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  • Nordirische Identität.

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    3 Comentârs → on Nordirische Identität.

    In der Onlinezeitung Nationalia wurde im Dezember 2012 darüber berichtet, dass in Nordirland laut den Volkszählungsdaten von 2011 der Abstand zwischen Protestanten (48%) und Katholiken (45%) mittlerweile lediglich drei Prozentpunkte beträgt. Dies ist der geringste Unterschied seit der Teilung Irlands im Jahre 1921.

    Die Gründe hierfür sind vor allem demografischer Natur, da die katholische Bevölkerung Nordirlands jünger ist und eine höhere Geburtenrate aufweist als die protestantische Bevölkerung. Interessant ist diese Entwicklung auch im Lichte des sogenannten Good-Friday-Agreements oder Belfast-Agreements. Die Möglichkeit einer Wiedervereinigung mit der Republik Irland wird laut diesem nicht ausgeschlossen, wenn sich die Mehrheit der Nordiren dafür ausspricht.
    Trotzdem stellt sich die Frage, ob es für die nachhaltige Befriedung Nordirlands förderlich wäre, wenn sich in wenigen Jahrzehnten eine knappe Mehrheit für eine Wiedervereinigung mit der Republik Irland aussprechen würde.

    Eine Lösung wird möglicherweise durch die Fragestellung nach der Identität angedeutet, die bei der Volkszählung 2011 erstmals erhoben wurde. Dabei kam es zu einer Überraschung. Neben der erwarteten britischen und irischen Identität scheint sich auch verstärkt eine nordirische Identität herauszukristallisieren. Dabei entpuppte sich die nordirische Identität fast ebenso ausgeprägt, wie die irische Identität.
    Zu den Zahlen: 48,4% der Einwohner Nordirlands erklärten eine britische Identität zu haben (für 39,9% ist dies die ausschließliche Identität), 29,4% erklärten ihre Identität sei nordirisch (20,9% ausschließlich nordirisch) und 28,5% erklärten sich zur irischen Identität (25,3% ausschließlich irisch).
    Möglicherweise deuten die überraschenden Zahlen die Möglichkeit einer eleganten »Kompromisslösung« für die britisch/irische bzw. protestantisch/katholische Polarität an.
    Die Zugehörigkeit zu Großbritannien erzeugt bei vielen katholischen Bewohnern Nordirlands Bauchschmerzen, ebenso ist eine Wiedervereinigung mit der Republik Irland für viele Protestanten ein rotes Tuch. Auf der Basis einer gemeinsamen nordirischen Identität ließe sich ein gemeinsames Projekt entwickeln, das ein gespaltenes Land nachhaltig befriedet und zu einer Gesellschaft führt, die nicht mehr nach der Religionszugehörigkeit unterscheidet, sondern die Gefühle aller Bewohner der Region auffängt. Eine nordirische Identität entsteht ja deshalb, da die Geschichte seit 1921 nicht nur angenommen wird, sondern als der eigentliche Baustein für eine gemeinsame Identität akzeptiert und verinnerlicht wird. Demgegenüber wäre eine Wiedervereinigung mit der Republik Irland eine Ablehnung dessen was in den letzten 90 Jahren an Geschichte geschrieben wurde. Geschichte lässt sich nicht rückgängig machen, sondern nur weiterschreiben. Eine Zementierung der Zugehörigkeit zu Großbritannien verletzt demgegenüber dauerhaft die Gefühle von beinahe der Hälfte der Bevölkerung, was keine Basis für eine zukünftige, gemeinsame Gestaltung der Region darstellt.
    Konzeptionell gibt es zwischen einem »postreligiösen«, unabhängigen Staat Nordirland frappierende Parallelen zu einem postethnischen, unabhängigen Staat Südtirol, wie er im -Manifest skizziert wird.
    In Nordirland eine Formel für eine Gesellschaft, die sich nicht mehr als katholisch/irisch und protestantisch/britisch definiert, sondern als nordirisch, das beides beinhaltet und in Südtirol eine Gesellschaft, die vom institutionellen Gerüst keine Austarierung nach ethnischen Kriterien erfordert, sondern abseits einer nationalstaatlichen Ordnung, eine gemeinsame Südtiroler Identität ermöglicht, in der Mehrsprachigkeit automatisch Teil des Quellcodes ist.



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  • Il PD del monolinguismo a senso unico.

    Autor:a

    ai

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    31 Comentârs → on Il PD del monolinguismo a senso unico.

    È davvero sconcertante: Intervistato dal quotidiano A. Adige, Christian Tommasini, vicepresidente sudtirolese ed esponente di spicco del PD, definisce «irricevibile e semplicemente assurda» la proposta avanzata dalla camera di commercio (e da sempre invocata anche da ) di parificare le lingue italiana e tedesca nella tutela dei consumatori. Il PD, partner di coalizione dell’SVP sia in Sudtirolo che a livello statale, si appropria di argomentazioni sovrapponibili a quelle dei postfascisti oltranzisti alla Alessandro Urzì.

    Anche per Tommasini, dunque, è normale e ovvio che ci sia una lingua di serie A (l’italiano) e una di serie B (il tedesco), in barba allo statuto di autonomia, che viene invocato a larga voce solo quando a venire «danneggiata» è la lingua italiana. Due pesi e due misure, perché non va bene che ciò che questo stato da decenni impone ai cittadini di lingua tedesca, ovvero etichette nella sola «lingua nazionale unica», possa venire equilibrato dalla possibilità di importare anche prodotti etichettati solo in lingua tedesca: evidentemente ci sono monolinguismi accettabili e altri no.

    Attualmente, infatti, siamo nell’assurdissima situazione che sui prodotti etichettati solo in tedesco (madrelingua della maggioranza di cittadini) devono venire apposte etichette posticce in italiano, che — come dimostra il caso dei supermercati MPreis — spesso e volentieri per questioni di spazio vanno a coprire le informazioni in tedesco.

    Questa è una situazione davvero ridicola e insostenibile per una terra bilingue, il che però — evidentemente — al PD, tanto votato (a parole) al plurilinguismo, non interessa. D’altronde, e lo avevamo già  scritto, il PD non ha mai chiesto bilinguismo e scuole plurilingui a Cortina, Col e Fodom, dove vige il monolinguismo italiano. Le scuole bilingui le invocano solo qui, dove il modello predominante è quello della scuola tedesca. Quindi, per il PD come per Urzì sembra che il bilinguismo sia unicamente un escamotage per rafforzare la presenza dell’italiano, e non, come dovrebbe essere, per creare parità  di diritti e una società  più aperta.

    Il rifiuto del PD, ovviamente, è ben più significativo di quello di Urzì, perché significa che, nonostante gli accordi elettorali, ben difficilmente ci si potrebbe aspettare un sostegno in parlamento. Forse è il caso che la SVP rifletta sull’opportunità  di portarsi ancora in giunta un partner incapace di far suo lo spirito di eguaglianza, pari dignità  e diritti di tutti i cittadini sudtirolesi.

    Ancora una volta, se questi sono gli «amici dell’autonomia», i suoi nemici possono dormire sonni tranquilli.

    Vedi anche: 01 02 03 || 01



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  • Ecco gli ipocriti del plurilinguismo.

    Autor:a

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    14 Comentârs → on Ecco gli ipocriti del plurilinguismo.

    Li aspettavamo al varco, i grandi fascisti travestiti da fautori del plurilinguismo, e loro non hanno tardato ad arrivare. Quelli che si riempiono la bocca di immersione linguistica, di cartelli bilingui, di pari dignità delle lingue, di statuto di autonomia — ma solo quando può giovare all’erosione dei gruppi linguistici tedesco e ladino. Guai invece a invocare gli stessi princí­pi a loro tutela, e quindi potenzialmente scalfire le prerogative della «lingua nazionale unica».

    Parliamo di etichettature, ché — come riferì qualche tempo fa — la camera di commercio, presieduta da Michl Ebner, si è rivolta ai politici sudtirolesi perché garantiscano l’effettiva parità delle lingue in ambito commerciale. Una necessità regolarmente segnalata anche dai rappresentanti dei consumatori oltre che dagli attori economici.
    Già, perché in Sudtirolo, terra a maggioranza germanofona, nonostante lo statuto di autonomia garantisca dovrebbe garantire pari dignità alle lingue italiana e tedesca (art. 99), i prodotti immessi in commercio debbono tassativamente essere etichettati in italiano. Punto. C’è quindi una lingua di serie A e ci sono lingue di serie B. C’è una lingua (quella nazionale) tutelata dalla legge e ci sono lingue tollerate, né più né meno di una qualsiasi lingua straniera, e le cosiddette forze dell’ordine arrivano perfino a sequestrare giochi di società in lingua tedesca se non corredati di istruzioni anche in lingua italiana.

    Questi eccessi, per i nostri fautori del plurilinguismo, non sono certo un problema — lo sono, invece, le richieste di parificazione linguistica e di rispetto dello statuto. A tal proposito sul quotidiano A. Adige in data odierna è apparso un articolo pieno di ipocrite preoccupazioni per la salute dei cittadini. Ma solo di quelli di lingua italiana, che, pare al contrario di quelli in lingua tedesca, non sopravvivrebbero alla disponibilità di prodotti etichettati solo nell’altra lingua (accanto a quelli etichettati solo in italiano).

    Viene citato Alessandro Urzì*, postfascista (ma, quando fa comodo, impegnatissimo per il plurilinguismo), che riesce nell’incredibile impresa retorica di citare il plurilinguismo anche per giustificarne il rifiuto:

    Ogni espressione della nostra società, anche le organizzazioni che rappresentano il mondo dell’economia, devono impegnarsi per la diffusione del bilinguismo. Ciò a tutela di tutti i consumatori. Si pensi ai rischi connessi all’uso di prodotti non conformi alle esigenze dell’acquirente per allergie o intolleranze varie. Ora la proposta [di parificazione del tedesco all’italiano] arriverà sul tavolo della contrattazione fra Svp e Pd. E dalla Sinistra ci si attende quel coraggio che ultimamente non ha mai dimostrato.

    Già, il coraggio di rifiutare la diffusione di prodotti etichettati solo in tedesco (accanto a quelli etichettati solo in italiano e a quelli con etichettatura plurilingue) — per evitare che i cittadini di lingua italiana siano confrontati con quella che per i cittadini di lingua tedesca e ladina è invece una realtà quotidiana. Che oggi, anzi, entrando in un negozio, trovano più prodotti etichettati in greco e in spagnolo che nella propria lingua, senza che questo provochi le ire e le preoccupazioni di Urzì e dell A. Adige.

    All’evidenza di questi fatti, forse (!) qualcuno si renderà finalmente conto che certa gente e certi media invocano pari dignità per le lingue solo quando va a vantaggio della propria lingua e a scapito di quelle altrui. Sarebbe quindi ora di distinguere tra chi persegue veramente il plurilinguismo e chi lo usa strumentalmente e vergognosamente come cavallo di troia per raggiungere scopi opposti.

    Vedi anche: 01 02 03 04 05 06

    *) il cui partito (monolingue) ha messo in campo, alle recenti elezioni politiche, il «guru» dell’immersione linguistica Enrico Hell


    Prodotti austriaci «rietichettati» in italiano presso un supermercato MPreis. Non esiste alcuna tutela analoga per i consumatori di lingua tedesca e ladina:



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  • Sprung in’s kalte Wasser.

    Autor:a

    ai

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    2 Comentârs → on Sprung in’s kalte Wasser.

    Salto.Mit Salto.bz ist gestern ein neues Nachrichtenportal für Südtirol mit besonders interessantem Profil gestartet: Genossenschaftlich geführt, wirtschaftlich unabhängig, mit einer eigenen Redaktion und trotzdem in hohem Maße partizipativ — registrierte Nutzer können im Salto-Communitybereich jederzeit eigene Beiträge veröffentlichen. Als mehrsprachiges Medium sieht sich das Portal darüberhinaus in einer langen Tradition sprachübergreifender, der Begegnung zwischen den Sprachgruppen verpflichteter Projekte, die in unserem ethnozentrischen Land leider selten von Erfolg gekrönt waren.

    heißt Salto herzlich willkommen. Im Sinne der Meinungsvielfalt und des Brückenschlags zwischen den Menschen in Südtirol wünschen wir den Machern gutes Gelingen!


    Medien/ · · · · · ·

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  • Zweitsprachentwicklung: Keine Daten.

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    2 Comentârs → on Zweitsprachentwicklung: Keine Daten.

    Immer wieder hört man in Südtirol, dass die Zweitsprachkompetenz im Allgemeinen und speziell jene von Schülerinnen im Abnehmen begriffen sei. Aufgrund dieser »Einsicht« sollen dann die Landesregierung oder öffentliche Einrichtungen Maßnahmen ergreifen, die den unsäglichen Trend aufhalten. Es hat sich sogar der — wohl politisch motivierte — Topos etabliert, dass die anhaltende Debatte zur Unabhängigkeit unseres Landes die Motivation der deutschsprachigen Jugendlichen hemme, Italienisch zu lernen.

    An letzteren Zusammenhang glaube ich nicht, jedenfalls nicht in einem statistisch relevanten Ausmaß. Da ich aber wenigstens wissen wollte, ob die als katastrophal dargestellte Entwicklung überhaupt stimmt, habe ich mich vor einigen Tagen an das Landesstatistikinstitut (Astat) gewandt und um belastbare Daten gebeten.

    Die Antwort: Zu diesem Thema liegen nur zwei Arten der Erhebung vor, nämlich die Erfolgsquoten bei der Zweisprachigkeitsprüfung und das Sprachbarometer.

    Dass die Ergebnisse der Zweisprachigkeitsprüfung — die sich im Laufe der letzten Jahre tatsächlich verschlechtert haben — für die Beurteilung der Zweitsprachentwicklung im Allgemeinen nicht relevant sein können, liegt auf der Hand: Schließlich können Veränderungen auch auf Faktoren zurückzuführen sein, die nicht direkt mit der Sprachkompetenz in Verbindung stehen. Um nur drei Beispiele zu nennen, könnten zum Beispiel ein höherer Anteil Kandidaten mit Migrationshintergrund, strengere Prüfungskommissionen oder eine im Durchschnitt weniger intensive Vorbereitung der Kandidaten auf die Prüfung zu höheren Durchfallquoten führen. Dass im verfügbaren Vergleichszeitraum (2007-2011) das Jahr 2008 gleichzeitig die niedrigste Kandidatenanzahl und in fast allen Laufbahnen die höchste Erfolgsquote aufweist, könnte diese Annahme stützen.

    Das Sprachbarometer dagegen ist eine Momentaufnahme und ist als solche zur Ermittlung eines Trends ungeeignet, solange nicht wenigstens eine zweite Vergleichserhebung durchgeführt wird. Leider stammen die derzeit verfügbaren Daten aus 2004 und sind somit veraltet.

    Zusammenfassend: In einem mehrsprachigen Land wie Südtirol existieren beim öffentlichen Statistikamt gar keine Daten zur Entwicklung der Zwei- und Mehrsprachigkeit im Mehrjahresvergleich. Das ist einerseits ein unerklärliches und schwer zu rechtfertigendes Manko — andererseits lässt sich damit die Aussage, die Zweisprachigkeit in Südtirol sei rückläufig, weder bestätigen, noch widerlegen. Dies wäre jedoch unbedingt erforderlich, um eine seriöse Sprachpolitik auf den Weg zu bringen, die nicht auf Topoi und Vorurteilen fußt.

    Siehe auch: 01



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  • Relationen.

    Autor:a

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    28 Comentârs → on Relationen.

    Einkommensvergleich.

    Da mich diese Neid- und Lohndebatte und das Gerede vom alles regelnden Markt immer nervt, hab ich heute etwas Interessantes gebaut. Die Infografik zeigt, dass es nicht um Neid sondern um Verhältnismäßigkeit und Gerechtigkeit geht.

    Ein paar Erkenntnisse:

    1. Die Verbindung zwischen Verantwortung/Wertschöpfung und Entlohnung ist völlig entkoppelt.
    2. Im Vergleich fallen Politikergehälter nicht so sehr aus der Reihe.
    3. Der durchschnittliche Italiener müsste 144.178 Jahre lang arbeiten, um John Paulsons Jahresverdienst zu erreichen.
    4. Die »Arbeit« eines Hedge-Fonds-Managers ist gleich viel wert wie jene von 6.781.461 Kenianern (17,6 % der gesamten Bevölkerung Kenias).

    P.S.: Die Größenverhältnisse sind einigermaßen akkurat. Ein Pixel entspricht ungefähr 500 Euro (für Originalgröße Bild anklicken).



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  • Language Rich Europe: Italia monolingue.

    Autor:a

    ai

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    1 Comentâr → on Language Rich Europe: Italia monolingue.

    [L]’indagine conferma che la società italiana, in tutte le sue espressioni, vive una generale ‘questione delle lingue straniere’, una paura dominante nei confronti della diversità linguistica (Vedovelli, 2010). Di conseguenza, è scarsa la competenza nelle lingue straniere, da quelle di grande diffusione internazionale, a quelle meno diffuse, ma ugualmente importanti per la presenza di suoi parlanti nel territorio, per il loro legame con l’Italia e per fare affari nei mercati emergenti.
    La causa va ricercata innanzitutto nel monolinguismo che è stato una delle caratteristiche distintive della politica linguistica e educativa dopo l’unificazione italiana e che è stato sostenuto da un rifiuto generale per le lingue degli altri. Secondariamente, è il risultato dell’inefficacia dell’azione istituzionale messa in atto dal nostro Stato, e caratterizzata dalla inadeguatezza delle risorse, dell’organizzazione, di formazione per i docenti, così come dalla mancanza di collegamenti sistemici con il mondo delle imprese. A scuola l’attenzione è solo centrata sull’inglese, che – peraltro – è insegnato in un contesto di limitatezza di risorse che rende spesso inefficace ogni sia pur volenteroso sforzo dei singoli docenti o delle singole scuole. Ancora oggi i giovani che terminano il nostro sistema scolastico sono caratterizzati nella assoluta maggioranza dei casi dalla ‘conoscenza scolastica’ di una lingua straniera e tale espressione è un eufemismo, un modo velato per alludere direttamente alla mancanza di competenza.
    Le lingue immigrate presenti oggi in Italia costituiscono un fattore di neo-plurilinguismo che potrebbe potenzialmente contribuire a ridurre la paura di diversità linguistica nel nostro Paese, ma questa opportunità non è tuttora considerata.

    Da Language Rich Europe.

    È bene ricordare che il Sudtirolo si trova ad appartenere ad uno stato nazionale e a uno dei paesi europei che meno valorizzano e rispettano la diversità linguistica, per non parlare del dominio attivo delle lingue. Ciò va detto anche per coloro che (salvo poi sottomettersi alla sua vetusta logica di «una nazione una lingua») pensano che sia proprio questo stato a garantire il nostro plurilinguismo. È invece proprio il contesto riassunto da Language Rich Europe a rendere difficilissimo, se non impossibile, il riconoscimento vero e duraturo del carattere plurilingue della nostra terra, con tutto ciò che ne dovrebbe, in teoria, conseguire per le pubbliche amministrazioni, le aziende ed i singoli cittadini. Lo status di minoranza in una situazione del genere è, come tutti sappiamo, caratterizzato da una continua ed estenuante battaglia contro i mulini a vento per il riconoscimento dei diritti linguistici fondamentali.

    Il riassunto qui riproposto va tenuto presente anche quando sono proprio i rappresentanti dello stato nazionale a consigliarci — come spesso avviene — maggiore «apertura mentale», «europeismo» e plurilinguismo, quando molto spesso di null’altro si tratta che di tentativi di assimilazione malcelati dietro a un’apparenza «moderna». Lo dimostrano i fatti: Laddove (in altre regioni) è l’italiano a predominare, difficilmente si troveranno le tanto decantate scuole plurilingui — eppure lì sarebbero facilmente sperimentabili senza alcun rischio.

    È dunque ridicolo affermare che l’indipendenza da questo stato nazionale che rifiuta le lingue degli altri ridurrebbe il plurilinguismo in Sudtirolo. Le ricette per mantenerlo e aumentarlo sensibilmente, invece, dobbiamo senz’altro trovarle e applicarle noi.

    Vedi anche: 01 02 03 04 || 01



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  • Mehr Mut zum eigenen Dialekt.

    Autor:a

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    18 Comentârs → on Mehr Mut zum eigenen Dialekt.

    In der Sonntagszeitung Zett war am 17.02.2013 ein interessantes Gespräch mit dem Kommunikationsexperten und Rhetoriktrainer Bernhard Ahammer erschienen, das ich hier mit freundlicher Genehmigung der Zett-Redaktion in vollem Umfang wiedergebe:

    Mehr Mut zum eigenen Dialekt

    Herr Ahammer, Sie sind Rhetoriktrainer und halten Ihre Seminare im deutschsprachigen Raum – auch in Südtirol. Was ist das Besondere an den Südtirolern und Ihrer Sprache?

    Bernhard Ahammer: Die meisten Südtiroler sind in ihrer Sprache verunsichert – und zwar in dreifacher Hinsicht. Wenn sie ihren Dialekt sprechen, glauben sie, Nicht-Südtiroler verstehen sie nicht. Im Hochdeutschen fühlen sie sich unsicher, weil sie glauben, sie sprechen nicht korrekt. Daraus ergibt sich die Hauptverunsicherung, nämlich, dass viele nicht genau wissen, wann sie Dialekt sprechen sollen und wann Hochdeutsch. Hinzu kommt, dass viele auch das Gefühl haben, ihr italienisch [sic] sei nicht gut genug.

    Wie merken Sie diese Unsicherheit?

    Einige Südtiroler wechseln im Gespräch mit Deutschen oder Österreichern sofort ins Hochdeutsche, weil sie an ihrer Verständlichkeit zweifeln. Meiner Meinung nach oft völlig zu Unrecht: Ein Nordtiroler oder Bayer tut das nicht, obwohl sein Dialekt mindestens genauso ausgeprägt ist. Es gibt hier eine überzogene Anpassung an das Gegenüber. Dieser Wesenszug zeigt sich auch darin, dass in einer Gruppe mit einer einzigen italienisch sprechenden Person oft alle anderen ins Italienische wechseln. Ein Vorarlberger hingegen haut dem anderen seinen Dialekt um die Ohren, obwohl man ihn häufig wirklich sehr schwer versteht.

    Auch bei Vorträgen vor eigenem Publikum zwingen sich viele ins Hochdeutsche. Ich denke, dass sich der durchschnittliche Südtiroler genauso gut auf Hochdeutsch ausdrücken kann wie z.B. ein Nordtiroler. Mit dem feinen Unterschied allerdings, dass der Südtiroler sich dabei unsicher fühlt und auch so wirkt.

    Woher kommt das?

    Einerseits hat es sicherlich mit der Einbettung der Südtiroler in eine italienisch sprechende Gemeinschaft zu tun. Ein weiterer Faktor ist aber auch, dass Südtiroler mit ihren eigenen Leuten oft zu hart ins Gericht gehen. Als Dominik Paris in Kitzbühel gewonnen hat, haben ihn viele wegen seiner Sprache im Interview kritisiert. Ich habe mir gedacht: Warum gibt es nicht mehr Anerkennung für die sportliche Leistung? Er ist ein Skifahrer und kein Politiker.

    Gibt es Grundregeln, wann man Dialekt sprechen kann?

    Das ist natürlich immer eine Frage der Situation. Aber es gibt Richtlinien für Vorträge. Man unterscheidet zwischen Publikum von Bekannten der eigenen Sprachgruppe, Unbekannten der eigenen Sprachgruppe und außerhalb der eigenen Sprachgruppe. Spreche ich vor mir bekannten Menschen meiner Sprachgruppe, z.B. im Verein, vor meinen Mitarbeitern, bei einer Geburtstagsfeier, ist Dialekt angebracht. Damit wirkt eine Rede echter, persönlicher und natürlicher. Hochdeutsch empfehlen wir Südtirolern nur bei sehr formellen Anlässen, großen Menschenmengen – mehr als 100 Personen – und natürlich vor bundesdeutschem Publikum.

    Das Schwierigste ist für Südtiroler oft das Sprechen vor unbekannten Menschen der eigenen Sprachgruppe. Dort ist ein gemäßigter Dialekt das Wirkungsvollste.

    Was verstehen Sie unter “gemäßigtem Dialekt”?

    Verzichten Sie auf die Mitvergangenheit. Südtiroler sprechen im Alltag in der Vergangenheitsform: “Ich bin zu dem Kunden gefahren und habe den Auftrag gemacht.” Wenn Sie die Mitvergangenheit verwenden, entfernen Sie sich von Ihrer natürlichen Sprache und verlieren an Echtheit: “Ich fuhr zum Kunden und machte den Auftrag.” Verzichten Sie auch auf typisch deutsche und in Südtirol ungebräuchliche Wörter wie “Tüte”, “Brötchen” oder “hochfahren”.

    Verzichten Sie aber auch auf “Hardcore”- Dialekt in Form von Südtiroler Ausdrücken wie “sell”, “sem” oder “ingaling”. Sie sind zu privat und Sie wirken daher weniger kompetent. Auch die Vergewaltigung der Grammatik sollten Sie vermeiden, wie das verbreitete Wortpaar “… de wos …”

    Siehe auch: 01 || 01 02



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