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  • Il Québec contro il Capo di stato.

    Nel suo ruolo di Capo di stato del Canada, ieri a Ottawa Re Carlo III ha inaugurato la 45esima legislatura del Parlamento canadese con un lungo e apprezzato discorso. Nelle stesse ore, poco più a est, si riuniva l’Assemblea nazionale del Québec per approvare — all’unanimità dei 106 membri presenti (su 125) — una mozione in cui si chiede allo «Stato» del Québec di interrompere qualsiasi relazione con la Corona britannica.

    La proposta era stata presentata dagli indipendentisti del Parti québécois (PQ) e ha trovato ampio consenso tra i deputati di Coalition avenir Québec (CAQ), Québec Solidaire e Partito liberale, tanto da rendere superfluo un dibattito parlamentare prima dell’approvazione.

    Il primo firmatario e leader del PQ, Paul St-Pierre Plamondon, ha dichiarato che la maggioranza dei quebecchesi non si identifica col re e che la sua presenza rappresenta un’offesa sia per i francofoni che per le popolazioni indigene.

    Il primo ministro del Québec, François Legault (CAQ) e il ministro del suo governo incaricato dei rapporti con il Canada, Simon Jolin-Barrette, hanno confermato di non avere seguito il discorso di Carlo III.

    Nel 2022 l’Assemblea nazionale del Québec, su pressione del PQ, aveva trasformato il giuramento dei suoi membri sul Capo di stato da obbligatorio in facoltativo ai fini dell’insediamento.

    A migliaia di chilometri di distanza — non solo in senso geografico — negli stessi giorni in Sudtirolo i sindaci si stanno facendo «costringere» a vestire simboli che buona parte della popolazione sente lontani e ostili, in un atto di sottomissione nemmeno previsto dalla legge.

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  • Hat Dal Medico den Proporz missachtet?

    Von den Grünen aufgedeckte Indizien sprechen dafür, dass die Meraner Stadtregierung unter Bürgermeister Dario Dal Medico ab 2023 nicht mehr nach dem Proporz zusammengesetzt war. Damit wäre das Vertretungsrecht der deutschen Sprachgruppe verletzt worden.

    Marco Perbellini, der im Laufe der Verwaltungsperiode auf Vorschlag von Alleanza per Merano von außen in den Stadtrat berufen wurde, nachdem die deutsch erklärte Stadträtin Claudia Benedetti zurückgetreten war, soll demnach italienisch deklariert gewesen sein. Die damit einhergehende Verzerrung des Sprachgruppenverhältnisses würde einen Verstoß gegen das Autonomiestatut darstellen.

    Wie die Grünen mitteilen, geht aus den offiziellen Wahllisten der diesjährigen Gemeinderatswahl hervor, dass Perbellini nicht der deutschen Sprachgruppe angehört. Um Gewissheit zu erlangen, müsste man überprüfen, wie er zum Zeitpunkt seiner Ernennung deklariert war. Zu dem Vorfall haben die Grünen Eingaben bei der Gemeinde Meran und bei der Region gemacht.

    Rai Südtirol zitiert die Meraner Landtagsabgeordnete Madeleine Rohrer (Grüne) folgendermaßen:

    Das heißt natürlich auch, dass zahlreiche Beschlüsse entweder widerrufen werden müssen, oder dass gegen diese rekurriert werden kann, und da geht es zum Beispiel auch um Beiträge für Vereine aber auch der Jahresabschluss der Gemeinde Meran ist dabei. Mit unserer Eingabe wollen wir die Gemeinde Meran auffordern, jetzt ganz schnell Rechtssicherheit zu schaffen.

    – Madeleine Rohrer

    Sollte die Missachtung des Proporzes tatsächlich derartige Gefahren bergen, müsste man allerdings auch dringend die Zusammensetzung der Landesregierung überprüfen lassen: Auf Druck der italienischen Rechtsparteien wurden 2024 zwei Landesräte der italienischen Sprachgruppe berufen, obschon hierzu zwei sich widersprechende Gutachten (des Landtags und der Staatsadvokatur) vorlagen, die beide nicht bindend sind. Es hätte gereicht, die Landesregierung im Vergleich zur vorangegangenen Legislatur nicht — oder zumindest nicht auf elf Mitglieder — zu vergrößern, um dem Risiko einer Falschbesetzung zu entgehen. Dann nämlich hätte mit Sicherheit ein einziger italienischer Landesrat gereicht.

    Falls jemand rechtlich gegen die Zusammensetzung der Landesregierung vorgeht, entscheidet ein Gericht, wie die korrekte Verteilung der Regierungsämter nach Sprachgruppen hätte aussehen müssen.

    Was jedenfalls außer Frage steht, ist dass die Besetzung des Meraner Stadtrats seit dem Eintritt von Perbellini, sofern er nicht der deutschen Sprachgruppe angehörte, einen Gesetzesverstoß darstellt. Im Unterschied übrigens zur Weigerung der neuen Bürgermeisterin, Katharina Zeller (SVP), sich von ihrem Vorgänger die Trikoloreschleife umhängen zu lassen, was für große Aufregung und Hetze gesorgt hat, obschon es keine gesetzliche Verpflichtung dazu gab.

    In einer früheren Fassung dieses Beitrags war Marco Perbellini fälschlicherweise als Gemeinderatsmitglied bezeichnet worden. Zum Zeitpunkt seiner Berufung in den Stadtrat war er das jedoch nicht. Er wurde von außen berufen. Ich entschuldige mich für den Fehler.



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  • Serve insubordinazione.

    Da anni qui su riferiamo di atti di irriverenza o di vera e propria disobbedienza e ribellione, che in realtà simili alla nostra regolarmente portano a risultati concreti, e ad ogni modo contribuiscono a rendere visibile un malessere. In Sudtirolo episodi di questo tipo sono rarissimi e, quando accadono, sono spesso frutto del caso e vengono normalmente interpretati come un attentato alla tanto decantata convivenza e non come un atto di coraggio e di giusta rivendicazione. Personalmente invece sono convinto che la disobbedienza civile, specialmente per una minoranza (linguistica, sociale e di ogni tipo), sia uno strumento più che lecito, legittimo e spesso anche molto più fruttifero rispetto al mero tentativo di «spiegarsi», perché in grado destare scalpore e interesse, e perché non di rado esige un intervento risolutivo.

    Diversamente da quanto accaduto a Meran, tuttavia, quando — in modo spontaneo o premeditato — si percorre la via della disobbedienza, per raggiungere il risultato bisogna poi mantenere e saper argomentare senza timori la propria posizione e non sottomettersi alla prima difficoltà, ché altrimenti il messaggio che si trasmette è principalmente che il suprematismo paga e chi lo esercita ha ragione (cfr.).

    Chi lo esercita non si fermerà, finché sarà convinto di poter raggiungere ogni obiettivo con la prepotenza dell’imperialismo.

    Non ne faccio una critica alla neo sindaca Katharina Zeller (SVP), che come donna e rappresentante di una minoranza linguistica si trova in una posizione particolarmente delicata e vulnerabile, e perché non è detto che la ribellione ai simboli nazionali faccia parte del suo credo politico. Certo, a mio avviso poteva almeno fare a meno di scusarsi del suo non perfetto italiano durante l’intervista a Piazza pulita de La7. Molto più critico sono invece nei confronti di chi ha minimizzato sugli attacchi ultranazionalisti che ne sono scaturiti, normalizzando una situazione inaccettabile per una minoranza linguistica e addirittura sottomettendosi al nuovo diktat, come il sindaco di Bruneck.

    A titolo di paragone faccio seguire una breve carrellata su alcuni atti di disobbedienza che negli ultimi anni abbiamo raccolto. In molti casi sono stati eseguiti per raggiungere obiettivi che anche in Sudtirolo non sono ancora stati raggiunti:

    • Nel 2015 si dimettevano la sindaca basca Izaskun Uriagereka del partito autonomista di centro EAJ e il suo assessore alla cultura, perché la Corte costituzionale spagnola aveva deciso che la bandiera spagnola doveva venire esposta davanti al municipio di Mungia. Piuttosto che issarla, decisero di lasciare gli incarichi in segno di protesta.
    • Anche in Catalogna, come nei Paesi baschi, il rifiuto di farsi imporre il vessillo dello stato da parte dei comuni è costante e le soluzioni spesso sono particolarmente creative. Come quello del comune di Agramunt, che nel 2013 decise di appendere tutte e 27 le bandiere dei paesi membri dell’Unione europea, in modo da cammuffare quella spagnola.
    • Nell’autunno del 2022 i tre deputati del Parti québecois, indipendentista, si rifiutarono di giurare su Re Carlo per poter assumere le loro cariche nell’assemblea della provincia francofona canadese. Per due mesi non poterno esercitare, ma alla fine venne modificata la formula ufficiale di giuramento.
    • Alunne basche e bretoni delle scuole medie, nel 2023 avevano annunciato di voler scrivere il loro esame finale di scienze nelle loro lingue minoritarie, anche se ciò non era consentito dalle leggi francesi. Prima che si tenessero le prove, il ministero all’istruzione francese glielo consentì ufficialmente.
    • La deputata groenlandese Aki-Mathilda Høegh-Dam, pur parlandolo perfettamente, si è ripetutamente rifiutata di parlare in danese nel parlamento di Kopenaghen (Folketing), tenendo i suoi discorsi integralmente in lingua groenlandese. Con questo atteggiamento, non consentito dal regolamento, ha già ottenuto che ai rappresentanti groenlandesi e delle Fær Øer venga messo a disposizione il doppio del tempo rispetto alle colleghe danesi, se vogliono fare un discorso bilingue. Høegh-Dam continua a combattere per ottenere il diritto di fare interventi solo in groenlandese, senza doversi autotradurre.
    • Atti simili sono stati fatti in varie occasioni da parlamentari baschi, catalani e galiciani nel Congresso spagnolo, dove nel 2023 è stato introdotto il diritto di parlare nelle lingue minoritarie, un diritto che viene sfruttato regolarmente.
    • Alcuni sindaci della Catalogna del Nord, condannati perché in consiglio comunale parlavano in catalano, in primis il comunista Nicolas Garcia, sfidano apertamente lo Stato francese continuando a usare la loro propria lingua nelle occasioni ufficiali, senza traduzione.
    • Nel 2022 una senatrice indigena, Lidia Thorpe, ha giurato su «Sua maestà la colonizzatrice Regina Elisabetta», alzando il pugno. A ottobre del 2024 ha gridato a Re Carlo, in visita ufficiale al senato, di «restituire la terra che ci hai rubato», girandogli la schiena mentre veniva suonato l’inno God save the King.

    Anche gli scioperi dei lavoratori sono atti di disobbedienza e di rottura, ma nonostante indubbiamente creino regolarmente disagi, ben pochi metterebbero in dubbio che sono spesso necessari a raggiungere risultati concreti.

    Non ultimo, molte delle conquiste degli ultimi decenni, come i diritti delle donne o quelli dei neri negli Stati uniti, sono state raggiunte grazie all’insubordinazione.

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  • Cruciani agitierte in Trient gegen Südtirol.
    Hassrede

    Trotz seiner Misogynie und trotz seines Hasses auf die deutschsprachigen Südtirolerinnen durfte der italienische Moderator Giuseppe Cruciani ausgerechnet am diesjährigen Frauentag, den 8. März, im öffentlichen Bozner Stadttheater auftreten.

    Gestern wurde seine Sendung La Zanzara (Radio24 – Il Sole 24 Ore) anlässlich des Wirtschaftsfestivals vom nahen Trient aus ausgestrahlt. Dabei nutzte er die Gelegenheit, um die Anwesenden und die Zuhörerschaft gegen Südtirol aufzuwiegeln: Er zog sich eine Trikolore-Schärpe über und schrie »Meran ist italienisch!« (Merano è italiana!) ins Mikrofon. Wenn »der Bürgermeister« von Meran die Schleife nicht tragen wolle, solle sie [bzw. »er«] nach Österreich oder nach Deutschland gehen, so Cruciani.

    Für seine wiederum frauen- und minderheitenfeindliche Hetze erntete er vom zahlreichen Publikum auf der Piazza Cesare Battisti, wo sein Übertragungswagen stand, frenetische Zustimmung und Applaus.

    In einem Interview mit dem Corriere della Sera hatte er letztes Jahr gesagt, ihn störe, dass in Südtirol Deutsch gesprochen wird. Im Jahr 2016 hatte er in seiner Sendung Senator Hans Berger (SVP) beleidigt und dazu aufgefordert, er solle sein »Drecks-Scheißdeutsch« (minchia di tedesco di merda) zuhause in Südtirol sprechen, aber nicht in Rom.

    Das ist die »Qualität« des öffentlichen Diskurses in Italien, gegen den wir ankämpfen müssten, wenn wir Südtirol »erklären« wollten, wie es dem Landeshauptmann wieder einmal vorschwebt.

    La Zanzara ist eine der meistgehörten Radiosendungen in Italien.

    Dass Cruciani wegen seiner Äußerungen zur Verantwortung gezogen wird, ist in Italien leider äußerst unwahrscheinlich. Anderswo hätte er zumindest mit Kritik von der Journalistenkammer bzw. vom Presserat zu rechnen.

    Cëla enghe: 01 02 03 || 01 02 03



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  • Quale repubblica?

    Come ormai arcinoto, la neo sindaca di Merano ha rifiutato di farsi indossare la fascia tricolore.

    Da ciò è scaturito l’ennesimo «caso nazionale», alimentato soprattutto dalle destre — con la «sinistra» a rincorrerle (e sorpassarle) sul loro proprio terreno.

    Si dice che Katharina Zeller (SVP) abbia rifiutato e quindi vilipeso un «simbolo della repubblica». Non è però un simbolo neutro, specialmente per una minoranza nazionale. Cioè: non si tratta di una fascia di un colore qualsiasi, come potrebbe esistere ed effettivamente esiste in altri paesi1Post scriptum: anche in Italia esiste la fascia azzurra per i presidenti di Provincia, ma una fascia nei colori nazionali di una sola parte.

    Nel caso specifico, e le destre non ne fanno un mistero, la fascia non simboleggia tanto la repubblica, ma la nazione e la sua (presunta) indivisibilità. In senso lato la sottomissione degli uni ad opera degli altri.

    (E come potrebbe essere diversamente, visto che le destre, in larga misura, dei valori fondamentali della repubblica se ne fanno un baffo?)

    Esercizio

    Ammettiamo pure per un attimo che la fascia sia un simbolo per così dire «neutro», che rappresenti dunque solamente la repubblica in quanto tale e non al contempo la nazione. Ammettiamo quindi, senza però concedere, che in uno stato nazionale non sia di fatto impossibile astrarre, separandole nettamente, «repubblica» da «nazione».

    Ma di che cosa stiamo parlando? Di che repubblica?

    Perché nessuno ha il coraggio di dire che il re è nudo, che la repubblica da tempo è stata denudata dei suoi valori?

    Repubblica antifascista, si dice. Lo era probabilmente nella visione dei padri fondatori, delle madri fondatrici. Ma, alla prova dei fatti, se lo è mai stata, antifascista questa repubblica non lo è da decenni. Non c’è mai stata una rielaborazione storica degna di questo nome. La festa della liberazione è un rito cui una parte politica, quella maggioritaria da anni e ormai egemone culturalmente, partecipa con riluttanza quando lo fa.

    Nel tempo le sono state affiancate ricorrenze per nulla antifasciste come quella delle foibe o, più recentemente, degli Alpini eroi al fianco dei nazisti.

    Non esiste una legislazione antifascista degna di questo nome, di conseguenza movimenti e partiti neofascisti dilagano. Agiscono indisturbati, governano e hanno pervaso il dibattito politico come anche quello pubblico. Neofascisti e neonazisti operano senza dover temere lo stato — le istituzioni della repubblica — e anzi vi trovano sponde.

    Le sinistre al governo hanno fatto sgomberare CasaPound? È stata dissolta Forza Nuova dopo l’assalto alla sede della CGIL? Ha avuto conseguenze la marcetta su Bolzano di pochi anni fa?

    Il fatto che un sindaco, come quello neo eletto di Bolzano, sia sostenuto da fascisti dichiarati, non fa più nemmeno scalpore. Men che meno scatena reazioni indignate come quelle da cui è stata sommersa Katharina Zeller. Claudio Corrarati la fascia l’ha indossata, ed è ciò che conta  anche se i valori repubblicani li ha traditi.

    Non basta. La repubblica non garantisce nemmeno i diritti fondamentali. Fa peggio dell’Ungheria per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTQIA e arriva dopo la Polonia nella libertà di stampa. Persegue le coppie dello stesso sesso e i loro figli. Non è stata capace di darsi, oltre a una legislazione antifascista, nemmeno una seria legge contro le discriminazioni. Non rispetta le sentenze della Corte europea dei diritti umani.

    La repubblica tutela le minoranze linguistiche, si dice. Ma — quando va bene — fa il minimo sindacale facendolo tardi e male. Oltre a quelle che possono contare sul sostegno di potenze tutrici estere sono ormai quasi tutte largamente assimilate o a rischio scomparse. L’Italia è sostanzialmente un paese monolingue. Da decenni governi di colore politico diverso si rifiutano di ratificare la pur blanda Carta delle lingue regionali o minoritarie. Anche in questo senso la visione dei padri fondatori e delle madri fondatrici è stata disattesa.

    Nello stesso Sudtirolo l’equiparazione delle lingue minoritarie a quella nazionale è negata sistematicamente, anche laddove sarebbe prevista. Le imposizioni, la sottomissione simbolica e fattuale sono costanti.

    Tanto per fare un esempio: le frecce tricolori fino a prova contraria non rientrano tra i simboli della repubblica. Eppure non c’è verso di invocare la sensibilità nei confronti di quella parte di popolazione di lingua tedesca e ladina che non vuole essere costretta a «respirare il sacro tricolore».

    Mi fermo qui.

    Questa repubblica insomma, come accennato, è stata denudata dei suoi valori fondamentali. Non è certo una repubblica della convivenza. Il paese che ha inventato il fascismo è nuovamente tra i precursori di uno sviluppo illiberale e autoritario in Europa e nel mondo.

    A questa repubblica — ma anche alla nazione — ci si chiede di aderire senza indugi, senza (possibilità di) dissentire?

    Indossare il tricolore può essere più di un rito nazionalista?

    Non ultimo: l’imposizione stessa non è un tradimento dei valori repubblicani?

    Cëla enghe: 01 02 03 || 01 02 03 04 05 06

    • 1
      Post scriptum: anche in Italia esiste la fascia azzurra per i presidenti di Provincia


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  • Die Unterwerfung.

    Landeshauptmann Arno Kompatscher (SVP) will Südtirol nach dem Eklat um Bürgermeisterin Katharina Zeller (SVP) wieder einmal »erklären«. Indes hat die ultranationalistische Hetzkampagne der letzten Tage ihre Wirkung nicht verfehlt: Der neue Brunecker Bürgermeister, Bruno Wolf (ebenfalls SVP), erschien zu seiner Eröffnungsrede im Gemeinderat prophylaktisch in italienische Nationalfarben gehüllt, um bei den Imperialisten bloß nicht anzuecken.

    Das Bild wurde uns zugespielt.

    Während bei der Amtsübergabe zwischen Roland Griessmair und Bruno Wolf noch keine Trikoloreschleife zu sehen war, ist sie zur Eröffnungsrede wie von Zauberhand erschienen. So hat die Kritik an einer offenen Weigerung (von Katharina Zeller) in wenigen Tagen zu einer proaktiven Unterordnung (bei Bruno Wolf) geführt. Die Wogen werden sich — wie der Landeshauptmann prognostiziert — vermutlich in kurzer Zeit glätten, die Wunden werden wohl bleiben.

    Und so wie Katharina Zeller im Anschluss an den Übergriff, deren Opfer sie geworden ist, in staatsweiten Medien Abbitte geleistet — und sich als »vollkommen italienisch« (pienamente italiana) sowie Italien als ihr Vaterland (la mia patria) bezeichnet — hat, trägt auch die Brunecker Unterwerfung dazu bei, dass sich die Nationalisten bestätigt fühlen. Wir brauchen dann auch nichts mehr zu »erklären«.

    So ist es damals beim Wanderschilderstreit auch gelaufen. Man wollte sich erklären — doch inzwischen sind die Südtiroler Berge und Wanderwege bis nahezu zur letzten Schutzhütte reitalianisiert und retolomeisiert, obwohl es dazu keine rechtliche Verpflichtung gibt.

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  • Trikolore und Auslöschung der Identität.
    Quotation

    Gestern durften wir hier bereits einen Text von Menschenrechtsanwalt Nicola Canestrini veröffentlichen, der damit auf den Trikolore-Eklat um Katharina Zeller (SVP) reagierte. Heute war Canestrini im Rai Morgengespräch, aus dem ich hier noch ein paar Auszüge zitieren will:

    Als Südtiroler trifft uns natürlich das Problem der Nationalflagge doppelt, weil wir wissen, was die Trikolore in Südtirol ver[sinn]bildlicht hat: Ein Bild der Unterdrückung, der Besetzung, der Auslöschung unserer Südtiroler Identität, nicht nur während des Faschismus, sondern auch in der Nachkriegszeit.

    – Nicola Canestrini

    Dass Frau Ministerpräsidentin oder Herr Ministerpräsident — sie will ja ihre Identität auch selbst definieren, so wie vielleicht auch die Südtiroler ihre nationale Identität selbst definieren möchten — dass Meloni die Nationalflagge und das Thema jetzt benutzt, wundert mich nicht.

    – Nicola Canestrini

    Ich identifiziere mich auch nicht mit der Trikolore in Südtirol, denn ich frage mich immer noch, warum Italien in Südtirol nicht Abhilfe geschafft hat dafür, dass zum Beispiel auf dem Siegesdenkmal immer noch steht, dass der Faschismus in Südtirol uns die Künste, die Sprache und die Kultur beigebracht hätte. Also zumindest für mich als gebürtiger Südtiroler ist es ein Problem, mich mit der Nationalflagge zu identifizieren, vor allem weil sie als Keule geschwenkt wird, weil sie dazu dient, nicht Brücken sondern Mauern zu bauen. Das ist genau das Problem: Die Fahne sollte Toleranz, sollte Inklusivität bedeuten, dann wäre das natürlich auch meine Fahne. Wenn die Fahne aber dazu benutzt wird, um abzugrenzen, um — sagen wir — jemandem etwas aufzuzwingen, was man nicht will, dann ist das auf jeden Fall nicht meine Fahne. Und ich sehe darin überhaupt nichts Problematisches und schon gar nicht rechtlich Relevantes.

    – Nicola Canestrini

    Transkription von mir

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05 || 01 02 | 03



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  • Auf dem Rücken der Kinder?
    Bildungsdebatte mit schwachen Tricks und scheinheiligen Argumenten

    Während im Moment das lächerliche Gesülze um Katharina Zellers (SVP) Weigerung, sich von Dario Dal Medico (La Civica per Merano) die Trikolore-Schleife umhängen und sich national vereinnahmen zu lassen, die Medien und den öffentlichen Diskurs dominiert, gehen in einem der gesellschaftlich relevantesten Bereiche zumindest bei den Beteiligten bzw. Betroffenen die Wogen hoch.

    Südtirols Lehrerschaft (inkl. der Kindergartenpädagoginnen) liegt im Clinch mit der Landesregierung und droht mit Protestmaßnahmen im kommenden Schuljahr, sollten die Rahmenbedingungen nicht ver- und die Gehälter nicht aufgebessert werden. In mehreren Landesteilen haben sich Lehrergruppen formiert, die großen Zulauf haben, und die angekündigt haben, im Schuljahr 2025/26 “Dienst nach Vorschrift” zu machen. Kein Streik und keine Dienstverweigerung wohlgemerkt, sondern einfach nur das tun, wofür sie – mehr schlecht als recht – bezahlt werden. Lehrausgänge, Theaterbesuche, Sportwochen – generell Exkursionen und Projekte – sollen gestrichen bzw. nicht mehr begleitet werden. Schüler- und Elternschaft sind hin- und hergerissen zwischen Solidarität mit den Lehrpersonen und Sorge um das Bildungsangebot im kommenden Jahr.

    In der vorgestrigen Ausgabe der Dolomiten wird dazu Landesrätin Magdalena Amhof (SVP) folgendermaßen zitiert: “Ich finde es aber nicht richtig, die Lohndebatte auf dem Rücken der Eltern und Schüler auszutragen.” Christa Ladurner (Allianz für Familie) schlägt in die selbe Kerbe. Und auch von Bildungslandesrat Philipp Achammer (SVP) ist in verschiedenen Medienberichten Ähnliches zu vernehmen, wenngleich sie alle anerkennen, dass die Anliegen der Lehrerschaft durchaus berechtigt sind.

    Dass die Lehrerschaft mit ihrer Drohung irgendetwas auf dem Rücken von Eltern und Kindern austragen würde, ist Bullshit. Das Gegenteil ist der Fall. Nicht zuletzt deshalb, weil ein großer Teil der Lehrpersonen auch selbst Eltern sind und wohl kaum gegen die eigenen Interessen und die ihrer eigenen Kinder agieren. Der Lehrerschaft geht es um die Rettung des Bildungsstandorts Südtirol und folglich das Wohlergehen der Schülerinnen und Schüler. Es ist vielmehr die Politik, die seit Jahren, wenn nicht Jahrzehnten, mit der Zukunft der Kinder – und somit unser aller Zukunft – spielt.

    Hier ist das Warum:

    Bildung ist einer der zukunftsweisendsten, wenn nicht DER zukunftsweisendste Bereich überhaupt. Die Qualität der Bildung bestimmt wie kaum etwas anderes Erfolg und Misserfolg einer ganzen Gesellschaft mitunter über Generationen hinweg. Wir müssen danach trachten, dass die besten, engagiertesten und kreativsten Köpfe mit den Kindern und Jugendlichen arbeiten – vom Kindergarten bis zur Matura. Das Bildungssystem steht und fällt mit gut ausgebildeten, motivierten Pädagoginnen und einer finanziellen Ausstattung, die die notwendigen Rahmenbedingungen für modernen, funktionierenden Unterricht schafft. Beides ist in Südtirol massiv bedroht, wenn nicht umgehend gegengesteuert wird.

    Südtirols Lehrerinnen sind im Vergleich zu anderen öffentlich Bediensteten, im Vergleich zu anderen Akademikerinnen sowie im Vergleich zu Berufskolleginnen im benachbarten Bundesland Tirol oder im nahen Bayern – von der Schweiz ganz zu schweigen – extrem unterbezahlt. So ist das Einstiegsgehalt einer Lehrperson in Nordtirol (mit vergleichbaren Lebenshaltungskosten) in etwa so hoch, wie das einer Südtiroler Lehrperson mit 35 (!) Dienstjahren. Zum Ende eines Berufslebens verdient eine Lehrperson nördlich des Brenners beinahe das Doppelte wie die Kolleginnen in Südtirol. Und während man in Nord- und Osttirol als Lehrperson wie die meisten unselbstständig Beschäftigten 14 volle Monatsgehälter bekommt, bekommen Südtiroler Lehrerinnen nur 13 und obendrein über den Sommer ein reduziertes Gehalt. (Das Argument “Ja, aber Lehrer haben auch dauernd frei und arbeiten viel weniger als andere” jetzt hier zu entkräften würde den Rahmen sprengen. Nur soviel: Bullshit 01 02)

    Während Landesrätin Amhof beschwichtigt, dass es durchaus Inflationsanpassungen gegeben hätte und die Situation nicht so dramatisch sei – dabei aber laut der Initiativen „Bildung am Abgrund“ und „Qualität Bildung Südtirol“ mit unlauteren Zahlen agiere – stelle sich die Lage in der Realität folgendermaßen dar: Zwischen 1999 und 2025 gab es bei Gundschullehrerinnen 68,6 Prozent Lohnzuwachs, bei Mittel- und Oberschullehrerinnen gar nur 51,6 Prozent. Der Verbraucherpreisindex ist indes im gleichen Zeitraum um 82,8 Prozent gestiegen. Wir haben es also zusätzlich zu dem ohnehin schon niedrigen Lohnniveau mit einem massiven Kaufkraftverlust zu tun.

    Diese Situation führt dazu, dass die Unterrichtsqualität in Südtirol leidet. Zum einen, weil es für die Lehrpersonen demotivierend ist, unterbezahlt bei immer komplexeren Herausforderungen und gleichzeitig prekäreren Arbeitsbedingungen in der Klasse zu stehen und dafür auch noch angefeindet zu werden und zum anderen, weil der Lehrerberuf in Südtirol an sich an Attraktivität verliert. Eigenartig, wo die Lehrkräfte nach Ansicht vieler doch so paradiesische Arbeitszeiten haben. Südtiroler Lehramtsstudienabgängerinnen, die vielfach in Österreich oder Deutschland studiert haben, bleiben aufgrund der Gehaltssituation vermehrt dort. Andere geben auf und orientieren sich um. Und unterqualifizierte Supplentinnen/Quereinsteigerinnen, die mit dem Leitspruch “Iatz unterricht i halt a Zeitl bis i wos Bessers find, wo i meahr verdian” vor der Klasse stehen, heben das Unterrichtsniveau auch nicht wirklich. Von wegen “Für die Kinder nur das Beste”.

    Ein weiteres Unikum ist, dass sich Lehrpersonen ihre Arbeitsmaterialien größtenteils selber finanzieren müssen. Man stelle sich vor, wie ein Unternehmer zur neu eingestellten Bürofachkraft sagt: “Um für uns die Buchhaltung zu machen, bringen Sie bitte Ihren eigenen Laptop mit. Auch Stifte, Papier, Mappen und dergleichen müssen Sie sich natürlich selber besorgen. Und fixen Büroarbeitsplatz bekommen Sie freilich auch keinen. Sie können sich entweder täglich irgendwo einen Platz suchen oder Sie müssen halt nach Hause gehen und von dort aus die Arbeit erledigen. Ich hoffe, Sie haben in Ihrer Wohnung ein Büro. Cool wäre auch, wenn Sie hin und wieder externe Experten zu uns in die Firma bringen und Vorträge für unsere Kunden organisieren. Das Fläschchen Wein oder ein paar Häppchen, über die sich alle bei diesen Anlässen freuen, zahlen Sie aber aus eigener Tasche oder bringen Sie von zu Hause mit.” Absurd? Für Pädagoginnen ist das Realität.

    Womit wir bei einem weiteren Brocken wären, mit dem Lehrpersonen in Südtirol mittlerweile vielfach überfordert sind. Durch die in den vergangenen Jahrzehnten massiv gestiegene Heterogenität und Komplexität in den Klassen, funktionieren Betreuungsschlüssel nicht mehr. Wenn in vielen Klassen immer mehr nicht-muttersprachliche Schülerinnen und Schüler sitzen, von denen einige die Unterrichtssprache nicht einmal verstehen, braucht es mehr personelle und finanzielle Ressourcen, um einen erfolgreichen Unterricht für alle Beteiligten garantieren zu können.

    Das Personal in Südtirols Kindergärten und Schulen hat seit Jahren auf die oben beschriebenen Problematiken hingewiesen, ist aber immer wieder vertröstet worden. Zudem wurden Zusagen von Seiten der Politik schlicht nicht eingehalten. Dass es nicht schon längst gekracht hat, ist dem Idealismus ganz vieler Pädagoginnen zu verdanken, bei denen das Wohl der Kinder und Jugendlichen an erster Stelle steht – auch wenn sie selbst dabei – salopp gesagt – in Tilt gehen. Mittlerweile sind wir offenbar an einem Punkt, wo nur mehr verzweifelte Aufschreie und Radikalaktionen (Stichwort Goetheschule) die nötige Aufmerksamkeit finden. Nüchternes und sachliches Hinweisen auf das Problem, wie es jetzt über Jahre betrieben wurde, hat nicht funktioniert.

    Noch einmal: Die Lehrerschaft trägt keine Lohndebatte auf dem Rücken der Kinder aus. Sie wählt das kleinere Übel, wie auch Alexandra Kienzl in ihrem Salto-Kommentar andeutet, um eine Änderung zu erreichen. Dieses kleinere Übel ist, mit dem Verzicht auf Aktivitäten außerhalb der Schule, die noch dazu mit großer Verantwortung verbunden sind, die nicht honoriert wird, so viel Druck aufzubauen, dass die Dringlichkeit endlich verstanden wird. Das größere Übel wäre nämlich, voller Idealismus und Naivität so weiterzumachen wie bisher, um in ein paar Jahren vor einem Scherbenhaufen zu stehen. Dann sind es aber nicht mehr bloß ein paar Exkursionen, die ausfallen.

    Ich möchte hier keine Neiddebatte vom Zaun brechen. Es ist nämlich eher eine Frage von Prioritäten. “Unsere Kinder sind das Wertvollste, was wir haben” ist ein Satz, den man immer wieder hört und dem ein großer Teil der Eltern wohl zustimmen würde. Wie kommt es dann, dass wir jenen Menschen, denen wir unsere Kinder anvertrauen, viel weniger Geld zahlen als jenen, denen wir unser Geld anvertrauen? Und wieso sollen dann eher Spitzenbeamte Lohnerhöhungen im Ausmaß von Jahresgehältern von Lehrkräften erhalten, bevor die Vergütung Letzterer an die Inflation angepasst wird – von einer substanziellen Erhöhung der Bezüge ganz zu schweigen.

    Die Politik muss verstehen, dass wir langfristig Geld sparen, wenn wir in gute Bildung investieren. Ganz nach dem Motto: “If you think, education is expensive, try ignorance.” (Derek Bok)

    Disclaimer: Ich bin zwar an einer (Privat-)Schule beschäftigt, jedoch nicht als Lehrer, sondern als Bediensteter mit “normalen” Arbeits- und Urlaubszeiten, da nur ein kleiner Teil meiner Arbeit jene mit Schülerinnen und Schülern betrifft.

    Cëla enghe: 01 02



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