più gettonate), perché crediamo che con ciò si aprirebbero prospettive nuove e migliori, soprattutto per una realtà plurilingue come la nostra. Certamente sarebbe necessario garantire, tramite disposizioni adeguate, che nessuno debba temere sopraffazioni.

    L’opinione personale della signora Klotz in questo contesto non conta nulla — anzi, conta esattamente un voto, come quello di qualsiasi altro cittadino. Se il suo partito ottenesse un referendum ufficiale sarebbe sempre l’intera popolazione a scegliere quale modello preferisce.

    Terzo:
    Partiamo dal presupposto che in Austria staremmo meglio che in Italia. Lei ha sempre dichiarato di fare una “Volkstumspolitik”, cioè una politica basata sulla cultura di un popolo, quello tirolese. Chi garantirebbe alla popolazione sudtirolese di lingua italiana o ladina, che in Austria avrebbe la possibilità di mantenere la propria lingua e cultura? Non ci sarebbe di nuovo il problema di una minoranza non rappresentata? Chi ci assicura che l’Austria sia pronta ad affrontare le problematiche di un’altra minoranza?

    Questa è esattamente la ragione per cui noi di rifiutiamo il cosiddetto «ritorno» all’Austria — si tratterebbe infatti solo di un’inversione dei rapporti fra maggioranza e minoranza, senza dare una prospettiva nuova e diversa alla nostra specifica realtà.

    Prima di chiudere, con tutta umiltà e dal basso della mia ignoranza, mi permetto un’osservazione personale. L’Alto Adige ormai da 94 anni fa parte dell’Italia. Capisco che Lei come altri non si senta italiana. A causa della lingua e della cultura diversa. Ma un milanese non ha un dialetto e una cultura diversa da un palermitano? E non sono tutti e due italiani? Così come in Austria un viennese ed un tirolese, o in Germania un berlinese ed un bavarese?

    Paragonare le differenze (linguistiche e culturali) fra un milanese e un palermitano o fra un viennese e un tirolese con quelle fra milanesi e sudtirolesi non ha sinceramente alcun senso. Se il Sudtirolo gode di un’autonomia nello stato italiano ciò è dovuto proprio al fatto che a) lo stato italiano si definisce secondo criteri nazionali (lingua e cultura comuni) e che b) il Sudtirolo rappresenta un’eccezione a questo criterio nazionale.

    Ed in quanto pensiamo che

    • gli stati nazionali rappresentano ormai un’idea vecchia e superata dalla storia e che
    • l’eccezionalità del Sudtirolo rispetto al concetto «nazionale» abbia bisogno di risposte completamente diverse

    cerchiamo di proporre un modello alternativo.

    La storia ci insegna che possiamo essere sudtirolesi ed italiani allo stesso tempo. Non mi fraintenda, non sono un cittadino italiano patriottico, tutt’altro. Appartengo al gruppo linguistico tedesco, anche se ho un cognome italiano. Quello che voglio dire è che in questi 94 anni il Sudtirolo è diventato l’incrocio di due culture, se vogliamo di due mondi. Una cosa stupenda. E chi per esempio ha la mamma pusterese ed il papà calabrese, cosa dovrebbe fare? Non è italiano quanto sudtirolese? Perché costringerlo a scegliere. Siamo italiani e tirolesi, allo stesso tempo, che lo volgiamo o no. Dati di fatto.

    Nessuno sarà costretto a scegliere fra «italiano» e «tirolese», per il semplice fatto che in un ipotetico referendum di autodeterminazione sarà possibile optare per il mantenimento dello status quo — e se davvero l’autonomia rappresenta il modello migliore, la maggioranza delle persone deciderà di mantenerla. Piuttosto invece è l’odierna autonomia a richiedere un’indicazione di appartenenza chiara: tedesco, italiano o ladino.

    Noi siamo convinti che solo una realtà decisamente plurilingue (e dunque lontana dagli stati nazionali e dalle norme di tutela di cui oggi necessitiamo) sarà capace di portare a una vera sintesi fra le varie anime che rappresentano il nostro patrimonio. Senza «garanzie», ma con la certezza che in una democrazia matura siano le persone a dover decidere. Liberamente.

    La ringrazio per il tempo a me dedicato e mi farebbe piacere una Sua risposta, anche se so che non ha il tempo di rispondere ha (sic) 400.000 lettere.
    Distinti saluti
    Thomas Rizzoli

    *) La versione qui commentata è quella completa, non quella accorciata apparsa effettivamente sul giornale.



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  • Jugend ohne Zukunft.

    In der FAZ ist jüngst ein Artikel erschienen, der sich mit der aktuellen Lage und Zukunft Italiens beschäftigt. Der Artikel zeigt schonungslos, in welch schlimmer Verfassung sich dieser Staat befindet.

    Zwanzig Jahre mussten vergehen, bis Silvio Berlusconi rechtskräftig verurteilt wurde. Es ist nicht das Ende der Misere eines Landes, das zu den schönsten der Welt zählt, sondern die Bestätigung eines politischen und wirtschaftlichen Bankrotts.

    Der Artikel schiebt meiner Meinung nach die Schuld zu sehr nur auf Berlusconi, trotzdem werden einige Aspekte der Wirtschaftskrise aus Sicht der nachfolgenden Generationen beleuchtet, für die dieses Land keine Zukunft mehr bietet:

    Dann aber erzählt der Akademiedirektor von seiner Tochter. Sie hat ein Jura- und ein Literaturstudium mit Bestnoten abgeschlossen, findet jedoch keine Arbeit. Derzeit jobbt sie in einem Callcenter. Wenn sie in einem schäbigen Vorort von Mailand einen Mietvertrag für eine Bruchbude abschließt, muss der Vater kommen und eine Bürgschaft für die Wuchermiete stellen. Heirat? Enkel? Die Tochter, erzählt der Mann traurig, schüttelt immer nur den Kopf; sie könne doch nicht einmal für sich selbst sorgen. Es ist klar, dass er sie immer noch finanziert. “Bald ist meine Tochter vierzig. Was haben wir unseren Kindern nur für ein Land hinterlassen?

    Das ist eigentlich der schlimmste Aspekt der Staatskrise, in welcher sich Italien befindet und hier hat nicht nur Berlusconi Schuld, vielmehr ist — ähnlich wie in Griechenland — ein Versagen auf allen Ebenen feststellbar. Durch dieses Schlamassel beraubt unsere Generation der Vierzigjährigen und unsere Elterngeneration den Kindern die Zukunft.

    Meine Nichte, Mitte Zwanzig, ist in Rom deutschsprachig aufgewachsen, hat die deutsche Schule besucht, studiert und muss nun nach Berlin auswandern, da es in Rom keine adäquate Arbeit gibt. Gleichzeitig hört man immer noch von Gewerkschaften, die Stammrollen verteidigen, von Unternehmen, die kaum wettbewerbsfähig sind und von einem Heer an (Früh-)Rentnern, die zunehmend auch die Politik dominieren. Der Staatspräsident ist über neunzig, Berlusconi fast achtzig, das Parlament ist voll von Politikern, die eigentlich längst schon in Rente sein müssten. Für die Jungen bleibt kaum eine Chance, allerdings sind die Alten diejenigen, die das Land zusammenhalten:

    Bei Kitas, Ganztagsschulen, Sommerbetreuung mag Deutschland hinter Frankreich und Schweden weit zurückbleiben – ausgerechnet im katholischen Italien sieht es für Familien, vor allem für die Frauen, noch viel schlimmer aus. Es wirkt, als hänge das ganze Land am Geld, an der Erfahrung, an den Immobilien, den Renten und am Arbeitseinsatz von Großeltern, Tanten, Schwägern. Die Familie ist der letzte Kitt.

    Was in der Diskussion häufig vergessen wird, die Jungen, welche keine Arbeit finden, werden auch keine Wohnung kaufen und keine Familien gründen, dadurch wird eine ganze Generation ihrer Zukunft beraubt und das Land wird sich in einen Teufelskreis begeben, aus dem es nur schwer ein Entrinnen gibt.

    Ein weiterer Aspekt ist die mangelnde Wettbewerbsfähigkeit: Während früher beständig die Lira abgewertet wurde, um wettbewerbsfähig zu bleiben, zeigt nun der Euro schonungslos die Defizite auf. In der jüngst veröffentlichen PIAAC-Studie ist Italien vor Spanien an vorletzter Stelle in Bezug auf die grundlegenden Bildungskenntnisse. Telepolis fragt richtigerweise, ob dieser Bildungsnotstand auch ein Indiz für die Wirtschaftskrise ist. Länder, bei denen es an grundlegenden Bildungskenntnissen mangelt, werden von Wirtschaftskrisen stärker getroffen, den Rückstand aufzuholen wird fast unmöglich. Italien befindet sich nun seit einigen Jahren in einer Rezession, der Rückgang der Wirtschaftsleistung erfolgt nicht gleichverteilt, sondern Familien, die Jugend und alle jene, die es nicht in den geschützten Arbeitsmarkt geschafft haben, sind stärker betroffen. Für mich ist es geradezu zynisch, dass die Politik und Gewerkschaften immer noch von Solidarität sprechen, während sie in den letzten Jahrzehnten durch einen rigiden Arbeitsmarkt, mangelnden Reformen und vor allem ineffeziente Strukturen geradezu den Grundstein für die derzeitige Misere gelegt haben. Bei praktisch jedem wirtschaftlichen, sozialen und demographischen Indikator ist Italien im Schlussfeld oder im unteren Drittel zu finden, ein Ausweg ist nicht in Sicht.

    Die Rezession weist einen weiteren Aspekt auf, der wahrscheinlich in nicht allzu ferner Zeit zum Zusammenbruch Italiens führen wird: Die Staatsverschuldung steigt rapide, ist trotz harter Sparmaßnahmen außer Kontrolle und wird nicht mehr eingedämmt werden können. Mit über 130% des BIP betragen allein die Zinslasten ca. 90-100 Milliarden Euro und mit mathematischer Gewissheit steigen sie weiter bis das Vertrauen der Finanzmärkte endgültig zusammenbricht. Auch hier sind wir alle Schuld, über Jahrzehnte wurde eine steigende Staatsverschuldung als selbstverständlich hingenommen, ausbaden müssen es aber die nachfolgenden Generationen. Viel wird von Nachhaltigkeit gesprochen, bei praktisch allen Teilen der Bevölkerung und Parteien ist aber der Begriff der wirtschaftlichen Nachhaltigkeit nicht angekommen.

    Nun ist das Fest vorbei, das Buffet leer geräumt. Das Land, das seine Mode, sein Essen, seine Möbel, seinen Wein, aber auch seine Rennautos, Motorräder und Küchenmaschinen mit Riesenprofit in alle Welt exportieren könnte, steht vor dem Bankrott.

    Während das Land vor dem Kollaps steht, wird in Rom munter weiter gestritten, anstatt sich der Probleme des Landes anzunehmen. In Südtirol hingegen klammern sich die SVP und viele andere Parteien an diesen Nationalstaat, der über Jahrzehnte bewiesen hat, dass es so nicht funktionieren kann. Wir sind es den nachfolgenden Generationen schuldig, dass wir endlich vorurteilsfrei über politische Alternativen nachdenken dürfen, ein Modell, das effizienter auf die Herausforderungen der Zukunft reagiert, bei dem unsere Jugend auch einer besseren Perspektive entgegensehen kann. Das bisherige Nationalstaat-Modell ist endgültig gescheitert.

    Jetzt schon gehört Italien zu den teuersten Ländern Europas, und trotz der Dauerkrise steigen die Preise und die Steuern zugleich. Es bräuchte nicht nur das Abtreten des ewig wiederkehrenden Springteufels Berlusconi, es bräuchte den radikalen Austausch einer ganzen Politikerkaste, die sich die anarchisch-entspannten Italiener viel zu lange achtlos herangezüchtet haben. Ist das mit der sich neu formierenden Mitte aus alten Christdemokraten, ergebenen Berlusconianern und zynischen Banktechnokraten wirklich zu erwarten?



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  • ERC will »Unionisten eine Stimme geben.«

    Wie schon im letzten Jahr sind in Barcelona zum sogenannten »Tag der Hispanität« (día de la hispanidad, 12. Oktober), mehrere tausend Menschen auf die Straße gegangen, um für die Einheit mit Spanien zu demonstrieren. Wie üblich fielen die Schätzungen der Veranstalter um Partit Popular de Catalunya (PPC) und Ciutadans (C’s) höher aus, als die der Polizei*.

    Dies nahm der Vize-Sprecher der linken Unabhängigkeitspartei ERC im katalanischen Parlament zum Anlass, PPC und C’s dazu aufzurufen, »allen Menschen eine Stimme an der Wahlurne zu geben«.

    »Wir finden es gut, dass Menschen für die Einheit auf die Straße gehen, wir respektieren sie so sehr, dass wir ihnen die Möglichkeit geben wollen, ihre Meinung in einer Abstimmung zum Ausdruck zu bringen«, sagte Oriol Amorós. »Der Kampf um die richtigen [Teilnehmer-]Zahlen scheint uns absurd. Wenn wir wirklich ein Interesse daran haben, in Erfahrung zu bringen, was die Katalanen wollen, stellen wir doch Urnen auf, um sie [die Zahlen] auf demokratische Weise zu erheben.« Laut Amorós wolle ERC den Kolleginnen von PPC und C’s die Hand reichen.

    *) Die Schätzungen der Veranstalter schwanken zwischen 105.000 und 160.000 Teilnehmerinnen, die Behörden nannten 30.000. Zum Vergleich: Am 11. September gingen mindestens 1,5 Mio. Menschen für die Unabhängigkeit auf die Straße.



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  • Spagnolli, i tempi sono stramaturi!

    A Sterzing la recente presa di coscienza sul passato nazionalsocialista del compositore musicale Josef Eduard Ploner ha innescato un dibattito destinato a portare, si spera, al ritiro dell’intitolazione di una strada in suo onore (fatto).

    Incalzato dalla Tageszeitung (intervista pubblicata ieri) a questo proposito, il sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli (PD) comunica che nel capoluogo proprio non se ne parla: pur ammettendo che sarebbe giusto abolire l’Amba Alagi o la via Luigi Cadorna (e ce n’è anche di peggio) il sindaco ci fa sapere che i tempi non sono ancora maturi.

    Caro signor Spagnolli, nel ventunesimo secolo, a 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, in Europa occidentale non può proprio più esistere un luogo in cui i tempi «non sono maturi». Bolzano, che non esita a sbanderiare la propria supposta superiorità rispetto alla tanto vituperata «periferia», si fa tranquillamente superare da Sterzing — ma, ad esempio, anche dalla Spagna, dove la dittatura è terminata 35 anni più tardi.

    No, signor sindaco, non sono i tempi a non essere maturi, Bolzano e la sua «classe dirigente» sono definitivamente fuori tempo massimo. E noi ci siamo veramente stufati della vostra presuntuosissima, spudorata arretratezza.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05 06



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  • Riccardos Freud’scher.

    Als Moderator Eberhard Daum bei der Podiumsdiskussion vom letzten Donnerstag in Marling sagte, er wolle »hierzu mal den Vertreter der Regierungspartei« befragen, griff Riccardo Dello Sbarba zum Mikrofon. Gemeint war freilich Arnold Schuler (SVP), doch Dello Sbarba sagte, er dachte, gemeint wäre die Zentralregierung — und da sitze Florian Kronbichler in der Mehrheit.

    Kleine Info: Auch in Rom sitzen die Grünen, bzw. Kronbichler mit SEL, in der Opposition, während die SVP zur Mehrheit gehört. ;)



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