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  • Bürger- und Parteiwehren.

    SA.

    Per Notverordnung ohne Zustimmung des Parlaments von der Regierung eingeführt. Ein leistungsfähiges Werkzeug für Selbstjustiz und Denunziantentum.

    Erinnerungen werden wach: 01 02 03



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  • Freistaat und Panzer.

    Per gentile concessione di Riccardo Dello Sbarba, pubblico qui la versione integrale del suo resoconto, apparso anche sul Corriere dell’A. Adige di ieri:

    “Ma se facciamo la Selbstbestimmung, poi Berlusconi ci manda i panzer?”. A quel punto ho cercato di buttarla in battuta: “beh, bisogna vedere se ha la benzina…”. Molti hanno sorriso, ma la domanda era seria.

    Eravamo alla Cusanus Akademie di Bressanone, il convegno si intitolava “Die Vision Freistaat” e io ero l’unico italiano sul podio.

    Il professor Günther Pallaver, introducendo, aveva invitato tutti alla prudenza. Se autodeterminazione significa secessione, aveva avvertito, allora sappiate che un diritto alla secessione dalle norme internazionali non è riconosciuto. A meno che non ci sia consenso di tutte le parti in gioco e allora si può fare quel che si vuole (vedi Cechia e Slovacchia).
    Poi aveva invitato a distinguere: tra autodeterminazione esterna (cioè la secessione) e autodeterminazione interna (cioè autonomia e autogoverno, tipo Freistaat Bayern). E tra visione nazionalistica della Selbstbestimmung (ristabilire una omogeneità etnico-nazionale dove non c’è, che equivale a un nazionalismo in piccolo che nel mondo centuplicherebbe gli stati esistenti) e una visione democratica della Selbstbestimmung (fondata sull’idea che ogni persona deve essere libera di decidere di se stessa, ma che presuppone la rinuncia alla violenza, l’accettazione delle diversità di lingua, cultura e religione e il riconoscimento di pari diritti a chiunque). Distinzione che a diverse persone (tutti maschi i numerosi intervenuti) non è piaciuta gran che.
    La discussione infatti si è svolta partendo dal: “Facciamo finta che la Selbstbestimmung la facciamo davvero”, che succede dopo? Berlusconi manda i panzer? E degli italiani che ne facciamo? E qui tutti guardavano me.

    Dunque, ho giocato a fare l’italiano. Dando dei consigli su come conquistare il consenso degli italiani del Sudtirolo all’idea di uno stato indipendente. Che potrebbe fare strada, ho detto subito ancora con ironia, tra i tanti italiani che si sentono in esilio in questa Italia berlusconiana.
    Il problema, ho spiegato, è di quale Freistaat si parla, come ve lo immaginate e come lo proponete. Inaccettabile è qualsiasi visione di uno stato libero del Tirolo dei tempi andati, dove dominino una memoria, una identità, una cultura a senso unico. Insomma, questo “stato indipendente” non dovrebbe cancellare la storia del Novecento, ma metabolizzarla, contestualizzarla certo, ma in qualche modo farla propria come storia comune (comprese le tracce che ha lasciato), con con-passione per i dolori che ha portato e con-piacimento per i successi ottenuti nel cammino dell’autonomia. Va costruita quella reciproca fiducia che oggi non c’è e che sola può rassicurare il mondo italiano che chi parla di Selbstbestimmung lo fa avendo a cuore tutte le persone di questa terra e non invece perché sta mettendo fuori l’avviso di sfratto per gli ultimi arrivati.

    Per questo, ho detto, la “Vision Freistaat” dovrebbe contenere:

    1. L’idea di una regione europea aperta e plurilingue di diverse culture, esperienze, storie tutte dotate di uguale dignità e diritti.
    2. La promessa dell’abolizione di ogni logica e misura di separazione etnica: un unico sistema scolastico plurilingue, la fine dei partiti etnici, il principio della cittadinanza universale e uguale.
    3. Il riconoscimento di un Heimatrecht uguale per tutte le persone che vivono sul territorio di questo “Stato libero”. Ciò vuol dire che la terra non appartiene a nessuno, ma a tutti (a Dio, dicevano i medioevali), che non ci sono primi arrivati e ultimi arrivati, che non ci sono proprietari e ospiti. Ciò vuol dire che ogni decisione politica su questa strada la prendono tutti e tutte, senza sbarramenti dovuti alla anzianità di residenza (Eva Klotz aveva sostenuto che secondo le norme internazionali in un referendum sulla Selbstbestimmung potranno votare le persone che hanno una residenza di 50, oppure ad essere generosi, di 30 anni in Sudtirolo!).
    4. Rinuncia alla violenza e alla glorificazione della violenza.
    5. Immediata cessazione di ogni provocazione. La strada per l’autodeterminazione, se questa vuol convincere gli italiani, non può passare per le marce e la richiesta di abbattere i monumenti, ma per il rispetto della storia e dell’esperienza di ciascuno, che va contestualizzata, resa testimonianza ed educazione alla democrazia, ma non rasa al suolo.

    Ho detto insomma che andrebbe messo in moto un processo tutto diverso dall’attuale, un processo che crei calore e confidenza reciproca, tanto che ogni italiano/a possa e voglia dire “Ich bin ein Südtiroler und bin stolz darauf” (sono un sudtirolese e ne sono orgoglioso), ma anche che anche ogni tedesco/a e ladino/a gli voglia e possa dire: “Ja, du bist ein Südtiroler und ich freue mich darüber” (Sì, sei un sudtirolese e io ne sono proprio felice). Cose da cui, tra marce degli Schützen e corone militari, siamo oggi ben lontani.
    Quel che domina attualmente, mi sembra, è da un lato la nostalgia di un Tirolo storico com’era prima dell’“ingiusto confine” e dall’altro la difesa a riccio di ogni “attestato di esistenza in vita”, anche se questo ha l’aspetto arcigno dei fasci littori di Piacentini.
    Insomma, per ora la discussione è dominata dai panzer. E finché sarà così, l’autonomia resta l’unica forma di “autodeterminazione” in cui tutti vincono e nessuno perde.



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  • Und es dreht sich doch.

    Nach unermüdlicher, konstanter Arbeit scheint das hier vorangetriebene Projekt seine ersten zarten Früchte hervorgebracht zu haben: In seinem Blog nimmt Riccardo Dello Sbarba, Fraktionsvorsitzender der Grünen und Landtagspräsident a. D., zur Unabhängigkeit Stellung, und knüpft sie an Bedingungen, die bereits hier formuliert und breit diskutiert wurden. Er schreibt unter anderem:

    Per questo, ho detto, la ”Vision Freistaat” dovrebbe contenere:

    1. L’idea di una regione europea aperta e plurilingue di diverse culture, esperienze, storie tutte dotate di uguale dignità  e diritti.
    2. La promessa dell’abolizione di ogni logica e misura di separazione etnica: un unico sistema scolastico plurilingue, la fine dei partiti etnici, il principio della cittadinanza universale e uguale.
    3. Il riconoscimento di un Heimatrecht uguale per tutte le persone che vivono sul territorio di questo ”Stato libero”. Ciò vuol dire che la terra non appartiene a nessuno, ma a tutti (a Dio, dicevano i medioevali), che non ci sono primi arrivati e ultimi arrivati, che non ci sono proprietari e ospiti. Ciò vuol dire che ogni decisione politica su questa strada la prendono tutti e tutte, senza sbarramenti dovuti alla anzianità  di residenza (Eva Klotz aveva sostenuto che secondo le norme internazionali in un referendum sulla Selbstbestimmung potranno votare le persone che hanno una residenza di 50, oppore ad essere generosi, di 30 anni in Sudtirolo!).
    4. Rinuncia alla violenza e alla glorificazione della violenza.
    5. Immediata cessazione di ogni provocazione. La strada per l’autodeterminazione, se questa vuol convincere gli italiani, non può passare per le marce e la richiesta di abbattere i monumenti, ma per il rispetto della storia e dell’esperienza di ciascuno, che va contestualizzata, resa testimonianza di una educazione alla democrazia, ma non rasa al suolo.

    Wieviel davon auf die Arbeit in diesem Blog und seinem Netzwerk zurückzuführen ist, sei dahingestellt. Dass wir jedoch dazu beigetragen haben (und weiterhin beitragen werden), das Thema Selbstbestimmung — gesellschaftlich — aus dem sicheren Griff der rückwärtsgewandten Rechten zu lösen und alternative Blickpunkte anzubieten, ist schwerlich leugbar.

    Herrn Dello Sbarba spreche ich meine Genugtuung aus für den Mut, über seinen Schatten zu springen und neue Lösungsansätze zumindest zuzulassen. Die Stellungnahmen, die sich seinem Eintrag anschließen, lassen gleichwohl vermuten, dass sich die lange unterdrückte Seele der progressiven Unabhängigkeitsbefürworter langsam vom Tabu der Selbstbestimmung löst.



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  • Wind-Mills.

    È bene scriverlo, perché gli organi d’informazione si sono guardati bene dal sottolinearlo: David Mills, avvocato britannico di Silvio Berlusconi, è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione. Il tribunale di Milano, in data 17 febbraio, lo ha ritenuto colpevole di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari, avendo intascato 600.000 Dollari dal gruppo Fininvest per mentire in due processi contro Berlusconi.

    Se Mills è colpevole di essersi fatto corrompere, è bene scrivere anche questo, allora non può che essere colpevole anche Silvio Berlusconi — per averlo corrotto. Lui però non sarà  processato, in virtù e per demerito del cosiddetto lodo Alfano, legge su misura per risparmiargli tali grane.

    Mills, ironicamente, è stato condannato a risarcire 250.000 Euro alla presidenza del consiglio, costituitasi parte civile nel processo. Giustizia è fatta.


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  • Zum Thema Freiheit.
    Quotation

    von Karl Popper

    Wir wissen nur wenig über die Geschichte der Besiedelung der österreichischen, der schweizerischen und französischen Hochalpen, die ja in prähistorischen Zeiten stattfand. Aber wir dürfen wohl darüber nachdenken, wie es dazu gekommen sein mag, daß Menschen, die Ackerbau und Viehzucht trieben, in die wilden und unwegsamen Täler der Hochalpen zogen, wo sie zunächst bestenfalls ein hartes, karges und gefährdetes Dasein fristen konnten. Es ist wohl am wahrscheinlichsten, daß diese Menschen in das Gebirge zogen, weil sie das ungewisse Dasein in der Wildnis der Unterjochung durch mächtigere Nachbarn vorzogen. Trotz der Unsicherheit, trotz der Gefahr wählten sie die Freiheit. Ich spiele oft und gerne mit dem Gedanken, daß insbesondere die schweizerische und die Tiroler Tradition der Freiheit bis auf jene Tage der prähistorischen Besiedelung der Schweiz zurückgeht.

    Es ist jedenfalls interessant und auffallend, daß England und die Schweiz, die beiden ältesten Demokratien des gegenwärtigen Europa, heute einander so ähnlich sind in ihrer Freiheitsliebe und in ihrer Bereitschaft, ihre Freiheit zu verteidigen. Denn in vielen anderen Zügen und insbesondere in ihrem politischen Ursprung sind ja diese beiden Demokratien grundverschieden. Die englische Demokratie verdankt ihre Entstehung dem Stolz und dem Unabhängigkeitssinn des Hochadels und, in ihrer späteren Entwicklung, der protestantischen Denkungsart, dem persönlichen Gewissen und der religiösen Toleranz — Folgen der großen religiösen und politischen Konflikte, die durch die Puritanische Revolution heraufbeschworen wurden. Die Schweizer Demokratie entstand nicht aus dem Stolz, dem Unabhängigkeitssinn und dem Individualismus eines Hochadels, sondern aus dem Stolz, dem Unabhängigkeitssinn und dem Individualismus der Hochgebirgsbauern.

    Diese völlig verschiedenen geschichtlichen Anfänge und Traditionen haben zu ganz verschiedenen traditionellen Institutionen und zu ganz verschiedenen traditionellen Wertsystemen geführt. Was ein Schweizer — oder ein Tiroler — vom Leben erwartet oder erhofft, ist, glaube ich, im allgemeinen recht verschieden von dem, was ein Engländer vom Leben erwartet oder erhofft. Die Verschiedenheit dieser Wertsysteme ist wohl zum Teil in der Verschiedenheit der Erziehungssysteme begründet; aber es ist doch sehr interessant, daß die Verschiedenheit der Erziehungssysteme ihrerseits tief in jenen geschichtlichen und sozialen Gegensätzen begründet ist, auf die ich hingewiesen habe. Erziehung war in England bis tief in das [zwanzigste] Jahrhundert hinein ein Privilegium des Adels und des Grundbesitzes — der Squirarchie; also nicht der Stadtbewohner und des Bürgertums, sondern der auf dem Lande lebenden Familien von Großgrundbesitzern. Diese Familien waren die Träger der Kultur; aus ihnen kamen auch die Privatgelehrten und Wissenschaftler (oft einflußreiche und originelle Amateure) und die Mitglieder der höheren Berufe — Politiker, Geistliche, Richter, Offiziere. Im Gegensatz dazu waren die wichtigsten Kulturträger des Kontinents Stadtbewohner; sie kamen zum großen Teil aus dem Stadtbürgertum. Erziehung und Kultur war nicht etwas, das man ererbte; es war etwas, das man sich selbst erarbeitete. Erziehung und Kultur waren kein Symbol einer ererbten sozialen Stellung einer Familie, sondern ein Mittel und ein Symbol des sozialen Aufstiegs, der Selbstbefreiung durch das Wissen. Das erklärt es auch, warum der siegreiche Kampf gegen die Armut in England eine Art Fortsetzung der Religionskämpfe auf einer anderen Ebene war — ein Kampf, in dem der Appell des Adels und des Bürgertums an das religiöse Gewissen eine entscheidende Rolle spielte —, während der Kampf gegen die Armut und das Elend in der Schweiz und auch in Österreich von der Idee der Selbstbefreiung durch das Wissen inspiriert war, von der großen Erziehungsidee Pestalozzis.

    Trotz aller dieser tiefliegenden Verschiedenheiten wissen beide, England und die Schweiz, daß es Werte gibt, die um jeden Preis verteidigt werden müssen, und zu diesen Werten gehören vor allem die persönliche Unabhängigkeit, die persönliche Freiheit. Und beide haben gelernt, daß die Freiheit erkämpft werden muß und daß man auch dann für sie einstehen muß, wenn die Wahrscheinlichkeit des Erfolges verschwindend klein zu sein scheint. Als England im Jahre 1940 allein für die Freiheit kämpfte, versprach Churchill den Engländern nicht den Sieg. »Ich kann euch nichts besseres versprechen«, sagte er, »als Blut und Tränen.« Und das waren die Worte, die England den Mut zum Weiterkämpfen gaben.

    In der Schweiz war es gleichfalls nur die traditionelle Entschlossenheit zu kämpfen — auch gegen einen zweifellos übermächtigen Gegner, wie es zuerst die Habsburger und später das Dritte Reich war —, die den Schweizern ihre Unabhängigkeit während des Zweiten Weltkriegs bewahrte.

    aus: Popper, Karl R., Alles Leben ist Problemlösen, Piper, München 1994, S. 155ff.



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  • Der Lauf der Dinge.

    http://www.youtube.com/watch?v=QfEkPgfA7wo


    Feuilleton/ · · · · · ·

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  • Mythos Volksbefragung?

    Der katalanische Cercle d’Estudis Sobiranistes [siehe] hat im Herbst eine Studie zum Thema Unabhängigkeit veröffentlicht, deren Ergebnisse ich hier auszugsweise wiedergeben möchte:

    Eine Reihe von Umfragen hat mit einer gewissen Übereinstimmung ergeben, dass sich derzeit, weitgehend unabhängig von der genauen Fragestellung (!), etwa 35% der Katalanen für die Unabhängigkeit von Spanien aussprechen, 45% dagegen und 20% unentschlossen sind. Die 21 (!) Erhebungen, auf die sich die Studie stützt, wurden von Zeitungen, Meinungsforschern, Universitäten und öffentlichen Instituten der katalanischen und spanischen Regierungen durchgeführt.

    Davon ausgehend hat der Cercle seine Analyse entwickelt, mittels derer untersucht werden sollte, welche Bedeutung diese Daten im Falle eines Referendums tatsächlich haben könnten.

    Von Unabhängigkeitsgegnern (oder »Unionisten«) wird gerne beteuert, der Wille zur Eigenstaatlichkeit sei minoritär, und im Falle einer Abstimmung eher noch weiter zum Sinken prädestiniert, da die Zukunftsangst und die Ungewissheit überwögen. Wenn dem tatsächlich so wäre, bleibt jedenfalls unverständlich, aus welchem Grund der Staat diesen Weg nicht beschreitet, wo er doch den Ruhm der Basisdemokratie und gleichzeitig den angeblich sicheren Erfolg einheimsen könnte.

    Doch die Unabhängigkeit hätte heute in Katalonien realistische Chancen, ein Referendum zu gewinnen. Die Aussage mag ob der oben genannten Daten überraschen, stützt sich jedoch auf mehrere Vergleichsuntersuchungen.

    Reine Meinungsumfragen (also keine Wahlabsichterklärungen) berücksichtigen nicht die Enthaltungsmöglichkeit, welche nicht mit Unentschlossenheit gleichsetzbar ist. Jene Umfragen, die sich nach Altersgruppen, Bildungsschichten oder Parteivorliebe aufschlüsseln lassen, zeigen zudem unmissverständlich, dass die Unabhängigkeitsgegner (in Katalonien) besonders in jenen Gruppen stärker vertreten sind, die viel deutlicher zur Enthaltung tendieren, als andere.

    Dies legen auch Umfragen nahe, die vor anderen später geglückten Volksbefragungen durchgeführt wurden. So lag die Unterstützung für den Natobeitritt Spaniens im Vorfeld bei nur 33,4%, für die Europäische Verfassung bei 23,5% und für das neue katalanische Autonomiestatut bei 31,8%, und trotzdem konnten sich alle drei Vorlagen durchsetzen — weil die Gegner ebenfalls Wählergruppen angehörten, die zur Enthaltung tendieren.
    Es lässt sich sogar allgemein beobachten, dass Gegner eines Vorhabens (zumindest in Katalonien) eher zur Enthaltung tendieren, als Befürworter. Die drei genannten Referenden sind zwar in der Wichtigkeit des Themas nicht mit der Loslösung von Spanien gleichzusetzen, doch alle waren sie von erheblicher Relevanz für die Bevölkerung.

    Die Feststellung mag erstaunen, doch es gibt statistisch gesehen einen bestimmten Wähleranteil, der auch dann nicht zur Urne geht, wenn die Fragestellung ihre unmittelbaren Lebensumstände drastisch verändern kann. Diese Tendenz lässt sich weltweit feststellen, und hat selbst im Falle Montenegros (wo eine Zustimmung von 55% zur Erlangung der Unabhängigkeit gefordert war — ein Quorum, das von den Gegnern vergleichsweise leicht zu knacken gewesen wäre) nicht verhindert, dass sich 20% der Wahlberechtigten einer Aussage enthielten.

    Das wohl erstaunlichste Ergebnis der Studie jedoch ist, dass die Zustimmung für die Sezession in allen untersuchten, konkreten Vergleichsfällen drastisch zugenommen hat, sobald eine Befragung im Raum stand. Es gilt als statistisch erwiesen, dass die Unabhängigkeit, wo sie auf demokratischem Wege geglückt ist, stets weit davon entfernt war, eine Bevölkerungsmehrheit anzusprechen, bevor sie konkret in Aussicht gestellt wurde. Erst als die Unabhängigkeit greifbar, legal möglich, und nicht (mehr) verboten, eversiv, utopisch erschien, nahm die Unterstützung für diese Option rasch zu.



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